Come è possibile rendere normale l’anormalità? Non esistono metodi o ricette, ma c’è un esempio convincente: l’Italia, paese santo per continua sopportazione, dimostra ogni giorno che si può, perché dimostra di saper sconfiggere l’anormalità. Alluvioni, terremoti, degrado ambientale, rifiuti, distruzione di patrimonio artistico, opere pubbliche incompiute, droga, mafia nazionale e internazionale infiltrata in ogni aspetto della vita pubblica ed economica, invasioni di disperati provenienti da ogni parte del mondo, grassatori della finanza, politici in servizio permanente effettivo, mancanza di una vera politica, che consente ai prevaricatori di dominare i più indifesi, con il beneplacito di una giustizia eversiva, ecc.

Diciamo che l’anormalità è una contraddizione e, se diventa normale, la contraddizione viene superata e il cittadino è in balia di forze prepotenti di ogni tipo.

Ma il cittadino è anche un contribuente e il suo status di uomo in pasto alla burocrazia e al Fisco diventa un simbolo di contraddizione, cioè di anormalità, resa normale per mancanza di difese. Un po’ come la malaria: se non c’è il chinino per l’uomo o il DDT per le zanzare, le popolazioni colpite finiscono per accettare un destino vincitore.

Inserire i problemi fiscali in questo quadro desolante sembrerebbe un insulto a chi convive con disastri naturali, ma, a ben guardare, un denominatore comune esiste.

Scartiamo l’evasione fiscale contro cui tutte le anime buone proclamano roboanti propositi e lotta senza quartiere. Siamo d’accordo che l’evasione è un delitto, ma in mezzo a morti ammazzati ogni giorno, l’evasore vede annacquare la sua colpa almeno per equiparazione ad altri delitti. Se chi ammazza un sindacalista come Biagi e D’Antona, per fare un esempio, si trova libero o mezzo libero, dopo pochi anni, magari con incarico di insegnare in aule universitarie, come si può crocifiggere l’evasore? L’Agenzia delle Entrate lo sa e, allora, combatte l’evasione con accertamenti transattivi, così se ne fanno tanti, si salva la statistica e si portano al Fisco un po’ di moneta. È purtroppo frequente sentire discorsi degli investigatori del tipo: “Lei ha le carte in regola, ha tenuto una contabilità precisa, le sue fatture sono regolari, ma noi abbiamo poco tempo e non possiamo chiudere un verbale rilasciandole una patente di correttezza. Purtroppo, lei è caduto nel gioco perverso dell’estrazione a sorte. Ci dia qualcosa in pasto, se no siamo costretti a permanere per lungo tempo”. Perbacco, così si risolvono i problemi all’italiana: con transazioni, conciliazioni, condoni, scudi fiscali ecc. Il diritto è altra cosa. Se poi la Cassazione ti dà una mano con l’ “abuso di diritto”, il gioco è fatto e lo statuto del contribuente, l’onere della prova e altre bagatelle del genere possono essere cestinate. C’è persino da chiedersi: ma in Cassazione i giudici sono tutti convertiti al berlusconismo, visto che stanno dando al governo una mano pesante? Il guaio (ci limitiamo a quello fiscale) è dovuto, da una parte alla psicologia dell’evasore assai simile a quella del giocatore incallito (gioca anche quando sa di perdere), dall’altra alla mancanza di un referente politico per le entrate. Fino ai primi anni 2000 esisteva il Ministero delle Finanze separato da quello del Tesoro, che rappresentava una figura anche politica e responsabile. Chi faceva il ministro di quel dicastero, aveva con il Ministro del Tesoro (quello della spesa) un rapporto dialettico. Dalla soppressione e incorporazione in un unico dicastero detto dell’ “economia”, quella contrapposizione non esiste più, ma a ben vedere non si è trattato nemmeno di incorporazione, perché le funzioni sono state demandate all’Agenzia delle Entrate, cioè al Fisco stesso e i risultati si vedono.

Il Ministro Tremonti impartisce lezioni di economia a tutto il mondo, ma del rapporto fiscale con i contribuenti se ne frega altamente, come farebbe un desaparecido. Non è stato fatto alcun progresso e non sono stati rispettati nemmeno impegni elettorali solennemente proclamati. L’IRAP è rimasta l’obbrobrio del suo inventore, il predecessore, salvo qualche limatura che è fumo negli occhi. Al Tremonti va bene così! Gli italiani continuano a evadere, per vizio ma anche perché non hanno miglior scelta. Poi arriva Sua Eccellenza e propone lo scudo fiscale. Forse pensa che gli italiani siano fessi. Loro sanno che lo scudo serve per coprire le vergogne. Di chi? Una Cassazione improvvida si fa paladina dell’ “abuso di diritto”, facendo finta di ignorare che tale obbrobrio in mano al Fisco diventa subito un “abuso di abuso”. Il Tremonti non si rende conto che l’evasione può vincerla solo l’evasore. E intanto che:

il premier gioca al torero che tenta di non farsi incornare nel momento del passo della “veronica”; il Brunetta che fa il diavolo a quattro; il Fini che non passa giorno che non dica il contrario di tutto, persino quel che lui stesso ha detto il giorno prima; la folcloristica Lega vola culturalmente sempre più raso terra; che la sinistra pur di non fare opposizione vera fa carachiri;

il contribuente, del cui voto ci si ricorda solo alla vigilia delle elezioni, è sempre più abbandonato a se stesso. Ma deve aver fede, cioè più di fiducia, perché le cose prima o poi cambieranno. Peccato che il “prima” e il “poi” siano precisati solo nei libri delle fiabe.

 

Pietro Bonazza