Articolo pubblicato sulla rivista “Il Postale”, n. 8, dicembre 2006

Editrice “La Quadra”, 25049 ISEO – tel. 030 981054 – fax 030 980768 – e-mail info@laquadra.it

Si può dire blackout, all’inglese, oppure semplicemente “interruzione di corrente”. Il significato è analogo e cioè “siamo rimasti al buio”, come è accaduto la notte del 4 novembre 2006. Semmai si tratta di stabilire quale delle due locuzioni può influire più incisivamente sull’immaginario collettivo, ma non vi dovrebbero essere dubbi: quell’aggettivo black dovrebbe creare sensibilità, se l’italiano non avesse la memoria corta e una predilezione congenita per l’eracliteo “tutto passa”. Che tutto passi è purtroppo vero, ma il rischio è di tornare all’età della pietra, quando l’uomo, da sempre assetato di energia e di calore, sfregava due pezzi di legno per accendere un misero focherello. Non sono un seminatore di pessimismo, però constato che da almeno una quarantina d’anni sento e leggo tutto e il contrario su un tema ormai diventato sterile esercitazione dialettica. Eppure, nonostante contraddizioni e sperperi più che colpevoli, non si può dire che i vari governi e le aziende statali non si siano dati da fare, seppur senza successo, perché sempre preda degli umori di un popolo di votanti facilmente influenzabile. Ciò è anche la causa di una mancanza di una autorità governativa in grado di sviluppare una “politica energetica”, che, per resistere a lobby e ubbie, dovrebbe essere autoritaria, poco conciliabile con un malinteso concetto di democrazia, che esige un referendum per stabilire se la candela debba essere alimentata da sego o da energia atomica. L’ENEL dei tempi andati ha carotato tutta la pianura padana in cerca di petrolio o di gas, ma senza risultati. La fonte idroelettrica è del tutto inadeguata. Il resto consiste in provvedimenti tampone, ma la falla resta.

In questo contesto, dove ogni ignorante, meglio se accademico, dice la sua, sarebbe importante che l’ultimo fatto percuotesse l’immaginario collettivo, perché il popolo, cioè i consumatori di energia elettrica, conoscano il significato profondo dell’aggettivo black. Invece, il rischio è aggravato dalla possibilità che il fatto del 4 novembre venga interpretato in modo distorto. Basta esaminare i dati:

· l’interruzione di corrente ha interessato Germania, Francia, Italia, Belgio e Olanda. Sembra, quindi, un fenomeno comune all’Europa occidentale. Che si sia trattato di un errore tecnico per il passaggio in sicurezza di una nave da crociera costruita nei cantieri di Papenburg (Bassa Sassonia) e diretta in Olanda, poco importa. Chi non ricorda che la caduta di un albero in Svizzera ci lasciò al buio il 28 settembre 2003? Capita. Siamo tutti a rischio di errore umano o dell’imprevedibile;

· la Germania è messa relativamente meglio come disponibilità di energia;

· l’Italia importa il 15% di energia elettrica e l’85% lo produce da sé;

· la Francia ha 55 centrali basate sul nucleare e importa il 20% di energia elettrica. Ciò spiega perché oltre 5 milioni di francesi sono rimasti al buio.

Trascuriamo i dati tecnici, importanti ma che esigerebbero ben altre analisi, e individuiamo il pericolo che l’opinione pubblica italiana si lasci ingannare da una considerazione semplicistica del tipo: se la Francia, con tutto il suo nucleare e con la spocchia di “farla da padrona” anche in Italia, è rimasta coinvolta, vuol dire che noi, importando meno energia elettrica dei francesi, tutto sommato non staremmo peggio.

Qui sta l’inganno, perché, se è vero che ormai esiste una rete di trasmissione europea per collegamento alle reti nazionali, e che esiste un rischio comune, come appunto si è verificato il 4 novembre, è altrettanto vero che per produrre l’85% di energia “nostrana” noi dobbiamo importare petrolio, gas e carbone, che è tornato di moda, per il semplice fatto che non sappiamo più a che santo votarci. Da qui il gran chiacchierare giornalistico sulle fonti alternative del tipo:

· investiamo nell’eolico, dimenticando che Eolo è quasi sempre in sciopero;

· incentiviamo i pannelli solari fotovoltaici, trascurando che il costo dell’investimento è a lentissimo recupero, a meno che non vengano grandinate, che nell’arco di durata di un pannello sono sempre più frequenti, così impedendo il recupero già lento dei costi;

· agevoliamo la costruzione di centraline idroelettriche, quasi tutte senza invaso e quindi dipendenti dalla pioggia, mentre i ghiacciai battono in ritirata;

· stimoliamo (con quali fondi?) la ricerca sull’utilizzazione dell’idrogeno, lasciando perdere proposte del tipo “fusione fredda”, che si rivelò una freddura;

· diffondiamo le coltivazioni agricole per la produzione di biodiesel e bioetanolo, così facendo rivoltare nella tomba il “contadino di Ravenna”, che gli intelligentoni di Bruxelles non ascoltarono, forse succubi delle lobby del petrolio. Gardini si suicidò e forse quel diniego sull’etanolo non fu l’ultimo delle cause del suo gesto. È il destino dei pionieri!

Il problema non è quindi un blackout di una qualche ora, che pure ha conseguenze spiacevoli (ascensori bloccati, treni fermi lontani dalle stazioni, ospedali al buio, aeroporti in tilt, ecc.), ma riguarda il futuro di un mondo sempre più affamato di energia e il cui sviluppo è dipendente dalle forze motrici e di illuminazione.

Il popolo dovrebbe incominciare a farsi un’idea più responsabile sul tema, che non è certo quella che può venir stimolata dai giornali, pronti a enfatizzare le superficie del problema con dati tecnici mal digeriti e conformisti. Soprattutto gli italiani dovrebbero rendersi conto, al più presto, che il loro futuro non può essere petrolio-dipendente e che è contraddittorio pretendere che sia lo Stato a risolvere tutti i problemi, salvo poi recarsi nelle cabine referendarie e votare secondo emozioni, che non sono nemmeno politiche.

Una democrazia seria riserva agli esperti la soluzione di certi problemi di lungo termine. Per fare un esempio: una generazione non ha il diritto di impedire un piano strategico ed energetico che va a ricadere, se mal posto o impedito, sui discendenti. È già avvenuto con le allegre pensioni e con la scelta del “no” al nucleare. Evitiamo di farci rinfacciare la nostra stupidità dai nostri figli e non dimentichiamo che la vera democrazia non si sviluppa solo tra contrastanti opinioni politiche attuali, ma anche nella consapevolezza della successione generazionale. L’energia è il banco di prova di questa sensibilità verso il futuro, che non è nostro.

Il Creatore ordinò, nel libro della Genesi, fiat lux; non contrapponiamo un fiat tenebra.

 

Pietro Bonazza