Impugnativa del Bilancio e Relazione sulla gestione
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1) Premessa – 2) Finalità del bilancio e della Relazione sulla gestione – 3) Deliberazione di approvazione del bilancio – 4) Impugnazione della delibera – 5) oggetto ed effetti della impugnazione – 6) L’evoluzione delle norme sulla “Relazione” – 7) Conclusioni
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1) Premessa
Per i soci delle società, la gran parte, che approvano il bilancio entro fine aprile-maggio l’impugnazione della deliberazione, dovendo essere proposta entro i successivi novanta giorni (art. 2377, comma 6, cod. civ.) e salva la sospensione dei termini feriali, è di prossima attualità. Ma qual è l’oggetto della impugnazione?
Nella pratica si notano frequenti incertezze e confusioni nelle verbalizzazioni dei segretari delle assemblee di approvazione dei bilanci e nelle impugnative delle relative deliberazioni, forse perché nella locuzione tecnica “bilancio” si ritengono compresi documenti che sono, invece, distinti, pur se le norme possono non essere sempre coerenti. Né basta rilevare che l’art. 2377, comma 2, cod. civ. offre la possibilità dell’impugnativa della deliberazione e non del bilancio, perché oggetto è l’espressione della volontà della maggioranza ritenuta illegittima, per concludere che impugnando la deliberazione si impugna anche il “tutto” deliberato e perché, prima, bisogna stabilire che cosa è oggetto di approvazione tradotto nella deliberazione. Se, per fare un esempio, che può essere letto anche come anticipazione, si può dimostrare che la “Relazione sulla gestione” non è oggetto di approvazione, se ne deduce in via logica e consequenziale che questa non può essere oggetto di impugnazione autonoma. Ma, se così è, emerge chiara la domanda a che serve la “Relazione”. Ed è a questa fondamentale domanda che si cerca di dare risposta.
2) Finalità del bilancio e della Relazione sulla gestione
La finalità principale del bilancio è definita dall’art. 2323, comma 2, cod. civ., che «…deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dell’esercizio». È evidente che per realizzare questo scopo, che ha natura di conoscenza ex post rispetto alla data dei fatti amministrativi, bastano la situazione patrimoniale e il conto economico, arricchiti, ai fini della chiarezza, della correttezza e della veridicità, dalla “Nota integrativa”. Ma il legislatore ha preteso dagli amministratori, anche da prima della riforma del D.Lgs. n. 6/2003, una “Relazione sulla gestione”, che sembra avere gli scopi di costringere i responsabili dell’amministrazione ad approfondire a se stessi le analisi principali delle caratteristiche dell’esercizio (art. 2428, nn. 1, 2, 3, 4, 6-bis) e le proiezioni sull’immediato futuro (fatti rilevanti accaduti dopo la chiusura, n. 5) e la programmazione (evoluzione prevedibile della gestione, n. 6) oltre che informare i soci e i terzi. La prima osservazione riguarda l’incipit dell’art. 2428:«Il bilancio deve essere corredato…». Ora, il termine “corredare” deve aver creato un qualche imbarazzo di scelta nel legislatore, che, evidentemente, non ha voluto impiegare “allegare”, ma un “portare in dote”. Non si vuol proporre un’analisi etimologica, sempre elastica trattandosi di termine linguistico, ma dal significato, si potrebbe anche dire dalla ratio, di quel verbo scaturiscono conseguenze di natura sostanziale e processuale su cui si intendono compiere le riflessioni di questa nota. Che la “Relazione sulla gestione” possa non essere un allegato del bilancio, anzi una “cosa” diversa, lo si desume anche dall’art. 2429, comma 1, cod. civ., che recita: «Il bilancio deve essere comunicato dagli amministratori al collegio sindacale, con la relazione…», in cui è evidente che la “Relazione sulla gestione”, diversamente dalla “Nota integrativa” che non è citata, non fa parte integrante del bilancio, ma ne è un “corredo”. Il concetto è ribadito anche nel comma 3, che impone (“deve”) il deposito del bilancio nella sede della società, «insieme con le relazioni degli amministratori, dei sindaci e del soggetto incaricato del controllo contabile», che, evidentemente si potrebbe ritenere che non devono essere approvati perché sono a “corredo” e non parte integrante del pacchetto “bilancio”. Non a caso si legge di seguito «…finché non sia approvato», proprio perché l’assemblea approva il bilancio e non anche la dote a “corredo”. La conseguenza immediata poteva essere la pubblicazione del solo bilancio e non anche delle relazioni che non sono una parte del tutto, ma il legislatore, a scanso di confusioni interpretative, all’art. 2435 cod. civ., ha imposto che: «…una copia del bilancio corredata dalle relazioni… deve essere depositata presso l’ufficio del registro delle imprese…».
