Il 4 febbraio, con la sua abituale dignitosa discrezione, il germanista, filosofo e saggista Anacleto Verrecchia ha cessato improvvisamente la sua collaborazione con la vita, sorprendendo la moglie Silvana, il suo lucherino come lui la chiamava, che custodiva con attenzione la sua salute diventata cagionevole. Il lucherino è stata ed è la testimone di una vita operosa e inquieta, trascorsa tra esperienze diverse in Italia, Austria e Germania, da cui Verrecchia traeva linfa per le sue opere di viaggiatore della cultura. Questo sito l’ha più volte citato e da ultimo per recensire il secondo dei suoi libri di viaggi culturali “La stufa dell’Anticristo” pubblicato recentemente, come altri suoi libri, dall’editore torinese Fogola.

Non è riuscito a vedere né l’edizione delle sue “Mercuriali” a cui stava lavorando né la ristampa di “Cieli d’Italia” presso l’editrice “Il prato” di Padova, una raccolta di racconti, riveduta e ampliata e riproposta con nuovo titolo.

Con Verrecchia il settimanale “Tuttolibri” della “Stampa” di Torino perde un critico attento e originale, che giudicava gli autori non per amicizia, ma per i valori intrinseci del libro e creava un connubio recensore-recensito del tutto originale anche quando, e capitò più volte, il giudizio non fu positivo.

Le sue tappe culturali portano tutte alla stessa fonte: la classicità. I suoi autori prediletti: Ovidio, Scipione, Petrarca, Giordano Bruno, Goethe, Schopenhauer, Lichtenberg, Nietzsche, Martinetti, Prezzolini, che lo onorò della sua amicizia. Tutti, vicini e lontani nel tempo, li ricambiò con pagine ammirate e, come nel caso di Nietzsche, pietose.

Fu studioso attento fino all’acribia, liberando i personaggi da incrostazioni e sedimenti; per questo meriterebbe anche l’appellativo di storico. Non mancano pagine umoristiche come per la “Vispa Teresa” dedicata a uno Schopenhauer viaggiatore in Italia, ma il suo umorismo è talvolta nascosto in uno stile personalissimo eppur classico, in cui si rivela l’amore per la parola emarginata dal frettoloso eloquio giornalistico e televisivo, che segna purtroppo la viltà dei nostri giorni. Questo atteggiamento non solo con gli italiani, sciatti e superficiali, ma anche con i tedeschi, dei quali padroneggiava la lingua, non risparmiava critiche motivate, come impone l’onestà intellettuale, che non fa distinzione di lingue e culture. E che cosa ne ricavò? I tedeschi più intelligenti lo avevano in grande rispetto: riceveva a Torino frequenti visite di amici e ammiratori viennesi e berlinesi. L’amore per la moglie Silvana e la fedeltà non gli impedivano di ammirare le donne di cultura, di cui decantava l’avvenenza e – forse senza accorgersene – subendo il fascino della loro intelligenza.

Non troviamo miglior commiato se non l’attesa delle sue opere postume in cui continua a vivere il suo spirito elevato.