Pietro Bonazza

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R.O.I. : UN INDICATORE DINAMICO PER L’INCREMENTO DEL REDDITO

(L’articolo è stato pubblicato nella rivista "Banche & Banchieri", 1989, n. 2, pag. 131.

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1 – PREMESSA MORALE.

È in atto in questi ultimi tempi una discussione sull’eticità della condotta dell’imprenditore, che ponga il profitto come fine. Nonostante l’origine apparentemente diversa del problema, si tratta in realtà di uno dei tanti casi particolari del noto rapporto fra etica e scienza. Senza prendere alcuna posizione, data anche l’estraneità della sede, ci si limita qui ad osservare che i periodi in cui gli imprenditori hanno trascurato, o sono stati costretti a trascurare, ovviamente nella sola sfera produttiva, la massimizzazione (bisognerebbe incominciare a parlare di "razionalizzazione") del profitto, seppur nell’irrinunciabile rispetto di predeterminate regole istituzionali, il benessere sociale è stato solo apparente e comunque momentaneo. Finita l’illusione di poter dimenticare certi obiettivi ci si accorge che il costo sociale della loro rinuncia è molto più alto degli svantaggi del conseguimento, ammesso di non considerare che la massimizzazione del profitto, in condizioni di razionalità e di legalità, non sia già un auspicabile obiettivo, anzi un dovere sociale. In queste note si dà per opportunamente prioritario, fra gli obiettivi dell’impresa, quello della massimizzazione del reddito, con sua accettazione anche sul piano morale, poiché, per quanto si affermi libera da vincoli esterni, la scienza assoluta non esiste, essendo pur sempre una rappresentazione che l’uomo dà dei fenomeni in un certo momento storico e poiché la scienza è un prodotto dell’uomo, questi ha bisogno di giustificarla davanti al suo io morale e non viceversa. Se si toglie alla nota distinzione tra scienze naturali e scienze storico-sociali la carica di valore assoluto che, nonostante i provvidi recenti anarchismi epistemologici, continua ad avere, si può ritenere che tutte le scienze, almeno in certi limiti, sono storico-sociali, che nessuna è assolutamente oggettiva e che a chiunque fa pratica scientifica è posto il problema pregiudiziale della eticità delle sue attività. Semmai la libertà non è quella della scienza nei confronti dell’etica, ma è dell’uomo verso preconcetti ideologici, di cui si può rivestire la stessa etica. In ciò l’uomo di scienza, di qualsiasi scienza, non è affatto diverso dagli altri viventi. L’economia di azienda, incentrata sulla premessa che le sue attenzioni sono: il profitto e la sua dimensione, ha quindi bisogno, come le altre discipline di una premessa critica, che pervenga ad una giustificazione e quindi alla accettazione del suo principio fondamentale. È ovvio, infatti, che l’eventuale abbandono dell’obiettivo della massimizzazione del profitto, nei termini relativi prima indicati, porterebbe a riscrivere radicalmente l’intera disciplina, con l’abbandono delle conoscenze e delle regole sin qui proposte e verificate. In queste note si porrà la relazione fra ROI e costo dell’indebitamento come riferimento per razionali decisioni di investimento. Sotto certi limiti l’indebitamento diventa sconsigliabile, perché contrario alla massimizzazione del profitto, se tale è l’obiettivo. Se, invece, l’obiettivo fosse l’occupazione, la relazione non avrebbe più alcun valore per le decisioni da intraprendere, ma sarebbe facile dimostrare, anche senza ricorso alla storia della fallimentare economia assistenzialistica, che se si vuole una occupazione permanente, è il miglior profitto che deve essere perseguito, perché con l’autofinanziamento si avvia il circolo virtuoso del razionale ampliamento delle capacità produttive [1]. L’eticità non è quindi problema che attenga alla dimensione del profitto, ma alla sua destinazione, successiva al suo effettivo conseguimento.

2 – IL ROI E LA REDDITIVITA’ FINALE.

Il dinamismo dell’economia, l’affinamento delle tecniche di analisi dei fenomeni aziendali, l’ampliamento dei listini di borsa e delle correlate necessità di giudizi critici di sintesi sulle società, l’internazionalizzazione dell’economia, con altri fenomeni meno appariscenti ma determinanti, hanno creato interesse degli operatori su indici tipicamente aziendali e proposti inizialmente in campo microeconomico, ma ultimamente diffusi anche in indagini settoriali e macroeconomiche a dimensione nazionale. È il caso del ROI (Return On Investment), indice introdotto ormai nei più elementari programmi di software aziendale e di uso dilagante indotto dalla diffusione dei microelaboratori, ma anche proposto come misuratore di economicità di gestione di comparti merceologici o geografici.[2]

