articolo pubblicato sulla rivista “Il Postale”, 2006, n. 5 del I trimestre 2006, con titolo “Energia in un mondo globalizzato: l’assenza di una politica responsabile“- Editrice ““La Quadra”” Via Sombrico, 6 – 25049 Iseo- tel. 030981054

e sulla rivista “l’AUTONOMIA“, 2006, n. 5, Brescia, Via Ugo Foscolo, 3 – tel. 030 300744

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A) La domanda mondiale di prodotti energetici

Il mercato dell’energia, sia per chi la produce sia per chi l’acquista, è sempre più mondializzato o globalizzato (detto con termine politicamente più fortunato) e, mentre le aggregazioni internazionali alimentano operazioni di Merger & Acquisition o di accordi commerciali, nani provinciali si illudono di crescere. Finirà come è facilmente prevedibile, perché contro la logica economica nessun potere politico può opporsi nel medio-lungo periodo. Alla fine è sempre l’economia che vince, come il banco delle bische anche legalizzate.

In questo panorama, tutt’altro che allegro per il consumatore finale, si pone una domanda cruciale: come cambiano o sono destinati a cambiare i flussi di energia – ma sarebbe più espressivo dire di “forza motrice” – in un mondo globalizzato e apparentemente contraddittorio?

Da alcuni anni – e non sarebbe sbagliato sostenere: dalla fine della guerra nel Vietnam – sulla spinta della crescita del costo del lavoro nei paesi occidentali associato a un fenomeno circolare causa-effetto con calo demografico e invecchiamento della popolazione lavorativa, molte catene di produzione di beni di massa sono state dislocate in paesi emergenti, soprattutto orientali. I flussi di energia, che prima alimentavano quelle catene nei paesi occidentali, si sono spostati al seguito di queste, ma non si è verificato un fenomeno di sostituzione (di trade-off, come dicono gli economisti), perché la crescita del tenore di vita nei paesi occidentali ha spostato sui consumi domestici buona parte di quelli industriali. Basti pensare al numero di condizionatori installati oggi nelle case rispetto a venticinque anni or sono e ai conseguenti black-out estivi.

Non risultano pubblicate statistiche mondiali aggiornate, però già si nota che in Italia negli ultimi anni l’incremento di consumi energetici è risultato inferiore alla crescita del PIL. A parte la considerazione che PIL e consumi energetici sono interdipendenti e si muovono nella stessa direzione, si deve constatare che “incremento inferiore al PIL” è pur sempre un incremento e, se questo non spiega il fenomeno in termini analitici, resta aperto il problema di indagare se la crescita è stata determinata da usi civili più elevati di quelli industriali o, detto in altri termini: se i consumi energetici per impieghi produttivi sono stati più che compensati da incrementi nel benessere dei cittadini, ciò che non ci lascerebbe del tutto tranquilli per l’avvenire.

In Italia, per esempio, risulta nell’ultima colonna della Tabella 1che fatto 100 il consumo di elettricità, circa 1/3 è assorbito dai consumi di calore a bassa temperatura, un terzo da carburanti e solo il 13,8% per utenze propriamente elettriche. I ponti, le feste a go go, le ferie con i milioni di vacanzieri in cerca di guai autostradali (salvo prendersela con i pubblici poteri, “governo ladro”!), hanno il loro peso sulla bolletta petrolifera e indicano che stiamo vivendo al di sopra dei nostri “mezzi energetici”.


TABELLA 1: Università degli Studi di Pisa – usi finali di energia per settore – 1995/2000

 

I fenomeni descritti nella tabella trovano indiretto riscontro in quest’altra, che rappresenta il consumo di energia in Italia espresso in Mtep nel periodo 2001-2003.

TABELLA 2: Fabio Peron, Energia e sostenibilità, 2005, Università degli Studi di Venezia [1]

 

Rispetto al resto del mondo il paragone delle “Fonti rinnovabili” italiane è desolante anche se ci conforta che non è inferiore alla percentuale dei Paesi UE e OCSE.

TABELLA 3: Fabio Peron, Energia e sostenibilità, 2005, Università degli Studi di Venezia

 

 

La composizione delle fonti energetiche nei consumi italiani risulta la seguente


TABELLA 4: Fabio Peron, Energia e sostenibilità, 2005, Università degli Studi di Venezia

 

L’offerta mondiale di energia non è cresciuta in proporzione alla domanda e questo disallineamento ha spinto in alto i prezzi, soprattutto nei paesi importatori che dissennatamente hanno rifiutato il nucleare domestico, salvo rifornirsi dello stesso tipo di energia prodotta al di là del confine. Quindi, lo spostamento delle catena di produzione in un mondo globalizzato ha generato squilibri, che il mercato non riuscirà a correggere senza un nuovo convertitore calorico, che molti sperano di intravedere nell’idrogeno, a costo irrisorio come materia prima, ma ancora costosissimo come processo di conversione.

A questo fenomeno se ne è aggiunto un altro più recente, ma ancor più energivoro: l’espansione dell’economia industriale di nuove potenze – basti pensare alla Cina – che si affacciano in modo aggressivo al libero mercato e crescono per spinta endogena.