Si legga sul punto a conferma l’articolo “Il procedimento di formazione del bilancio consolidato” Giur. Comm., 1997, pagg. 198 e segg., di Sabino Fortunato che afferma: “Oggetto della deliberazione approvativa, peraltro, è solo ed esclusivamente il progetto di bilancio di esercizio, compresi gli allegati in senso stretto, ma non anche la relazione sulla gestione che resta atto degli amministratori.”
3) Deliberazione di approvazione del bilancio
Nel paragrafo precedente e anche nella premessa si è precisato che oggetto della deliberazione di approvazione assembleare è il solo bilancio e non anche le relazioni a “corredo”. Pertanto, non sembrano corrette quelle verbalizzazioni che dichiarano che la maggioranza ha approvato il bilancio e la “Relazione sulla gestione” [1]. Seppur si noti che non esiste una norma specifica sull’oggetto dell’approvazione, i richiami normativi espressi nel paragrafo precedente, consentono di ricavare il principio che a essere approvato è il solo bilancio. Da qui la domanda sulla finalità del “corredo”. Non è solo questione di mera definizione, perché, come si vedrà in seguito, il corretto inquadramento si collega all’estensione dell’area di impugnazione. Si ricorda che il Tribunale di Napoli, in sentenza 24 febbraio 2000, ha affermato che la relazione sulla gestione e la relazione del collegio sindacale rivestono funzione integratrice e di completamento di quanto contenuto nel bilancio di esercizio. Il problema era già presente prima del D.Lgs. n. 6/2003, ma l’accomunamento delle due relazioni è ora più difficile, da che l’art. 2428, novellato, richiede che la relazione sulla gestione esprima anche elementi prospettici; quindi, la funzione integratrice può essere ancora accettata per la relazione dei sindaci e la parte della relazione sulla gestione, che riguardano solo la parte consuntiva, visto che il bilancio è un consuntivo, ma i due documenti sono ormai con funzioni ben diverse. Se si volesse proseguire nell’accorpamento bisognerebbe concludere in via logica che, poiché la relazione dei sindaci non può essere oggetto di approvazione da parte dell’assemblea che approva il bilancio, similmente non si potrebbe dire della relazione sulla gestione, ma, non si può negare, che la conclusione sarebbe inaccettabile. Si è prima rilevato e lo si ripete per miglior chiarezza, che la relazione sulla gestione ha due finalità: una, non dichiarata e forse anche inconscia, di costringere gli amministratori a un momento di riflessione su analisi che non emergono direttamente dal bilancio e l’altra di informare i terzi e in primis i soci allo scopo di rendere più consapevole, perché più informati, l’espressione del voto di approvazione o disapprovazione del bilancio. In altri termini di rendere più penetrante il controllo assembleare sulla chiarezza, precisione e veridicità del bilancio. Si spiega così perché la “Relazione” non è oggetto di autonoma approvazione, perché è strumentale ai fini del voto sul bilancio in senso stretto cioè sulla “resa del conto”. Innanzi tutto si osserva che l’art. 2377, comma 7, cod. civ. obbliga ora gli amministratori “a prendere i conseguenti provvedimenti”, locuzione già presente prima del D.Lgs. n. 6/2003, ma con la modificazione strutturale introdotta con l’art. 2434-bis cod. civ. si ritiene correntemente che non sia più obbligatorio, in caso di sentenza di nullità e di annullamento della delibera di approvazione procedere in ogni caso alla formazione e approvazione di un nuovo bilancio in sostituzione del precedente [2].
