Barba pepe-sale di cinque giorni, sguardo intelligente che vira al furbetto, busto sporgente e ritto per dare evidenza alla sua statura, presiede il consiglio regionale padano con l’evidente determinazione di chi sa e intende essere volitivo

È consapevole di incutere rispetto: sarà per i suoi trascorsi sportivi; per il notorio voto di castità mai infranto; sarà per la tenacia con cui ha dimostrato di passare in mezzo a burrascosi temporali petroliferi, ma certamente non rende la vita facile né ad avversari né ad alleati. Oddio: se si tratta di leghisti la cosa si fa più difficile, perché quelli non badano al bon ton e, da impenitenti celoduristi, non solo sono capaci di votarti contro, ma anche di motivare con linguaggio padanoceltico. Tra duri lo scontro scivola facilmente dal pugilato alla rissa. Ma, lui non dà troppo peso, perché un giorno sarà quanto meno ministro della sanità, di cui ha il pallino allenato e collaudato in Lombardia.

Però un sogno lo rallegra e lo ritempra in ogni sonno: una sala consiliare in cui all’apertura dei lavori, di norma tutti i convenuti, in piedi come giapponesi in attesa dell’inizio del turno di lavoro, gli cantano la romanza Casta diva.

 

Pietro Bonazza