 

B) L’offerta mondiale di prodotti energetici

 

Il problema dei prodotti energetici non è limitato alla loro disponibilità in termini quantitativi. Per fare un esempio in valori esasperati, si può sostenere che a 200$ il barile, si può comprare tutto il petrolio che si desidera. Il problema è soprattutto: disponibilità di prodotti in quantità adeguata, a basso prezzo e queste due condizioni, se non si vuol credere nelle fate dell’eolico e del fotovoltaico, sono assicurate dai prodotti fossili e dal nucleare. I prezzi altissimi (già 60$ il barile sono un problema) compromettono la crescita (ecco il connubio energia/PIL) e l’aver voltato le spalle al nucleare ci ha ridotto a essere il paese più estero-dipendente del mondo occidentale

All’epoca dei decreti Bersani e Letta, esperti della materia sostenevano che i business più consistenti sarebbero stati i settori della distribuzione e della vendita di energia. Contro corrente, ho sempre ritenuto che la prevalenza sarebbe toccata alla produzione, ovviamente per chi la sa fare. I primi anni hanno dato ragione agli esperti, ma la causa è da ricercare in mercati della distribuzione e vendita molto imperfetti, però non destinati a durare senza nuovi interventi legislativi, che avranno validità solo nel mercato domestico. Mi sembra di notare, almeno leggendo i bilanci societari e interpretando situazioni di mercato, che la situazione stia cambiando e che gli utili dei settori intermedi si stiano assottigliando. Di contro, mi pare stia avanzando il settore della produzione, che, operando all’inizio della filiera e a livello mondiale, potrà avvantaggiarsi di una struttura di mercato sempre più concentrata e oligopolistica. In questo contesto così difficile da interpretare, ritorna la domanda iniziale: quale spazio per i nani di provincia? Fino a quando potranno autoalimentarsi della loro supponenza? Dovranno accontentarsi, se vorranno sopravvivere, ma questo significa abbandonare sogni di lauti profitti permanenti. Non è forse questa la mission dell’ente pubblico locale? O i suoi amministratori, quale che sia la loro bandiera politica, continueranno a bearsi nel sogno neoliberista della “botte piena e moglie ubriaca”?

Sta di fatto che oggi ci si accorge che il problema fondamentale non è fare business da mercato persiano, ma “produrre” energia, tant’è che in Italia si rilanciano centrali a carbon fossile e, dopo la crisi dei rapporti tra Kiev e Mosca di inizio 2006 sui gasdotti che vengono dalla Russia, si parla – talvolta purtroppo così tanto per dire – anche di gassificatori. Ma, sono soluzioni che farebbero ridere, se non ci fosse da piangere per la endemica mancanza di una politica energetica seria, coerente e responsabile.

 

C) La crescita sostenibile

 

Tornando all’economia globalizzata, si deve considerare che ancora una volta ci si illude con argomentazioni sterili da “struzzo che nasconde la testa sotto la sabbia”.

Sappiamo bene che la crescita dei consumi energetici dipende dallo sviluppo demografico, prevalentemente elevato nei paesi orientali che, per necessità o laboriosità, sono anche i paesi emergenti ed energivori. Ma l’uomo è anche l’animale più inquinante di questo mondo e questo fenomeno è esponenziale rispetto alla crescita del numero degli abitanti, perché l’uomo non accetta di morire di fame, anzi, vuole benessere e un impossibile il “pasto gratis”, come dicono gli economisti. Ed ecco apparire sulla linea dell’orizzonte come un punto che, avanzando, diventa sempre più gigantesco: il Protocollo di Kyoto.

Prendiamo come esempio Shanghai. Qualcuno parla di 20 milioni di abitanti. Forse non lo sanno nemmeno i cinesi, ma non è la precisione numerica che conta. Basta pensare ai morti per inquinamento. Pechino tace, ma è un silenzio assordante ed è la premonizione del nostro futuro. Altro che paradisi incontaminati, pascoli alpini e svizzerotte che girano il mestolo nel paiolo della pubblicità dell’emmental!

La natura non è né buona, come sognano i mistici, né maligna come la pensano i pessimisti: è natura e basta ed è costretta a fare da sé, se l’uomo, che si illude di dominarla, non sa regolarsi. Pensiamo ai lemming della Scandinavia, che, quando aumentano eccessivamente di numero vanno ad affogarsi in mare per ripristinare l’equilibrio biologico. Se dovesse accadere all’uomo, quel mare non sarebbe certo di “petrolio”.


[1] Si ricorda che il tep è acronimo di “tonnellata di petrolio equivalente”. 1 tep equivale a 19 milioni di Kcal e per produrre 122.296 GWh di energia elettrica da combustibili fossili (escluso il metano) si consumano 26,525 Mtep, con una efficienza media del 39%. Per produrre 95.905 GWh di energia elettrica da metano si consumano 18,259 Mtep, con una efficienza media del 45%, poco meno della metà del metano è utilizzata in cicli combinati, i quali possono avere efficienze del 55%.