4) Impugnazione della delibera
Diventa consequenziale che il processo di impugnazione della deliberazione di approvazione ex art. 2377 cod. civ. possa riguardare solo il bilancio. La rubrica legis della norma è “Annullabilità delle deliberazioni” e, quindi, in caso di accoglimento della domanda, la sentenza esprimerà nelle motivazioni tutte le riserve e censure sul contenuto della deliberazione (il bilancio), ma non il bilancio in sé e ancor meno la “Relazione degli amministratori”. Il dispositivo finale della sentenza dovrebbe contenere l’ordine di sostituire la deliberazione annullata, ma non il bilancio in sé, seppur ne sia l’oggetto, perché, diversamente, il giudice dovrebbe anche entrare nel merito della composizione di un bilancio corretto invece di quello censurato. In altri termini: il giudice potrà affermare principi, ma non anche valori, da lasciare ad una successiva delibera. Ancor meno la sentenza potrà impartire ordini di riscrivere in tutto o in parte una nuova relazione diversa dalla precedente [3]. Sono noti casi in cui amministratori e assemblea si siano uniformati solo in parte o non si siano uniformati in toto alle prescrizioni della sentenza o solo in apparenza, ma in tali casi non vi potrà essere una conseguenza automatica e la parte che ha promosso una prima impugnativa dovrà tornare a proporne una nuova . Se la sentenza entrasse nel merito (valori) delle componenti impugnate del bilancio, non vi sarebbe alcuna necessità di rifare il bilancio, perché già vi avrebbe provveduto il giudice. Forse è affermazione troppo forte, ma pare che in tema di impugnativa di bilancio il giudice di merito sia in sostanza sempre un giudice di legittimità, che non può calarsi nella determinazione dei valori [4] e nemmeno dei criteri ritenuti più opportuni o nel loro apprezzamento, dovendo fermarsi alla constatazione del rispetto o della violazione dei principi di chiarezza e precisione e dei criteri di valutazione anche se bisogna ammettere che per constatare il rispetto o la violazione di un criterio di determinazione di una voce di bilancio eccepita bisogna pur prendere in considerazione il suo valore contestato, ma questo prima del rituale P.Q.M. della sentenza.
5) Oggetto ed effetti della impugnazione
Si è prima precisato che oggetto di impugnazione è la deliberazione di approvazione del bilancio e non del pacchetto che lo compone. Si sono notati casi in cui la parte impugnante ha eccepito su singole affermazioni della “Relazione” tacciandola di inadeguatezza o imprecisione, senza collegare questi rilievi a poste del bilancio, unico modo per date contenuto al termine “corredo”. Una impugnativa che si limitasse a generiche contestazioni della “Relazione” dovrebbe essere respinta dal giudice per indeterminatezza dell’oggetto o, meglio, per mancanza di oggetto, proprio perché la relazione non può essere oggetto di autonoma approvazione.
Solo una corretta definizione e collocazione della relazione nel sistema di quello che qualcuno incomincia a chiamare il “diritto del bilancio”, può consentire una corretta azione di impugnazione e una affermazione non equivoca del dispositivo della sentenza.
6) Evoluzione delle norme sulla “Relazione”
Si è prima ricordato che l’obbligo di redigere la “Relazione” preesisteva al D.Lgs. n. 6/2003, ma è evidente per effetto dell’innovazione che il testo attuale prescrive contenuti ben più ampi per l’inclusione del n. 6-bis al comma 2 dell’art. 2428 cod. civ. e in particolare una serie di analisi quantitative dei rischi patrimoniali, finanziari ed economici, da non confondere con gli “indicatori di risultato” della prima parte del comma 2, che sono elaborabili solo su dati consuntivi. Invece, i rischi del n. 6-bis hanno natura previsionale, perché, se riguardassero i dati di bilancio, costituirebbero una contradictio in terminis. I rischi possono riguardare l’avvenire, perché i passati si sarebbero già tradotti in eventi di natura quantitativa e sarebbero già nei valori contabili del bilancio. Quindi, i rischi del n. 6-bis con la descrizione dell’evoluzione prevedibile della gestione del n. 6, rappresentano valutazioni discrezionali degli amministratori riguardanti il futuro. Si nota che l’evoluzione dell’art. 2428 cod. civ. ha introdotto pregnanti elementi nuovi, che creano, almeno in parte, autonomia della Relazione sulla gestione rispetto al bilancio, da cui è facile arguire che vi possono essere casi di approvazione del bilancio e contestuale disapprovazione della Relazione. L’azionista, che ritenga di non poter impugnare separatamente la Relazione, secondo la tesi della non disgiunzione dal bilancio, si troverebbe: a non poter tradurre in termini concreti le sue riserve sulla parte previsionale della Relazione e, quindi, senza poter incidere sulla gestione futura oppure a impugnare l’intero bilancio. Il rischio, tutt’altro che teorico, di vedersi rigettare dal giudice il ricorso per mancanza di oggetto. A questo punto anche i sostenitori della tesi della unicità del “pacchetto bilancio” dovranno ammettere che o la norma attuale è insoddisfacente oppure che è impossibile impugnare la Relazione separatamente dal bilancio, costringendo l’azionista intenzionato ad approvare il bilancio nelle sue componenti valoristiche, ma non anche alcuni passaggi fondamentali della Relazione sulla gestione, ad esprimere il proprio giudizio avverso su quest’ultima nelle motivazioni del voto, con risultato del tutto sterile, perché il voto favorevole al bilancio, non essendo condizionabile, assorbirebbe e vanificherebbe le eccezioni sulla parte programmatica della Relazione.