Il rischio è l’uso acritico dell’indice, nonostante la dottrina abbia posto da tempo condizioni di corretti trattamenti preventivi dei dati per evitare il rischio di errati giudizi o di pericolose scelte, frequenti quando dalle astratte sfere della teoria si passa ad un uso pratico su dati contabili, che la complessità dei fatti aziendali ed ancor più la inscindibile congiunzione e correlazione dei fenomeni economici e contrattuali rendono di delicata applicazione. Ma nemmeno la dottrina è concorde su tutti i punti del problema, segno che le riflessioni dei teorici non si sono ancora assestate e manca un paradigma di comune accettazione. Il ROI è sinteticamente ottenuto mettendo a rapporto il reddito operativo ed il capitale investito. È noto che il reddito operativo è una misura di reddito al lordo di: oneri finanziari, valori economici straordinari e prelievo fiscale. Ma già sul numeratore del rapporto sorgono perplessità, se si rileva che nei costi di approvvigionamento possono annidarsi oneri finanziari impliciti conglobati nei prezzi di acquisto, quando le modalità di pagamento scelte dall’azienda determinano quotazioni diversificate per scadenze. Soprattutto nei tempi attuali, in cui l’aspetto finanziario è tenuto in particolare attenzione, è impensabile che vi siano offerte di fornitura non articolate secondo criteri finanziari e, anzi, le aziende acquirenti, che godono capacità di credito anche bancario, possono effettuare una gestione di tesoreria attiva con arbitraggi tra il costo del danaro bancario e quello implicito dei listini di fornitura. Nel conto economico verticale si instaurano vasi comunicanti sempre aperti tra valori "a monte" del reddito operativo (principalmente costi di approvvigionamento) e valori "a valle" (oneri finanziari). Se poi si considera che l’azienda è anche venditrice, tutte le riflessioni fatte per le scelte di acquisto valgono anche per le vendite, interessando il fatturato netto, che è il valore primo da cui diparte un conto economico a struttura verticale. E con gli interessi vanno considerati anche gli sconti che, in genere, sono un aggiustamento dei prezzi successivo a modalità di pagamento previste nei contratti in termini diversi da quelli poi definitivamente assestati. Si potrebbe concludere che il ROI è inaffidabile per incertezza del valore del numeratore. Ma, allora e per analoghi motivi, sono inutilizzabili anche altri indicatori come: il valore aggiunto, il margine operativo lordo e l’indice ROS, misuratore della redditività delle vendite. Se l’economia di azienda ambisce a essere scienza non può certo pretendere di fondare le proprie interpretazioni dei fenomeni su dati non corretti. Senza scomodare l’epistemologia si deve accettare la regola di mero buon senso che è meglio astenersi da interpretazioni, piuttosto che fornirne di errate o di scarsa affidabilità. Qui, però, si debbono ricordare almeno tre avvertimenti preliminari:

– l’interpretazione di un qualsiasi fenomeno aziendale non dovrebbe mai fondarsi su un unico indice, non tanto per timori di incertezza sullo stesso, ma perché l’analisi di un solo dato è già di per sé carente sul piano della metodologia scientifica. Gli indici applicati all’analisi di un bilancio devono essere elaborati in sistema e ognuno conferma e integra gli altri per la miglior interpretazione del fenomeno. Inoltre gli indici non dovrebbero nemmeno essere proposti da chi non ha dell’azienda una conoscenza globale ed approfondita, tale da consentire le opportune rielaborazioni dei dati in relazione ai diversi obiettivi posti, mentre si assiste ad una volgarizzazione di dati parziali e di incerta aggregabilità, che stampa pseudospecializzata propone come termine di paragone fra aziende molto diverse, soprattutto per struttura finanziaria;

– l’analisi di un bilancio e prima ancora l’interpretazione di un indice, sono cosa ben diversa dalla formazione del bilancio. Chiunque si accosti all’economia di azienda riceve, prima di ogni approfondimento, il preliminare avvertimento che il bilancio di esercizio è una determinazione incerta, perché solo nel momento finale, conseguente alla liquidazione, si potrà conoscere il risultato economico certo. Ma, con questo, da secoli nessuno ha mai proposto di rinunciare alla determinazione del reddito di periodo pur nella ineliminabile congiunzione fra esercizi. Vi è cioè un grado di approssimazione che è accettato, perché i vantaggi di un dato relativamente incerto sono maggiori della sua inesistenza;

– l’analista dovrà porre in atto tutte le sue attenzioni per dare omogeneità alle classi di valori, ma non sarà tenuto alla precisione matematica, peraltro già irraggiungibile per l’indivisibilità dei processi. L’obiettivo dell’analisi di bilancio non è quello della sua formazione. Non è una misura, peraltro sempre convenzionale del reddito, che si cerca, ma l’andamento di fenomeni, la loro spiegazione e quindi il loro trend. Richiamando termini clinici, la misurazione della temperatura serve alla diagnosi di un medico attento e dotato di capacità intuitive anche con scarti di precisione, ma la temperatura non è di per sé sufficiente alla diagnosi.

Questi rilievi, per la loro ovvietà, sarebbero banali se, anche recentemente, non si fossero letti negativi giudizi troppo risoluti sulla utilizzabilità del ROI [3], per il quale, invece, non si dovrebbero tanto proporre accuse o difese quanto sottolineature su alcuni rischi di uso in circostanze particolari, rifuggendo da facili generalizzazioni, sia nel prescrivere, sia nello sconsigliarne l’uso.

Ritornando al ROI si rileva, invece, che meno problematica è la determinazione del denominatore del rapporto, su cui converge l’opinione che deve essere il valore dell’attivo della situazione patrimoniale depurato dei valori rettificativi e principalmente il fondo di ammortamento, talché il valore delle immobilizzazioni coincida con il residuo da ammortizzare. Anche questo richiamo è finalizzato a quanto si dirà in seguito. Il ROI è definito correntemente come indice della redditività della gestione caratteristica e rivela il grado di efficienza con cui la gestione ha utilizzato le fonti interne ed esterne di capitali ed esprime la capacità dei processi produttivi caratteristici di remunerare capitali propri e di terzi. La sua espressione formale è, quindi, sinteticamente

ROI = RO/CI con

RO reddito operativo e

CI capitale investito.

Ma il ROI si arricchisce di significati e amplia le possibilità di sue applicazioni se viene espresso in funzione del R.O.E. (Return On Equity), l’indice che misura la redditività del capitale proprio. La sua espressione formale diventa:

ROE=[((ROI-(OF/MT))*(MT/MP)]+ROI [1]

in cui

ROE è l’indice della redditività del capitale proprio, cioè il rapporto fra reddito netto e mezzi propri: RN / MP ;

OF / MT è l’indice del costo dell’indebitamento, in cui OF rappresenta gli oneri finanziari e MT i mezzi di terzi;

MT / MP è la leva finanziaria (L) o quoziente di indebitamento.

È opportuno anche ricordare:

  1. – la struttura verticale del conto economico relativa alla produzione del reddito di esercizio, prescindendo dalle imposte

Schema A)

VENDITE NETTE

________

(meno: costi esterni)

VALORE AGGIUNTO (V.A.)

