La manovra da 47 miliardi che il Parlamento ha frettolosamente approvato nei giorni scorsi è la prova che, salvo nell’importo, probabilmente inadeguato, chi l’ha proposta non brilla certo di conoscenze adeguate di politica economica. Giustificare tanta fretta con il timore che la speculazione scatenata contro l’Italia avrebbe potuto fermarsi davanti a un tale provvedimento o è da ingenui o è da irresponsabili. Gli speculatori contro l’Italia, quelli che scommettono in un continuo peggioramento della precaria situazione, sono in buona parte gli stessi italiani, il cui patriottismo si ferma alle ipocrite festaiole celebrazioni del 150° e c’era da aspettarselo, perché la donazione dell’oro alla patria si è fermata a oltre sessant’anni fa. Tra l’altro, gli speculatori, che come avvoltoi aspettano appollaiati in attesa del pasto del defunto, hanno punti di riferimento semplici, ma inesorabili. E allora sono necessarie le manovre, ma il problema è come manovrare e, sul punto, le incoerenze di questo governo – ma lo sarebbero anche di governi alternativi – sono l’effetto di ignoranza di chi tiene le leve del potere e soprattutto del Ministro dell’Economia, che, però, non è un economista. È lecito chiedersi: la manovra è un’applicazione di ricette keynesiane o liberiste? Né l’uno né l’altro. Se si intende, con buona fede e onestà, ricercare le cause della situazione, bisogna addebitare tutte le colpe alla classe politica, avulsa dai problemi del paese, perché solo preoccupata di nascondere i propri intrallazzi con il mondo dell’economia privata, difendere i propri interessi personali, i propri privilegi e quelli di amici e affamati portaborse.

Si sostiene che la spinta a ogni manovra sia di natura economica, ma non è così. Il problema è prevalentemente politico: è la mancanza di ogni qualità morale negli uomini (e senza disprezzo per le quote rosa) nelle donne, che gli elettori hanno mandato in Parlamento. Vero è che, nonostante esperienze anche recenti, corruzione e concussione imperversano più di prima, lasciando le cose al loro destino senza interventi tempestivi ordinari che, accumulatisi, rendono necessarie le manovra straordinarie. Si constata che di fronte alle penalizzazioni imposte al ceto medio la casta si autodifende con successo. Si legge che la manovra non può toccarla, perché il governo non ha potere sulle spese e i compensi dei parlamentari e così tutto resta pressappoco come prima. Se è vero, è ancora peggio e lascia nell’elettore un senso di impotenza e mancanza di ogni speranza che la guerra per bande tra un potere e l’altro (il Colle contro il governo, la magistratura contro il governo, le autority contro il governo, un ministro contro un altro, i sindaci di comuni grandi e piccoli contro il governo, la stampa che si rifugia nel gossip, la televisione di stato, che serve interessi di parte politica). È una situazione che da anni non fa che incrementare il debito pubblico e frena ogni tentativo di ripresa, di cui pure non mancherebbero le forze e i presupposti. Che c’entrano in tutto questo bailamme di poteri alla deriva le ricette keynesiane o liberiste? Nulla, perché la causa non è economica. E a questo punto viene alla memoria il mito omerico di Ulisse, che dopo aver vagabondato per i lidi mediterranei, finalmente raggiunge l’amata Itaca e che trova? Una banda di fannulloni parassiti che in attesa della fine della tela di Penelope, gozzovigliano a spese delle risorse del re dato per disperso. Ma Ulisse non è solo un guerriero vincente, è anche un vendicatore e con l’arco, che lui solo ha la forza di tendere, fa strage di Proci. Non vogliamo augurare alla casta la fine dei Proci, perché la storia non si ripete e il mito ancor meno, anche se è bene non dimenticare il linciaggio del ministro Prina da parte dei milanesi, stanchi delle sue vessazioni tributarie, nel 1814, millenni dopo.

Intanto fioriscono i consigli dei soliti noti, che non si decidono a passare, come quel tale, poco amato, che nella notte dell’11 luglio 1992 alleggerì per decreto i depositi bancari di milioni di italiani e ora torna a pontificare con proposte di un’imposta patrimoniale. Un altro giurista, che si spaccia da economista e non è nemmeno un enciclopedista.