Segnaliamo ai lettori interessati al diritto societario, la sentenza della Corte d’Appello di Brescia, 25 maggio 2012, n. 667, che, esaminando una complessa e annosa vicenda ha concluso con convincenti motivazioni i vari punti della controversia, da cui si possono rilevare almeno tre punti di generale interesse.

a)      In caso di cessione delle azioni e attivando, successivamente al trasferimento, un giudizio su un preteso diritto a dividendi di bilanci anteriori, l’azione non può spettare al cessionario, ma all’ex socio, che è l’unico ad avere interesse ad agire, non rilevando i rapporti tra cedente e cessionario né i contenuti giuridici ed economici del contratto tra i due operatori, che sono estranei ad un thema decidendum incentrato su impugnativa di bilancio. Il giudice di appello bresciano ha richiamato, a sostegno della tesi, la sentenza della Corte di Cassazione 13 gennaio 1988, n. 181 (Dir. Fall., 1988, n. 3, II, pag. 421). Si osserva, per inciso, che la Suprema corte ha superato, nella citata sentenza, anche l’apparente scoglio dell’art. 2378 cod. civ., che prescriveva il deposito di almeno un’azione, che ovviamente l’ex socio non dispone più, la cui ratio è nella proiezione dell’attività futura dell’emittente, perché «…è fuori di luogo richiamarsi [a detta ratio] quando l’esistenza o meno di un diritto attuale dell’ex socio dipenda dalla sua passata partecipazione alla società e il futuro di quest’ultimo, invece sia divenuto per lui irrilevante.  In tali casi è evidente l’interesse dell’ex socio ad impugnare la delibera assembleare pur dopo la sua uscita dalla medesima ed è sufficiente, quindi, che egli dia la prova di tale interesse per legittimarsi all’esercizio della relativa azione». La decisione della Corte bresciana, ancorché richiami l’autorevole giurisprudenza del giudice di legittimità, è comunque convincente di per sé oltre che sul piano motivazionale, anche per l’analisi concreta e oggettiva dei fatti di causa.

b)      La vertenza, incentrata su una impugnativa di bilancio, trovava motivi di appello su una pretesa violazione del principio di chiarezza. Ricorda la Corte d’Appello di Brescia che «Chiarezza, peraltro, significa evidenza e soprattutto analiticità delle voci in misura adeguata alle esigenze di comprensione della composizione del patrimonio, dell’origine del risultato e delle ragioni per le quali una certa posta di bilancio ha acquistato la consistenza e la qualificazione che le sono state attribuite nel documento, rammentandosi che tra le funzioni del bilancio vi è quella di fornire ai soci e ai terzi tutte le informazioni prescritte dalla legge, non soltanto con riferimento ai dati conclusivi ma anche alle singole poste e al modo della loro formazione». Ma, se questa è asserzione di comune accettazione, è anche vero, secondo la Corte di appello, che «…è nulla la delibera di approvazione (solo) quando risultino in concreto pregiudicati gli interessi generali tutelati dalla norma, e non anche quando l’incidenza su di essi sia insignificante o trascurabile, come quando accade allorché la violazione sia nella sostanza irrilevante, in quanto priva di reale consistenza, meramente formale, di immediata percezione o di agevole correzione tramite informazioni rese in assemblea o comunque facenti parte del bagaglio conoscitivo del socio». Su questa affermazione si possono fare quattro constatazioni: i) la corte bresciana, con il richiamo al “bagaglio conoscitivo del socio” esprime lo stesso concetto espresso dal Tribunale di Vicenza 23 marzo 1999, secondo cui il bilancio è destinato non a quisque de populo ma a chi è capace di leggerlo; ii) il principio di ragionevolezza domina ogni azione anche di principio e di diritto e non può esserci ragionevolezza in ciò che è risibile; iii) i giudizi non si instaurano per fare filibustering; iv) l’assemblea, nello scambio anche dialettico ma non strumentale tra domande e risposte, può consentire “informazioni (rese in assemblea) di carattere integrativo giuridicamente rilevanti.

c)       Il principio di “continuità dei bilanci” deve essere sì inteso come un collegamento e un trascinamento causa-effetto da un esercizio ai successivi, ma non perennemente, perché se nella catena si interpone la rottura di un anello (mancanza di impugnativa di un bilancio intercluso, o sentenza che nega un’impugnativa intermedia o altro) la continuità si interrompe, cioè la catena si spezza e la continuità si arresta, come è logico e ragionevole ritenere.

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La sentenza è, a nostro avviso, degna di nota per le sue motivazioni sul piano giuridico e in specie processuale, che costituisce anche un chiaro messaggio e un invito implicito a proporre giudizi di sostanza, soprattutto in tempi, come gli attuali, in cui per la foga nomotetica di legislatori nazionali e internazionali e di commissioni paranormative di principi contabili, non basta più nemmeno essere esperti per fare bilanci inattaccabili. Fortuna che ci sono giudici a Berlino, che hanno sezioni anche bresciane.

(Pietro e Giulia Bonazza)