_________

(meno: costi interni)

MARG.OPERAT.LORDO (MOL)

________

(meno: ammortamenti)

REDDITO OPERATIVO (R.O.)

(meno: oneri finanziari e imposte)

REDDITO NETTO (R.N.)

_____ [2]

-la condizione di pareggio del bilancio, cioè di eguaglianza di attività con passività + capitale proprio della situazione patrimoniale al termine del periodo t

CI = MT + MP [3]

Bisogna ora riprendere la precedente premessa metodologica e ricordare che una riscontrata inaffidabilità, in casi concreti e individuati, del reddito operativo RO, rende inutilizzabile oltre che il ROI anche il collegamento che questo indice può avere con il ROE. Verrebbe meno, in tal caso, l’utile impiego della [1] per decisioni relative all’uso della leva finanziaria, soprattutto in casi di realizzabilità di investimenti programmati. Nella forma della [1] ai difetti del ROI si assommerebbero quelli, di eguale derivazione, dell’indice del costo dell’indebitamento espresso dal rapporto OF/MT, in cui il numeratore risulterebbe impreciso, in presenza di una politica di acquisti con scelta di prezzi-costi comprensivi di interessi. Considerazioni speculari bisognerebbe svolgere sui prezzi-ricavi, perché il problema del compratore riguarda anche il venditore e perché ogni compratore è a sua volta venditore.

A questa critica, non infondata, ma a mio avviso non generalizzabile, è già stato risposto che vi può essere una accettabile compensazione considerando che risulterebbero approssimati per difetto sia il minuendo (ROI) che il sottraendo (OF/MT) [4]. Prescindendo dal grado di accettabilità di tale osservazione, è pur vero che due approssimazioni non fanno un’esattezza, ma si può ritenere che valgano i tre avvertimenti prima ricordati e che il cosiddetto "margine di sicurezza", rappresentato dalla differenza (ROI – OF/MT), possa essere, anche in pratica, un riferimento per valutazioni critiche ex-post sulla gestione, ma soprattutto per una strategia di azienda, allorché siano programmati: miglioramenti, risanamenti o rientri da situazioni patologiche ed anche quando siano poste politiche di espansione con nuovi investimenti.

Vi è, anche in dottrina, una generalizzata indeterminatezza fra uso del ROI per analisi ex-post e per proposte di gestione. Si può ritenere che nei casi in cui ROI e OF/MT sono sottostimati, il difetto può trovare contemperamenti, nel caso di analisi ex-post su serie storiche di bilanci, anche nella constatazione che le modalità di pagamento sono relativamente stabili nel tempo. L’azienda, seppur calata in una realtà dinamica, tende alla stabilizzazione di clienti e fornitori, i cui rapporti si consolidano dopo lunghe e costose selezioni sulla base di consuetudini conosciute ed accettate. Anzi, tale selezione può diventare componente positiva del valore di avviamento. Ad esempio, un’azienda che da tempo vende a novanta giorni data fattura non potrà facilmente imporre alla propria clientela riduzioni drastiche di termini di pagamento. Il consolidamento dei rapporti rende relativamente stabili nel tempo le approssimazioni degli indici, per cui l’esame del trend può essere, ciononostante, significativo proprio per l’omogeneità degli errori.

Il rilevato difetto, inoltre, sparisce quando ROI e OF/MT siano applicati a budget di modificazione di strutture o di investimenti suppletivi. In questi casi l’imprenditore, dovendo porsi programmi di copertura dei fabbisogni finanziari, deve calcolare, necessariamente ed in relazione alle offerte di mercato ed alla capacità di credito o di autofinanziamento, i costi finanziari dei fabbisogni, costi che, anche se impliciti, possono essere facilmente isolati a priori. Si faccia l’esempio di un investimento suppletivo di 100 realizzabile o con pagamento immediato al fornitore, ma ricorso al credito ad un tasso noto, oppure, in alternativa offerta dallo stesso fornitore, con dilazione di pagamento mediante maggiorazione del prezzo. ROI e OF/MT applicati ai dati previsionali dell’investimento sono sempre calcolabili correttamente, tenendo conto, se del caso, anche degli oneri impliciti. La critica alla validità della relazione fra i due indicatori ROI e OF/MT per decidere l’uso della leva finanziaria cade proprio là dove riteneva di colpire: la politica dei nuovi investimenti. Infatti, quando si fanno investimenti suppletivi, è consigliabile ragionare, prima che sugli indici generali, su quelli ricavabili dai valori marginali.

In prima approssimazione è utile verificare se

DRO/DOF)>(DOF/DMT) [4]

in tutti i periodi di durata dell’investimento. Se il ROI relativo ai valori incrementali dell’investimento, realizzato con ricorso a mezzi di terzi e quindi con aumento del leverage, non è inferiore a quello ottenibile in mancanza e la [4] è verificata, si ha sempre e immediatamente un incremento della redditività del capitale proprio. È ovvio che l’incremento del ROE potrebbe essere ottenuto anche in mancanza di talune condizioni, ma l’imprenditore che affronta il problema di scelta deve innanzi tutto constatarne la prevedibile immediata bontà.

