Non di soli tributi vive il Fisco. Esiste una fiscalità nascosta, che grava pesantemente su consumatori e produttori, ma giova alle casse dell’erario e non spingerebbe alla trasparenza nemmeno governi liberali e minimalisti… se esistessero.
Non sarebbe giusto imputare colpe all’attuale governo, gestore di pesanti eredità di predecessori, che ora, mandati all’opposizione dalla maggioranza degli italiani, strillano di denegata democrazia in ogni occasione, reale, manipolata o inventata. Quale sia lo stato di occupazione, scuola, giustizia e sanità lo sanno tutti, compresi quelli che fingono di non conoscere l’origine dei problemi. Pochi parlano di politica industriale e del suo motore: la politica energetica. Il ministro delle attività produttive, Marzano, ben conosce il problema, ormai irresolubile.
L’ENI, già all’epoca di Mattei, ha trivellato ogni angolo d’Italia alla disperata ricerca di un po’ di petrolio o di metano, senza la fortuna, tardiva ma consistente, di Norvegia e Inghilterra. È una beffa della natura che a pochi chilometri ci siano Libia e Algeria, sdraiate su fonti energetiche, da cui dipendiamo con condizionamenti persino sulla nostra politica estera; ma è realtà comune a tutta l’Europa continentale. Germania, Francia, Svizzera e persino la giovanissima Spagna hanno capito che il problema poteva essere risolto con il nucleare. Noi no: demagoghi appoggiati da politici interessati hanno convinto gli italiani, con un referendum nel 1987, che l’Italia dovesse avvalersi del petrolio arabo “pulito” e bandire lo “sporco” atomo. Risultato: parte consistente del nostro fabbisogno energetico è coperta da importazioni di energia elettrica “nucleare” da Svizzera e Francia e questa produce l’80% con 59 centrali atomiche. Alla prima che scappasse un colpo di tosse, ci troveremmo con il cesio nella minestra! E non è solo questione di sanità ed ecologia, ma di organizzazione dell’intero mercato energetico e della consequenziale bolletta, che grava su produttori e consumatori. Intorno al 1995 il governo di sinistra fu preso dal sacro fuoco del neoliberismo. Bisognava, si disse, togliere il monopolio all’ENEL e creare un mercato libero e trasparente. In questa ottica operò il ministro Bersani, esperto e onestuomo, che, però, concluse il suo mandato con un decreto, ancor oggi di difficile interpretazione e applicazione. Un fatto è certo: nel 2000 (dopo, le cose sono solo peggiorate), gli italiani hanno pagato il chilovattora da 50 a 90 lire in più rispetto ai francesi e in totale 8 mila miliardi di lire, in buona parte finita nelle tasche di furbi operatori, che trovano spazi in un mercato, in pratica inesistente. Di quell’enorme sovraccarico della bolletta, una parte l’hanno pagata i produttori, che, per non parlare della perdita di competitività nei confronti dei concorrenti stranieri, l’hanno scaricata nei costi, compensando i lauti guadagni dei loro fornitori. Consolidando i conti dei due operatori, si può considerare che il fisco è rimasto neutralizzato dai due segni algebrici contrapposti. Ma la parte pagata dai consumatori famiglie? Poiché i consumi di energia non si possono togliere dal reddito imponibile, il loro segno algebrico negativo non ha compensato quello positivo di “ENEL e compagnia”, che hanno visto aumentare i loro redditi di pari importo. Ma su questi differenziali il Fisco ha percepito le imposte piene. Da qui il nostro convincimento che, alla fine, lo stato abbia le sue convenienze, ma non si deve dimenticare che di situazioni del genere ve ne sono altre nel nostro allegro e irresponsabile paese. Convenienze a parte, sono tante le tessere che compongono il mosaico della politica energetica, da cui dipende quella industriale dell’azienda Italia.
Sono in tanti a “tirare la giacca” al governo. Spinte politiche, lobby, interessi sotterranei, pressioni di Confindustria e di agguerriti gruppi privati, che hanno fiutato il business dell’energia. Per fortuna sono assenti i sindacati, impegnati in una dura lotta politica sul falso pretesto dell’art. 18 e a inglobare nelle loro file i no-global, che poi – buon sangue non mente – sono i figli di quelli che hanno bocciato il nucleare nel 1987. Ma chi ha fiutato il business dell’energia ha buon naso e c’è da scommettere che non sbaglia. Allora, il povero consumatore chi lo difenderà? I produttori di candele?
Ma il prezzo dell’energia non è nemmeno il maggiore dei problemi. Esiste il continuo pericolo di black-out, data anche la continua crescita della domanda di elettricità e gas. Rimarremo senza benzina? Il rischio, reale dati alla mano, ha spinto a soluzioni alternative (si fa per dire!): l’idroelettrico e la turbina a gas. Per le centrali idroelettriche, burocrazia e appetiti locali permettendone la costruzione, è il caso di pregare: “speriamo che piova!”, visto che i ghiacciai sono sempre più miseri. Per le turbine, altra preghiera: “speriamo di trovare un fornitore!”.
In attesa di scoprire che cosa bruciare per produrre energia, gli italiani, che sono un popolo di piromani sempre pronti a gettare il fiammifero e nascondere la mano, incendiano i boschi, così tanto per disapplicare il consiglio di un famoso economista: “non bruciare il porcile per arrostire il maiale”. Qualche volta anche il Fisco lo fa.
(Articolo pubblicato su “ItaliaOggi”, 9 maggio 2002, pagg. 1-4)