La nostra epoca non è migliore, né peggiore delle precedenti, è solo diversa. Ciò significa che molto del sapere sedimentato non è più attuale e diventa un reperto storico buono per gli eruditi. Continuare a invocarlo o è fuorviante o è opera di nostalgia consolatoria. Per esempio, nell’epoca: · del set aside (dice la Ue: se lasci incolta la terra ti do un premio); delle coltivazioni specializzate (senza arrivare alle transgeniche, ancora terreno incerto), che esigono più capitale mobile che superficie fondiaria (si pensi al rapporto del capitale serra riscaldata rispetto al valore della superficie sotto copertura); · della fuga dalle campagne di intere popolazioni (basti pensare a paesi del Mezzogiorno italiano abbandonati e ormai ridotti a “città fantasma”); · della mancanza di remuneratività dei prezzi delle derrate agricole e del conseguente abbandono di coltivazioni cerealicole antieconomiche, per non parlare di bachicoltura e linicoltura; ha ancora un senso parlare di spartizione delle terra ai contadini, quasi si dovessero ripetere le famose leggi promosse da Giulio Cesare per le distribuzioni dell’agro campano? Senza essere economisti, si può rispondere di no. Ma anche la storia più recente ce lo conferma. Nel 1950, la Democrazia Cristiana, Ministro dell’Agricoltura Antonio Segni, realizzò una politica di esproprio di terre incolte assegnandole a famiglie di braccianti. Gli storici sono concordi nel ritenere quel provvedimento, populista e marcatamente elettoralistico, come uno dei più colossali errori della DC e già negli anni Sessanta non era più ambizione del partito chiamare quella politica “Riforma Segni”. Se le cose andarono come andarono in un paese come l’Italia, che negli anni Cinquanta non aveva certo grandi tradizioni industriali, ma ne aveva di eccellenti in agricoltura, dove il Fascismo aveva profuso esperienze e intelligenze professionali non certo trascurabili, perché dovrebbero andare meglio negli anni Novanta in altre parti del globo, dove mancano persino le minime condizioni istituzionali per realizzare progetti analoghi? Ci si chiede: se la storia ha un senso e se l’economia nella sua evoluzione ha, a sua volta, un senso, come si spiega che nel 1998, quando tutte quelle esperienze storiche sono consolidate persino sui libri di scuola media, il Vaticano, in vista del Giubileo ora in corso, si sia fatto propugnatore di “disegni riformistici tesi a ridistribuire la terra”? Infatti: un cattolico per quanto rispetto, devozione e comprensione riservi alla Santa Sede, non riesce a spiegarselo, perché le buone intenzioni sono una cosa e le complessità della società internazionale attuale sono altra cosa. Forse la preghiera ottiene risultati migliori delle politiche sociali, così ricche di errori da lasciarle prudentemente ai politici, corazzati da inossidabili facce di tolla.