In caso contrario l’imprenditore potrebbe decidere ugualmente l’investimento, quando, per esempio, l’obiettivo sia la conquista di quote di mercato con la necessità di ampliamento della struttura produttiva e la realizzazione di economie di scala a tempo differito. In tal caso il ROE migliorerebbe solo a tempi più lunghi. Sarebbe questo un esempio della necessità che l’uso di un qualsiasi indicatore sia posto sempre in relazione agli obiettivi finali. In termini diversi: l’imprenditore è vincente quando sa praticare una buona strategia, non sempre quando si affida alla sola tattica. Si devono, allora, esaminare le condizioni alle quali un nuovo investimento può essere deciso pur non risultando immediatamente verificata la [4]. Si è prima ricordato che il denominatore del ROI è costituito dal capitale investito al netto, tra l’altro, del fondo di ammortamento e incrementato del reddito operativo, se non altro come aspetto numerario della sua evidenza economica, trascurando che nella dinamica gestione potrebbe concretarsi in una riduzione del passivo. Ne consegue che in ipotesi di costanza o di crescita degli altri valori, il ROI è destinato ad aumentare al passare degli esercizi ed allora la [4] va interpretata come relazione fra valori attuali di flussi di incrementi. Si faccia l’esempio di un investimento aziendale suppletivo di 1000 realizzabile a inizio periodo, ammortizzabile in cinque esercizi, finanziabile con prestito a interesse del 12% annuo posticipato sul debito residuo e da rimborsare con versamenti annuali a rata capitale costante oltre agli interessi, da attingere alla liquidità aziendale formata dal capitale proprio iniziale, dal reddito e dalla quota di ammortamento. Sia dato un capitale proprio di 20 finalizzato all’ampliamento ed il reddito operativo sia costante nei cinque esercizi e pari a 100. Per semplicità si ipotizzi ancora che non siano distribuiti utili e che la liquidità residua dopo il rimborso della quota annuale di prestito non sia reinvestita e quindi non produca a sua volta reddito, ciò che rende l’esempio più restrittivo della realtà, nel senso che se esiste convenienza all’investimento con liquidità sterilizzata, a maggior ragione la scelta sarebbe valida se le giacenze liquide producessero un interesse almeno pari a quello corrisposto per il prestito. Si fanno due ipotesi:

– rimborso di quota capitale del prestito e degli interessi annuali nell’ultimo giorno dell’esercizio, ma prima della chiusura dei conti. I bilanci assumeranno i valori indicati alle colonne 1.a, 2.a, 3.a, 4.a, 5.a della tabella;

– rimborso della quota capitale del prestito e degli interessi nel primo giorno dell’esercizio successivo alla chiusura dei conti. I bilanci assumeranno i valori indicati alle colonne 1.b, 2.b, 3.b, 4.b, 5.b della tabella.

La rappresentazione delle due serie di valori mette in evidenza come gli indici, che dovrebbero servire per analisi di fenomeni economici non puntuali ma di trend, risentano dalla rappresentazione formale in bilancio per il solo spostamento di un giorno nella rilevazione di fenomeni meramente finanziari, come quello del pagamento di una rata di prestito.

Tabella

NB: la tabella è stata omessa per difficoltà tecniche relative al caricamento sul WEB. Può esserne fatta richiesta all’autore con e-mail de “ilDialogo”.

Si nota che alla fine del primo esercizio la [4] non è verificata poiché ROI < OF/MT, ma già nel secondo il margine di sicurezza diventa positivo. Applicando rigidamente la condizione [4] riferita ai valori degli indici del primo esercizio l’investimento può essere scartato, secondo le conclusioni esposte nel saggio citato in nota (4), ma una visione di più lungo periodo, che è tipica dell’imprenditore, ne consiglierebbe l’effettuazione anche senza analisi del tipo REA. Infatti, la [4] può ancora essere utilizzata se gli incrementi sono interpretati, anziché sul singolo periodo, come valori attuali di flussi riguardanti più periodi. La [4] potrebbe essere così modificata

[(Sommatoria per i da 1 a n di Roi.vi)/(n/DCI)]>

[(Sommatoria per i da 1 a n di Roi.vi)/(n/DMT)] [4 bis]

in cui:

[(Sommatoria per i da 1 a n di Roi.vi)/(n/DCI)]

è valore medio dei valori attuali dei redditi n operativi ottenibili con l’investimento suppletivo D CI

[(Sommatoria per i da 1 a n di Roi.vi)/(n/DMT)]

valore medio dei valori attuali degli oneri n finanziari da sostenere per l’indebitamento suppletivo D MT calcolati al momento della concessione supposto coincidente con quello dell’investimento.

Nella fattispecie si avrebbe, in riferimento ad entrambe le ipotesi:

(a figurato n al tasso 0,12 /5)=72

da porre in rapporto con D CI = 1000

[(Sommatoria per i da 1 a n di OFi.1,12i)/5]> da porre in rapporto con D MT = 1000

La [4 bis] è evidentemente verificata. Poiché scopo di queste note è proprio l’uso del ROI in relazione al "margine di sicurezza" e alle politiche aziendali, particolarmente di espansione e in settori caratterizzati da componenti peculiari come l’agricoltura, è necessario un altro richiamo metodologico e cioè l’asserita superiorità dell’indice R.E.A. (Risultato Economico Attualizzato) rispetto al ROI, in caso di decisioni di nuovi investimenti.

Per maggior semplicità espositiva si rimanda alla nota in calce una critica di tale assunto e si afferma che il ROI può, invece, servire allo scopo, fatti salvi i soliti avvertimenti [5].

Il fine di lucro, che se non è la ragion d’essere dell’impresa è però la ragione della sua durevole sopravvivenza, non può porre RN come obiettivo finale, perché il suo valore assoluto ha scarso significato in una economia di mercato che offre una largo ventaglio di alternative di investimento e si diffonde la disgiunzione fra management e proprietà del capitale aziendale. Le stesse valutazioni del capitale societario e delle sue quote ideali, le azioni, sono incentrate sull’indice di redditività. Invece, è il R.O.E. che deve essere posto come obiettivo finale. Il R.O.I. diventa, allora, obiettivo intermedio. Il collegamento funzionale tra le variabili della [1] e della [3] è il seguente:

RO —–> CI —–> RO/CI = ROI

– OF —–> – MT —–> OF/MT = i

—– —–

RN —–> MP —–> RN/MP = ROE

L’obiettivo, in termini di ottimalità, potrebbe essere, in alcuni casi, il mantenimento di un R.O.E. esistente. Qui, invece, è fatta l’ipotesi di una proposta di incremento dell’indice ritenuto non ottimale e migliorabile. Si può, allora, proporre:

D ROEt-1 = ROEt – ROEt-1

D ROEt-1 = [(ROIt- it).Lt+ ROIt] – [(ROIt-1- it-1).Lt-1 + ROIt-1]

D ROEt-1 = [(ROIt- it).Lt – (ROIt-1- it-1 ).Lt-1] + (ROIt- ROIt-1)

D ROEt-1> 0 se

[(ROIt- it).Lt – (ROIt-1- it-1).Lt-1] + (ROIt- ROIt-1) > 0

e quindi se

(ROIt- it).Lt + (ROIt- ROIt-1) > (ROIt-1- it-1).Lt-1 [5]

Cioè, ragionando su tre variabili:

– il ROI

– il "margine di sicurezza": (ROI-OF/MT)

– la leva finanziaria

e partendo da una situazione iniziale di (ROI – OF/ MT) > 0 si ha incremento di ROE quando migliora una qualsiasi di tali variabili.

