Non ho niente contro i filosofi. Anzi! Però la loro produzione diventa più dilagante, soffocante, inutile di quella degli economisti. Peraltro, le due professioni spesso si confondono e sovrappongono. Le biblioteche non bastano più a contenere tanta abbondanza di saggi, manuali, trattati. Non voglio invocare la decisione del barbaro califfo, che davanti alla Biblioteca di Alessandria ne ordinò l’incendio, perché basterebbe il Corano. Né auspico una Fahrenheit 451 o i roghi di libri (e opere d’arte) di quell’invasato di Savonarola, di Calvino o dei nazisti. Nella storia chi se l’è presa con i libri è finito male! Ammoniva Heine: «chi brucia i testi, finirà per bruciare gli uomini». Il libro è già qualcosa di prezioso per il simbolo del pane guadagnato dai tipografi.
Però, di grazia, un po’ di ritegno! Non bisogna mai esagerare.
A meno che il filosofo e l’economista siano soprattutto grandi scrittori, capaci di farti ingoiare le medicine della filosofia e dell’economia come fossero caramelle, magari un po’ purgative, così tanto per liberarti dalle scorie e lasciarti la parte buona ed essenziale di queste, che tanto ci perdono a essere discipline e tanto guadagnano a essere libera espressione di pensiero non necessariamente sistematico.
È piuttosto raro incontrare un simile autore. Conosco il piemontese-viennese Anacleto Verrecchia, penna intinta nel miele o nell’acido prussico, secondo necessità. I suoi libri sono tutti da centellinare con lentezza come per certi vini di gran corpo, che ne scopri sapori e retrogusti lasciando alle papille un momento di riflessione.
Elenco solo alcuni suoi libri: G.Chr, Licthenberg, Lo scandaglio dell’anima; La catastrofe di Nietzsche a Torino; Georg Christoph Lichtenberg; Cieli d’Italia; Giuseppe Prezzolini l’eretico dello spirito italiano; Giordano Bruno la falena dello spirito; Rapsodia viennese; Incontri viennesi; Diario del Gran Paradiso; ma segnalo che l’interesse per questo autore va anche alle prefazioni a libri come G.C. Lichtenberg “Libretto di consolazione;” A, Schopenhauer “ Colloqui”; “O si pensa o si crede”; A. Schopenhauer, “Sulla filosofia da università. Contro la stupidità in cattedra”, e in articoli di pagine culturali di giornali.
Verrecchia è una miniera, che riserva tanti metalli e cristalli pregiati. Bisogna scoprirli e alla fine ci si chiede: ma Verrecchia chi è? che fa di “mestiere” un uomo che considera la libertà  condizione vitale per sopravvivere? Le risposte se le deve dare ogni suo lettore, ma attenti: questo autore è come un iceberg, emerge per un ottavo e rivela la bellezza del suo stile linguistico, che è godimento per chi ama ancora il dantesco “sì”; per la parte sommersa l’analisi è più difficile, ma ancor più appagante. Non fatevi ingannare dalla crosta del ghiaccio; dentro il cristallo c’è un innamorato del bello, della natura e un difensore dell’uomo che soffre. Un umanesimo senza uomo al centro il suo, ricco di pietà per le debolezze dei grandi, che, alla resa dei conti, si sono rivelati del poveracci, comunque meritevoli della comprensione dell’autore.
Leggerlo si risolve in un problematico cogitare.