Il foglio berlusconiano “il Giornale”, riprendendo una intervista pubblicata da un popolare rotocalco, ha dedicato in questi giorni al Nobel Rita Levi Montalcini un articolo agiografico denso di pathos. Niente da dire, anche perché lì scrivono bene tutti, forse anche le donne delle pulizie, e, comunque, il problema non riguarda il giornalista ma la scienziata, a cui questo dialogo ha dedicato il 13 ottobre 2000 una figurina venata di humor. Lo humor, si sa, non è mai irrispettoso, però avessi saputo che la novantaduenne Levi Montalcini, era già cieca, mi sarebbe mancato lo spirito. Ora la stampa rivela quella penosa menomazione e virgoletta questa dichiarazione: «…mi resta la luce della scienza ». Non un cenno a Dio. Ho grande rispetto per ogni fede e quella della Montalcini è chiaramente una dichiarazione di fede. C’è chi crede in Dio, soprattutto invecchiando, c’è chi crede in niente e chi crede nella scienza. Però è dura da credere che la scienza sia credibile e non per svilirla con paragoni alla fede religiosa, che chi non ce l’ha non ce l’ha e basta. Gli è che uno spirito scientifico, come indubbiamente deve essere un Nobel per la scienza, è innanzi tutto uno spirito critico e, a meno di essere uno sciocco positivista o un incontrollato scientista, deve nutrire riserve soprattutto sulla scienza e riflettere sulle sue ombre. La scienza moderna, figlia del Cartesio del dubbio sistematico, non chiede fede, ma fallibili esperimenti. Ben lo sapeva Einstein, che definì lo scienziato « ciò che rimane di lui dopo avergli tolto la sua scienza », come a dire che corre il rischio che non resti nulla. Einstein disse anche: « La scienza è zoppa senza la religione; la religione è cieca senza la scienza ». Ma, allora, qual è la malattia della Montalcini?