È opportuno anche rilevare che nella [1] sono espresse le due politiche fondamentali della gestione aziendale:

– quella caratteristica di produzione e vendita, che tende a realizzare il ROI come obiettivo intermedio;

– quella finanziaria che si incentra sull’approvvigionamento di capitali esterni e sul loro costo. Le due politiche si incontrano e diventano correlate nel margine di sicurezza.

Dalla [1] si ha che: se ROI < OF/MT allora ROE < ROI cioè ROE – ROI < 0 e il relativo valore è tanto più negativo quanto più alto è l’effetto moltiplicatore della leva finanziaria MT/MP.

Ne deriva che se l’obiettivo finale è un D ROE > 0 bisogna appunto porre come obiettivo intermedio un livello di ROI > OF/MT oppure, partendo da situazioni compromesse di ROIt0 < (OF/MT)t0 non immediatamente sanabili, porre un obiettivo intermedio di

[ ROIt1 – (OF/MT)t1 ] > [ ROIt0 – (OF/)t0 ]

Salvo che in casi particolari l’impresa non riesce a ridurre sensibilmente OF/MT, perché il costo dell’indebitamento è anche un dato del mercato. L’obiettivo è allora incentrato su un miglioramento del R.O.I. . Le generalizzazioni possono risultare contraddittorie, ma il miglioramento del R.O.I. difficilmente passa per una riduzione del denominatore dell’indice, cioè del capitale investito CI, possibile in taluni processi di razionalizzazione, non in quelli di espansione, che, in genere, richiedono maggiori fattori della produzione. Si tratta allora di incrementare il numeratore RO di un valore almeno superiore al R.O.I. precedente sul maggior capitale investito. Posto il valore di partenza, è necessario verificare preliminarmente se l’impresa si trova in condizioni di rendimenti decrescenti, costanti o crescenti. Nei periodi di depressione e di stagnazione è poco realistico proporre il miglioramento di un R.O.I., inizialmente inferiore al costo dell’indebitamento, mediante un incremento dei fattori produttivi impiegati. Tale politica può risultare addirittura punitiva per la scarsa reattività della domanda. Potrebbe essere consigliabile la razionalizzazione dei fattori e dei processi. Vi sono casi di risanamento aziendale con incrementi di R.O.I. ottenuti con riduzione di capitali investiti, ma le ristrutturazioni, i tagli di rami secchi, gli scorpori non sono strategie considerate in queste note. Qui è posta l’ipotesi di una maggior redditività del capitale investito con incremento del suo valore totale in una fase di rendimenti crescenti. Si tratta allora di esaminare se, oltre alla razionalizzazione degli impieghi dei fattori produttivi, è ipotizzabile un miglioramento della redditività delle vendite. Se il risultato non è ottenibile con incremento dei prezzi, come naturale in mercati altamente concorrenziali e nelle fasi di espansione delle vendite stimolata dall’offerta, l’incremento del R.O.S. (Return On Sale), cioè del rapporto RO/Vendite nette, può essere ottenuto con una maggiorazione più che proporzionale del reddito operativo; si deve cioè aumentare l’efficienza aziendale come risultato del miglioramento della produttività di tutti i fattori impiegati. Il fenomeno è tipico delle imprese operanti in settori a maturità non ancora vicina all’esaurimento, in cui possono essere realizzate innovazioni di processo. La nostra ipotesi di obiettivo intermedio è, quindi, una crescita del R.O.I. divisa in due fasi:

– il raggiungimento del valore dell’indice del costo di indebitamento, qualora la situazione di partenza sia ROI < OF/MT, poiché una espansione realizzata con mezzi di terzi (ma anche con mezzi propri se si tengono presenti opportunità alternative) amplifica la riduzione del R.O.E. in proporzione all’aumento della leva finanziaria. Se non si raggiunge almeno il pareggio di R.O.I. e costo dell’indebitamento è inutile passare a proposte di maggiori investimenti;

– il superamento del costo dell’indebitamento realizzato in fase espansiva della produzione e di un correlato impiego di capitali, in condizioni di rendimenti crescenti e la collocazione dell’impresa entro il ‘margine di sicurezza’.

Prendiamo in esame la seconda fase in due casi:

– costanza del costo dell’indebitamento;

– variazione in aumento per incrementi di indebitamento.