7) Conclusioni
Vigendo l’attuale sistema per il quale o si impugna la delibera che approva il bilancio e con esso il pacchetto dei documenti connessi [5] o la domanda attorea resta priva di oggetto, sembra che in alcuni casi, non certo astratti se si considera l’importanza della gestione futura, l’azionista dissenziente su almeno parte della Relazione sia del tutto privo di tutela. Il giudice adito sarebbe impossibilitato a intervenire, perché non potrebbe certo sancire la correzione di una prospettiva gestionale che rientra nella discrezione e nel rischio d’impresa gestiti dagli amministratori. Finché non si arriverà ad una elaborazione giurisprudenziale, peraltro assai difficile e imprevedibile data l’unicità della delibera, di un necessario stacco tra l’approvazione della relazione e l’approvazione del bilancio, non si vede come sia possibile incidere su un programma gestionale che può essere più importante del bilancio consuntivo. La mancanza di organicità nella riforma del diritto societario e l’ansia del legislatore di imporre enunciazione di dati porta evidentemente a sacrificare qualche altro principio.
In effetti un socio non può impugnare la delibera di approvazione del bilancio di esercizio, attaccando la sola relazione sulla gestione e non anche il Conto economico, lo Stato patrimoniale e la Nota integrativa. Il socio può prendere atto della relazione sulla gestione e in sede di assemblea affermare di non ritenere valide le previsioni gestionali individuate dagli amministratori nella loro relazione. Per un impugnativa separata della relazione sulla gestione o si auspica un intervento legislativo oppure si lascia l’azionista in balia degli amministratori, che hanno legittimamente l’esclusiva della gestione a sensi dell’art. 2380-bis cod. civ. Allo stato attuale delle norme e delle interpretazioni giurisprudenziali, sembra che l’azionista possa solo attendere il verificarsi degli eventi negativi paventati e avviare, eventualmente, un’azione di danno contro gli amministratori successivamente, che potrebbero soccombere con aggravanti, soprattutto se l’azionista profetico avrà avuto cura di far mettere a verbale le sue dichiarazioni di voto favorevole al bilancio pur giudicando sfavorevole parte della relazione. Non si possono però sottacere tutte le difficoltà processuali del ricorso ai sensi dell’art. 2395 cod. civ. Ancor più problematico è il ricorso ex art. 700 c.p.c. prima del compimento dell’atto.
Pietro e Giulia Bonazza
[1] Non mancano verbalizzazioni nella pratica che dichiarano, impropriamente, anche l’approvazione della relazione dei sindaci e del revisore contabile, mentre dovrebbe trattarsi di una “presa di conoscenza”, tra l’altro pleonastica, perché se ne è data lettura in assemblea la conoscenza è implicita.
[2] Si vedano la sentenza Cassazione, 2.5.2007, n. 10139 e i numerosi commenti di dottrina a commenti stimolati sul punto.
[3] Nel regime antecedente alla riforma l’annullamento della delibera di approvazione del bilancio portava spesso alla redazione di un nuovo documento contabile sia per l’esercizio di cui alla nullità della delibera, sia in quelli successivi. Con la riforma l’orientamento giurisprudenziale è cambiato anche a seguito dei cambiamenti intervenuti sull’art. 2377 cod. civ. Si vedano le sentenze: Cass. 2.5.2007, n. 10139 e App. Napoli 7.7.2008 n. 2721.
[4] Sono note e possono essere ritenute tuttora citabili le sentenze del Tribunale di Milano 5.2.1981 e 2.12.1982, che hanno escluso che il giudice, nel dichiarare la nullità, possa dettare i criteri cui gli amministratori dovranno attenersi nella predisposizione del nuovo progetto di bilancio.
[5] Si veda la sentenza Tribunale Milano 5 maggio 1980, in Giur. Comm., 1980, II, pagg. 938 e segg., con commento di Silvia Pansieri.
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