(articolo pubblicato sulla rivista “Il Postale”, 2005, n. 3 – Casa Editrice “La Quadra”, Via Sombrico, 6 – 25049 Iseo – tel. 030981054)

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Questo articolo è una provocazione. Le reazioni sono gradite.

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1 – La memoria

Marzo 1994, la società per azioni a capitale pubblico, sembra al termine della sua lunga gestazione, ma le idee sulla sua nascita sono alquanto confuse. La CO.GE.ME. spa cerca di dare risposte, organizzando un convegno che il 18 marzo 1994 riunisce a Monticelli Brusati qualificati esperti sul tema “La s.p.a. “pubblica” nella gestione dei servizi degli enti locali”. Tra i convegnisti c’è un provocatore, chi scrive, che ha il solo merito di aver fatto da ostetrica alla Cogeme “tutta” dei Comuni, con la benedizione dell’avv. Cesare Trebeschi, Sindaco di Brescia, amministratore pubblico che sapeva guardare lontano. La Cogeme aveva pieno titolo per organizzare un convegno così impegnativo, perché era società per azioni da ben prima che la legge lo prevedesse per le municipalizzate.
I lavori si svolsero nell’ordine e secondo gli standard dei buoni convegni, mettendo in evidenza le problematiche tecnico-giuridiche del difficile tema con il consenso dei relatori si manifestava via via completo e ottimistico. Ma il provocatore era piuttosto scettico sulle ragioni di tanto entusiasmo e, con delusione di un relatore, che più di altri prevedeva un futuro radioso di società pubbliche capaci di dare i migliori servizi e nel contempo riempire le casse comunali di lauti dividendi, ritenne di dire la sua. Riporto un pezzo dell’articolo che il “Bresciaoggi” del 20.3.1994 riservò, senza risparmio di spazio, al Convegno: «Tantissima la carne messa al fuoco da uno stuolo così qualificato di relatori, ma a ravvivare con forza il dibattito è stato il commercialista Pietro Bonazza quando ha affermato: “Deve essere chiaro che non si parla di privatizzazioni, ma di trasformazioni in spa di società pubbliche che non possono essere usate per doppi scopi. La parola business non può essere nascosta dietro il cappello pubblico. Sono ben altri i motivi che rendono dunque un passo obbligato la trasformazione in spa, anche se questa non è la panacea di tutti i mali e porta con sé rischi e inadeguatezze. È per esempio estremamente rischioso e difficilmente giustificabile voler trasformare aziende già cresciute, mature. L’esperienza  Cogeme ha funzionato, ma questa società di servizi è cresciuta come spa e non lo è diventata quando aveva già le rughe”».
Un pessimista intellettualmente onesto, deve sempre auspicarsi di aver torto e che gli eventi successivi si presentino più favorevoli all’interesse pubblico; se poi si muove su quel territorio vasto e insidioso senza confini tra economia e diritto, deve anche sacrificare le proprie idee personali per guardare a mente fredda le cause e gli effetti.
Allora, quali le ragioni di tanto pessimismo? La società per azioni è il simbolo del capitalismo e per gestirla ci vuole una sensibilità – o se si preferisce una insensibilità – che l’imprenditore privato può avere, pur nell’ambito della cosiddetta etica degli affari, ma che, in genere, l’amministratore pubblico non ha, a meno che non sia di estrazione imprenditoriale. In termini più netti: è difficile che l’amministratore pubblico, abituato per cultura e per scelta, ad amministrare servizi in condizioni di gratuità o di mera copertura dei costi, affronti la gestione di una società di diritto privato con l’obiettivo della massimizzazione del lucro. Si potrà obiettare che l’ente pubblico detentore del pacco di maggioranza o la totalità delle azioni, può designare alla gestione amministratori con cultura imprenditoriale; ma sarebbe illusorio, perché è l’ente pubblico che almeno una volta l’anno domina l’assemblea e impone le proprie aspettative di dividendo, per il che non usa la mentalità dell’imprenditore privato, ma quella dell’amministratore pubblico. Il tutto si traduce in una insanabile contraddizione, perché il socio privato è capace di rinunciare a dividendi per l’autofinanziamento dell’impresa e se necessario di sottoscrivere aumenti di capitale, mentre l’ente pubblico ha sempre le casse vuote e pretende sempre i massimi dividendi per far fronte alle sollecitazioni politiche della maggioranza e dell’opposizione, anzi, pretende dividendi anche prima del conseguimento, per poterli iscrivere in anticipo nel proprio bilancio pubblico, con esercizio sfalsato rispetto a quello della società di diritto privato. È questa una insanabile contrapposizione di vedute e di interessi, che in italiano si esprime nel detto “non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca” e  in inglese si condensa nel termine mismatching.
Il mio pensiero è molto semplice: se l’ente pubblico, obbligato a convertire la propria municipalizzata in società per azioni, intende mantenere la maggioranza del pacco azionario, è meglio che si tenga la totalità e gestisca l’impresa con “occhio pubblico”, perché la presenza del privato in minoranza creerà solo deviazioni, posto che questi pretenderà di ottenere per via traverse ciò che non ottiene come remunerazione del capitale; se, invece, l’ente pubblico intende cedere la maggioranza delle azioni ai privati, non scenda al 49%, che costituirebbe solo un congelamento del proprio capitale, ma abbia il coraggio di riservarsi solo una quota minima, per esempio il 5%, cioè quel tanto che basta per partecipare alle assemblee della società e “dire la sua”. Ora tutto questo non mi pare sia avvenuto, anche perché la cultura provinciale di noi italiani ci porta a copiare il peggio di quanto avvenuto in Francia, Germania e Inghilterra, dimenticando che il nostro tessuto economico e culturale è diverso.
Dal Convegno di Monticelli a oggi sono stati emanati due decreti chiave noti come il “Bersani” per l’energia elettrica e il “Letta” per il gas, norme valide solo per iniziare il processo. Si noti che il neoliberismo della sinistra ha fatto i conti sia durante i governi di quella parte politica e sia con quella attualmente al governo con potentati che si esprimono trasversalmente mediante le lobby, che, come ben si sa non hanno partito, perché hanno “tutti i partiti”. Alla fine si può concludere che è più ciò che non è accaduto di quello che sarebbe stato necessario accadesse.
La storia dell’ultimo decennio ce la ricordata molto chiaramente il dott. Franco Franzoni sul “Postale” n. 2/2005, nell’articolo “L’acqua: bene prezioso, ma quanta inefficienza…”, che, seppur mirato al settore idrico, è emblematico di tutto il settore delle multiutility.