Nel primo caso il compito del miglioramento del ROI è agevolato, se, a prescindere dal costo, che abbiamo ipotizzato costante entro i margini di sicurezza, la capacità di credito dell’impresa consente acquisizioni di mezzi freschi. Partendo da un ROI > OF/MT , l’attenzione deve essere posta soltanto sui processi produttivi e commerciali. In una visione di gestione a budgets flessibili affidata a management articolato in funzioni decisionali coordinate: il responsabile delle vendite indica obiettivi possibili e il direttore di produzione pone condizioni di realizzazione con soluzioni di ristrutturazioni di processo conseguibili con un certo volume di mezzi nuovi. Il direttore finanziario procura i mezzi di credito ai costi noti e costanti e l’obiettivo può essere raggiunto. Nel secondo caso, più realistico, il direttore finanziario illustra incrementi del costo del credito al variare del suo volume. Il risultato economico del budget, appunto il R.O.E. posto come obiettivo finale, deve essere verificato ad ogni scatto del costo dell’indebitamento in rapporto al miglioramento del R.O.I., che non è più l’unica variabile causale della redditività netta, data l’interposizione attiva del costo dell’indebitamento. Il rapporto funzionale fra costo dell’indebitamento e volume del credito non è mai tale da rendere possibile la proposta formale di una funzione continua del tipo y = f(x), con y costo e x volume, perché nella realtà si hanno variazioni per scaglioni, piuttosto che lineari. In questi casi il responsabile della produzione deve continuamente verificare con il responsabile delle vendite se i livelli di R.O.I. conseguibili alle varie ipotesi di volumi si mantengono superiori al costo dell’indebitamento nella misura prefissata.

Si tratta allora di tenere sotto controllo nella [1] la parte fra parentesi tonda della funzione

ROE = [ ( ROI – (OF/MT). MT/MP] + ROI

in cui :

(ROI – OF/MT) è interpretabile come differenza fra il tasso di redditività totale interna e il tasso di redditività esterna dei capitali sui mercati finanziari. La differenza, amplificata o smorzata dalla leva finanziaria, è appunto quel tasso di cui bisogna variare la redditività totale interna per ottenere la redditività residuale del capitale proprio. Si è già rilevato che non possono essere avviate strategie espansive se prima non è realizzata la condizione di un ROI > OF/MT. A partire da tale punto l’obiettivo di un maggior RN può essere posto senza incremento dei mezzi propri salvo l’utile di periodo, che, per la struttura della funzione [1] e la condizione di bilancio, è compreso in MP [6]. Ma la condizione di un ROI>OF/MT deve essere realizzata anche nel caso in cui i mezzi finanziari necessari all’espansione siano immessi dall’imprenditore anziché con ricorso al credito e ciò per la considerazione che, se il costo del credito è anche una misura implicita del rendimento alternativo, che il capitale potrebbe conseguire sul mercato finanziario, tale costo rappresenta l’interesse figurativo sui propri capitali suppletivi e la misura corrente di OF/MT può costituire un parametro per scelte di opportunity investment. Considerando che di norma RN<MP, ogni incremento di reddito comporta un incremento di ROE secondo la relazione

(RNt/MP)>(RNt-1/MPt-1)

se :

RNt = RNt-1+ x

MPt = MPt-1+ x

x, ovviamente, > 0

ed essendo Lt> Lt-1 per le precedenti considerazioni. Se l’obiettivo è un ROEt> ROEt-1, allora x è determinato, poiché RNt-1 è noto e RNt è posto. Se lo strumento per il raggiungimento della nuova misura di RN è un maggior investimento con ricorso ai mezzi di terzi in una misura che pure è nota dai programmi di produzione, risulterà determinato anche OFt, sia nel caso di costanza di OF/MT sia di sua variabilità al variare dell’indebitamento. È così determinato anche il nuovo ROt ed il ROIt, essendo posto CIt. La nuova misura di ROIt è in funzione della fase di produzione: rendimenti costanti, crescenti o decrescenti.

La [1] riscritta nella forma di differenza fra ROE e ROI

ROE – ROI = (ROI – OF/MT).MT/MP

consente di misurare gli obiettivi di crescita in termini di differenza fra due differenze.

Posti:

OF/MT = i

MT/MP = L

ROEt-1 -ROIt-1= (ROIt-1 – it-1). Lt-1 e

ROEt-1-ROIt-1> 0 se ROIt-1>it-1

ROEt – ROIt = (ROIt- it).Lt e ROEt- ROIt> 0 se ROIt>it

ma deve anche essere, dato l’obiettivo,

ROEt-ROIt> ROEt-1- ROIt-1

3 – UN CASO SPECIALE: il settore agricolo.

Le relazioni del precedente paragrafo possono essere variate nei casi in cui una o più componenti del capitale investito CI assumano caratteristiche o speciali funzioni nel contesto del complesso dei fattori produttivi impiegati. L’impresa agraria a conduzione diretta del fondo può essere ritenuta un caso particolare per la presenza del capitale fondiario che, per la presunta, ma per certi aspetti criticabile, inesauribilità, non è correntemente soggetto ad ammortamento. Si è osservato che negli ultimi tempi i casi di insuccesso di conduzioni agrarie si sono moltiplicati, nonostante il sostegno dei prezzi agricoli realizzato con gli interventi compensativi comunitari. Fenomeni di eccedenze di prodotto hanno ridotto i prezzi in termini relativi rispetto al resto del paniere, fino a far asserire che il rientro dai processi inflattivi degli anni 70 è stato sopportato in buona parte dall’agricoltura [7]. Ricerche statistiche potrebbero probabilmente confermare che in molti casi, prima ancora che nella dimensione del reddito operativo, si è verificata una differenza negativa fra ROI e OF/MT. Ma, constatando che a promuovere le azioni di avvio ai processi concorsuali dell’impresa agraria sono in genere gli istituti di credito speciale, sovventori per mutui a medio-lungo termine, è probabilmente corretto concludere che molti di quei casi si riferiscono ad indebitamento contratto per l’acquisizione del fondo. In agricoltura il valore negativo della differenza (ROI-OF/MT) moltiplicato per un coefficiente elevato di leva finanziaria ha prodotto le note situazioni di decozione, non diversamente dai fenomeni generatori di fallimento dei primi anni ’80 delle imprese commerciali sottocapitalizzate e incapaci di realizzare miglioramenti di ROI. Si deve porre, allora, una prima affermazione pregiudiziale di carattere generale e cioè: in agricoltura e nei tempi attuali e previsti futuri il capitale proprio deve coprire almeno il valore del fondo. Il principio è, peraltro, minimale se si considera che in agricoltura il valore del fondo è solo una parte del capitale fisso, destinata a ridursi in termini relativi, con l’introduzione inevitabile di nuovi investimenti tecnologici, condizionanti la stessa sopravvivenza dell’impresa agraria. La specialità della conduzione agraria è ormai solo in riferimento alle tecniche di conduzione e alle scelte di processi produttivi, non certo ai rapporti di equilibri patrimoniali, finanziari ed economici, che sono proponibili in termini analoghi per qualsiasi tipo di impresa. Dire che i mezzi propri devono coprire almeno il valore del fondo è come affermare che nell’industria i mezzi propri devono coprire, per esempio, almeno il valore degli impianti, mentre la saggia regola degli equilibri patrimoniali indica la copertura di tutto il capitale fisso. Ma per l’impresa agraria conduttrice diretta del fondo vi è l’ulteriore considerazione che i terreni sono suscettibili di produrre un reddito autonomo, dominicale o rendita, che è opportuno isolare per almeno due motivi:

