Se l’Unione Monetaria Europea, che vorrebbe materializzarsi nell’euro, esistesse, l’Italia ne sarebbe fuori per bocciatura iniziale o espulsione. Ma come potrebbe esistere una unione, se la sua moneta è solo virtuale, se pretende di imbarcare mezzo mondo e se Berlino tira da una parte, Parigi dall’altra, Roma tira indietro e Londra “potrebbe, ma non vuole”? Così, tra un’idiozia e l’altra sul “parmigiano” (pardon “Parmesan”) e le mozzarelle fatte col latte in polvere, dopo aver macellato milioni di vaccine intelligenti della pianura padana per far posto a quelle “pazze” di sua maestà britannica, incommestibili persino come bistecche, si consuma la “commedia dell’arte” su questa Europa, dove il Pulcinella italiano ruba la scena a tutti, pur rimanendo a stomaco vuoto. Quasi… quasi, vien nostalgia di re Franceschiello Borbone da Napoli. In questo quadro da “caduta dell’Occidente” (gli States non sono “occidente”) per dirla con Spengler, si potrebbe affermare, in un attacco di scetticismo politico, che essere dentro o fuori fa poca differenza. Ma ci dispiace, perché l’amarezza è godimento solo per i masochisti. Diciamo che questa Europa non ci piace, perché ne vorremmo una migliore; ma se non riesce la miserella, immaginiamoci l’altra: utopia mazziniana. Da questa ne saremmo senz’altro fuori e per espulsione. Perché?Nell’editoriale del numero di aprile del Bollettino della BCE, dopo aver riaffermato la necessità di ristrutturazioni nei mercati del lavoro per raggiungere quella flessibilità, che, con la moderazione salariale, può consentire la riduzione della disoccupazione, leggiamo questo passo: “La politica di bilancio deve svolgere il proprio ruolo in questo processo. Anche se la favorevole evoluzione economica si tradurrà in un più elevato gettito tributario non è opportuno, coerentemente con quanto stabilito nel Patto di stabilità e crescita, utilizzare queste entrate aggiuntive per aumentare la spesa pubblica. È giunto il momento di accelerare il processo di consolidamento fiscale al fine di ridurre ulteriormente il rapporto debito/PIL nei paesi dell’area dell’euro e di raggiungere più rapidamente posizioni di bilancio in pareggio o in avanzo.” La debolezza dell’UEM traspare in quel “non è opportuno”, che in un sistema forte sarebbe sostituito da un “è obbligatorio a pena di…” e questa debolezza fa il gioco dell’Italia che, così, può restare dove non potrebbe “stare”. Basta limitarci alla verità, ammessa dagli stessi governanti, che non sempre riescono a nascondere la verità: o perché la misura è colma o perché la usano per reciproche ripicche. Amato, ancora ministro del Tesoro, ai primi di aprile presentando in Parlamento la “relazione trimestrale di cassa”, denuncia lo stato precario della nostra spesa pubblica nonostante l’aumento della pressione fiscale. Verità o colpo basso al presidente D’Alema? Visco, fresco ministro del Tesoro, il 20 maggio annuncia che la spesa pubblica è fuori controllo. Verità o siluro contro il presidente Amato? Fa eco a tutti Monorchio, gran ragioniere generale, che da tempo denuncia sforamenti e ingovernabilità della spesa. Verità o gioco d’anticipo contro pericoli di licenziamento? Siamo costretti a prendere per veri i giudizi che vengono da quelle fonti non sospette. E che concludiamo? Che l’Italia non sta andando nella direzione indicata dalla BCE. Esaminiamo tre situazioni europee: in Francia Chirac e Jospin, mediocri politici ma non stupidi, han dimostrato di poter convivere; in Germania, annullati Kohl e Lafontaine, Schröder, socialista per tutte le stagioni (una specie di Amato tedesco) si trova a fronteggiare molti problemi simili a quelli italiani, ma può constatare che i sindacati digeriscono, non le 35 ore, ma le 50 settimanali; come a dire che i tedeschi hanno sì la IG Metall, ma non Cofferati e questo fa la differenza; in Spagna, le cose vanno abbastanza bene. Che vuol dire? Che questi tre, prima o dopo troveranno un accordo su disoccupazione (politica del lavoro), euro (politica monetaria) e spesa pubblica-pressione fiscale, cioè rapporto “debito/PIL” (politica di bilancio). Se vi sarà accordo sulle tre politiche – e le tre situazioni esaminate sembrano prevederlo – l’UEM potrà continuare. Dove potrà collocarsi l’Italia con la sua nota situazione? A Bruxelles si limiteranno a rispedirci indietro il professore Presidente o gli affideranno un cartellino rosso, perché lo consegni a Roma? Avremmo in giro per i palazzi parlamentari un qualche fantasma in più. Ne abbiamo tanti di ex presidenti disoccupati e scalpitanti, che fanno la gioia dei giornalisti televisivi (ma la TV potrà mai fare un “giornale”?), che quando li intervistano continuano a chiamarli “Presidente”, non si sa se per piaggeria, stupidità o ironia. Dubitiamo sull’ultima. I giochi sono aperti: Roma chiama Bruxelles. Temiamo chiamate in arrivo.