2 – Il futuro

Mancano due quadrimestri scarsi a una nuova tornata elettorale. I programmi politici, che in Italia sono sempre esposti con il clamore dei proclami, non sono mai affidabili, per cui, anche se si può peccare di pessimismo, la realtà è che le lobby continueranno la loro sotterranea attività avvantaggiate dalla deplorevole ignoranza della visione globale, politica e collettiva dei bisogni. E poi, per essere più espliciti bisognerà considerare sin d’ora le priorità dei problemi dell’Italia, che nella loro oggettività, urgenza e difficoltà occuperanno i governanti, nuovi o vecchi, che usciranno dalle urne, sarà difficile che ci sia spazio per realizzare le parti mancanti del puzzle dei servizi pubblici e modificare, integrare e chiarire le norme che costituiscono impedimento al loro razionale svolgimento. Alla legiferazione dello Stato, che, a prescindere della forma di democrazia federale o accentrata, dovrebbe garantire una vera uniformità su tutto il territorio, si affianca la normazione delle regioni, contraddittoria e spesso frenante. C’è il rischio che nell’amministrazione di servizi pubblici si torni all’Italia degli staterelli prerisorgimentali. Speriamo di non rimpiangere lo stato attuale, in cui, tra vuoti e contraddizioni, tutto sommato anche le società a capitale pubblico si sono mosse in modo concorrenziale su tutto il territorio e sono cresciute, purtroppo spesso più per merger & acquisition che per dotazione di nuovi capitali e, si sa, l’unione di più debolezze non fa una forza.
Affidiamoci alla spinta delle cose, che spesso costringe a operare anche i propensi al rinvio. Anche il pessimista crede nell’avvenire.
Però, si deve anche osservare che le contraddizioni che caratterizzano la società pubblica multiutility, o meglio la scelta dell’ente pubblico di essere dominus totale (il socio “tiranno” dei giuristi) oppure di essere socio di infima minoranza, è scelta di coerenza e razionalità economica, che può non dipendere dalla legge, quando lascia opzioni, ma della visione politico-economica dell’ente pubblico.  È certamente una scelta coraggiosa in un Paese che ama le terze vie.
È mia convinzione, almeno attuale e tenendo conto degli interessi in gioco, della razionalità e della coerenza, che la scelta più adatta sia la società per azioni con l’ente pubblico in posizione di socio tiranno. Solo così potranno essere superate, almeno in parte, le contraddizioni del sistema oggi dominante. È anche opportuno considerare che i costi crescenti dell’energia e dei servizi di distribuzione e vendita non giocano a favore di gestori, distributori e venditori orientati alla massimizzazione del profitto. Il concetto di garanzia dell’equilibrio economico dei conti, in presenza di politiche nazionali orientate a mettere in primo piano l’interesse dei consumatori, potrebbe ridursi a un pareggio del conto economico, seppur comprensivo dei costi di rimpiazzo degli investimenti, ma non oltre. Non si dimentichi che i consumatori sono anche elettori e nessun partito chiederebbe sacrifici per avvantaggiare l’imprenditore, ancorché pubblico. Andiamo verso un’epoca di prezzi “soglia”, peggio che i ben noti “amministrati”. Se sarà così, i servizi pubblici dovranno tornare in gestione pubblica, non tanto per ideologia della superiorità della gestione pubblica, quanto perché il capitale privato troverà impieghi più vantaggiosi in altri settori.
All’entusiasta, ma ingenuo relatore del Convegno di Monticelli, estimatore del mismatching, potrei ripetere polemicamente la mia battuta non riportata dalla stampa: “se avrò azioni di queste società, sarò lieto di cedergliele, perché lei possa godere anche dei miei dividendi”. Nella mia economia, regalare lo zero non costa nulla.