– un risultato economico di esercizio determinato indistintamente non consentirebbe un giudizio sulla efficienza della conduzione;

– la mancanza di ammortamento determina un reddito operativo approssimato per eccesso, perché l’inesauribilità è quanto meno un fatto relativo. Si tratta allora di porre a carico del reddito operativo un fitto figurativo fondiario, talché i giudizi di congruità di RO non siano inficiati dalla rendita fondiaria, che, ad esempio, potrebbe essere fissata in misura pari al tasso di inflazione aumentato di un punto.

Lo stato patrimoniale potrebbe essere così schematizzato:

Attività Passività

___________________________________________________

Terreni T | Mezzi Propri MP

Altri Investimenti I | Mezzi di Terzi MT

_____ |

Capitale Investito CI |

ed il conto economico:

Margine Operativo Lordo MOL

– Ammortamenti AMM

– Rendita Fondiaria RF

——

Reddito Operativo RO

– Oneri Finanziari OF

——

Reddito Netto Conduzione RNC

+ Rendita Fondiaria RF

——

Reddito Netto Totale RN

La definizione di ROI resta

ROI = RO/CI

quella di ROE = RN/MP

ma il secondo indice in termini del primo diventa

ROE = ROI + [( ROI – (OF/MT)+ (RF/MT].MT/MP [6]

Il valore di (ROI – OF/MT) diventa obiettivo più stringente proprio

perché il RO è inferiore a quello ottenibile in assenza di rendita

fondiaria e conseguentemente

ROE – ROI > 0 se [(RO/CI)-(OF/MT)]>(RF/MT) [7]

Ma se MP è un dato e ROE è l’obiettivo finale, RN diventa un dato. Pure

dati o immediatamente determinabili sono RF, OF e MT.

La determinazione dei valori è ottenuta ponendo in sistema:

– equazione della produzione RO = f(AI + T) con f=ROI prefissato

quale obiettivo intermedio

– equazione del reddito RO = RN – RF + OF

– equazione di bilancio AI + T – MP = MT

– equazione del costo dell’indebitamento OF/MT = tasso noto di mercato.

Dalla soluzione risulteranno determinati i valori del capitale investito differenziale AI, rispetto al valore del fondo T, da finanziare con mezzi di terzi, data l’ipotesi di misura ferma del capitale proprio. I risultati di AI e di RO dovranno essere valutati criticamente dall’imprenditore per verificare, secondo l’esperienza, le possibili scelte di concreti processi produttivi, la realtà del mercato spesso non modificabile e la compatibilità dell’ipotesi con i coefficienti di produzione della tecnica produttiva. Potrebbe infatti risultare che con quella dotazione di AI il reddito operativo teorico RO non sia ottenibile in concreto. Dovranno allora essere riproposti gli obiettivi tenendo conto dei vari vincoli. Come si nota il sistema di equazioni è particolarmente utile quando si pongano obiettivi intermedi e finali . Le soluzioni debbono essere sempre verificate nella loro concreta applicabilità dall’esperienza e continuamente riformulate fino a trovare soluzioni proponibili in termini operativi. Nell’ipotesi qui formulata l’equazione di produzione indica un RO variabile dipendente del capitale investito in funzione di un ROI obiettivo intermedio prefissato e la difficoltà maggiore è nel coordinare processi produttivi per ottenere proprio quel risultato intermedio. Infatti l’imprenditore, diversamente dall’economista teorico, non dispone: n‚ della funzione lineare di produzione, n‚ di infiniti processi produttivi alternativi, n‚ di perfetta malleabilità. La realtà è sempre pi- vincolante ed è pi- concreto un modello clay-clay o al massimo un putty-clay. L’imprenditore è spesso costretto ad un continuo tâtonnement [8]. È probabile che nel breve periodo la proposta di un reddito operativo, netto della rendita fondiaria figurativa, possa risultare troppo restrittiva, ma è evidente che una conduzione agraria non in grado di lasciare redditi netti residuali dopo tale simulazione di costo non merita di essere mantenuta in termini di rendimenti alternativi e di opportunità. Nel lungo periodo l’imprenditore agricolo potrebbe illudersi di aver conseguito come reddito di esercizio ciò che è solo una rendita dominicale. L’imprenditore agricolo che accetti di porsi traguardi di miglioramenti di ROI, netti di rendita fondiaria, deve fare i conti con un futuro certamente ancora più difficile, perché pare inevitabile un rientro delle politiche agricole comunitarie di prezzi garantiti ed assistiti. Almeno in un primo tempo i prezzi dei prodotti agricoli dovrebbero diminuire ed i miglioramenti del ROI saranno ancor più difficili da ottenere, perché la razionalizzazione dei processi produttivi esige investimenti di capitali a tassi che non si preannunciano calanti. Il mercato e la finanza sembrano riservare difficoltà per la gestione agraria. Solo il medio-lungo tempo pare promettere premi a chi avrà saputo sopravvivere ad una nuova selezione della specie. Chi avrà gestito nel frattempo il proprio adattamento con una tenuta di un ROI soddisfacente dovrebbe recuperare profitto anche sul fronte di più remunerativi prezzi-ricavo. Ma a ben considerare, quello dell’imprenditore agricolo è solo un caso particolare. Ogni imprenditore di qualsiasi settore deve porsi nel medio-lungo periodo l’obiettivo di un extrareddito rispetto al profitto normale, che non può escludere l’interesse figurativo sul capitale investito. E’ il vecchio tema del costo economico-tecnico come parametro della politica dei prezzi. In una fase di prezzi calanti, particolarmente evidente in settori maturi, la gestione deve proporsi innovazioni di processo tali da consentire la copertura degli oneri figurativi e gli obiettivi devono risultare conseguibili tenendo conto di tali necessità. Le innovazioni esigono mezzi che anche quando sono ottenuti con capitali di rischio devono risultare remunerati in misura di mercato a prescindere dalla politica di dividendo. Quando tale remunerazione, diretta o indiretta, manca, il valore del capitale economico viene apprezzato, di conseguenza, senza quei capital gains, che, quando esistono, sono la naturale alternativa di dividendi non distribuiti. La Borsa finisce per tenerne conto in modo indiretto.

4 – CONCLUSIONI.

Pare dimostrato che il ROI, nonostante critiche recenti, possa continuare ad essere utilmente impiegato nelle analisi di gestione passata, almeno da parte di chi, avendo conoscenza dell’azienda, è in grado di correggere aggregazioni di dati realizzate per la formazione di un bilancio finalizzato alla corretta determinazione del reddito di periodo e non all’analisi della gestione. Pretendere dal bilancio pubblico, che ha altre finalità, la immediata possibilità della corretta costruzione di un indice per soddisfare le curiosità comparative di stampa pseudospecializzata o di agenzie informative al servizio dei concorrenti è esigenza semplicemente incoerente. Il ROI resta un dato prevalentemente interno all’azienda e la sua validità è, peraltro, indiscutibile quando la sua proposta è collegata a programmi di investimento. Anzi si può correttamente affermare che in quest’ultimo caso il ROI diventa il misuratore determinante per la scelta, che resta incerta, perché è calata nel futuro, quel tempo che, nonostante la generosa tensione verso la razionalizzazione delle azioni, fattosi presente, confermerà spesso il mancato raggiungimento della proposta massimizzazione del reddito[9]. Il problema di una mal posta immoralità della massimizzazione del reddito ignora la dimensione futura del tempo dell’imprenditore, che, nel momento in cui opera le scelte, agisce in condizioni di incertezza. Il reddito, come valore economico residuale, è una dimensione contabile consuntiva, spesso influenzato dal caso e comunque da elementi in notevole parte non controllati e non controllabili dal singolo imprenditore, che, a buon diritto e per onestà intellettuale, si definisce, oltre che più o meno esperto e colto: sfortunato o fortunato. Bisogna non camuffare la stupidità con sfortuna e la fortuna con genialità. La critica etica della tensione verso la massimizzazione del profitto è un problema inesistente, se si considera che questa è un minimum per rendere meno pesante la sfortuna e più razionale e quindi più umana la fortuna. Il ROI resta uno strumento insostituibile per proporre razionalmente l’obiettivo della massimizzazione del profitto.

Pietro Bonazza


[1] Poiché l’occupazione sembra diventata, a giusta ragione, uno dei più importanti obiettivi della politica economico-sociale è opportuno ricordare la "legge di Okun", economista il quale, con analisi empiriche, stabilì che per ottenere una diminuzione dell’1% del tasso di disoccupazione si deve realizzare un incremento di oltre il 3% del PNL reale. È difficile immaginare la realizzazione di quest’ultimo obiettivo in un’economia in cui il ROI è strutturalmente minore degli oneri finanziari. Economisti teorici potrebbero ricordare che, considerando l’intera economia, crediti e debiti si compensano e quindi i "margini di sicurezza" perdono significato; ma non bisogna dimenticare che se sbilanciati sono i settori produttivi, cioè le imprese, l’aumento del PNL reale non può essere realizzato in un’economia di mercato.

[2] P. GNES : "A vele gonfie di finanza" in "Il Sole-24 ORE", 23.8.1988.

[3] M. RUTIGLIANO : "Elementi per l’analisi economica nella progettazione e nella valutazione della struttura finanziaria aziendale", in "Notiziario Economico Bresciano", 1988, pag. 39, afferma: «…Sicuramente privo di utilità risulta l’utilizzo del ROI contabile ai fini di decisioni di investimento. Giudicare la convenienza economica di investimenti industriali sulla base della condizione : ROI (dell’investimento) > tasso di interesse (o costo delle risorse finanziarie necessarie)… significa, dal punto di vista teorico, negare la più accreditata letteratura internazionale in tema di capital budgeting… ». Tra l’altro, sembra che l’autore attribuisca a questa un valore dogmatico.

[4] V. CODA, Il concetto di "reddito operativo" nell’analisi economica d’impresa, in "Rivista dei Dottori Commercialisti", 1980, pag. sostiene che: «… Si è detto che il reddito operativo ha il pregio di un indicatore economico relativamente indipendente dal modo in cui l’impresa si finanzia, perché da esso sono esclusi gli oneri finanziari. Ma, a ben vedere, i soli oneri finanziari esclusi dalla determinazione del reddito operativo sono quelli "espliciti", ossia quelli espressivi di un prezzo esplicitamente pagato per l’ottenimento di risorse finanziarie con vincolo di credito. Entrano per contro nel calcolo del reddito operativo gli oneri finanziari impliciti nei prezzi a regolamento differito pagati ai fornitori come pure il costo di quella particolare fonte di finanziamento onerosa che è il fondo indennità del personale. Ora, non volendo esplicitare e scorporare dal reddito operativo tali oneri – la qual cosa peraltro non potrebbe effettuarsi che con opinabili ragionamenti estimativi – non c’è dubbio che il valore segnaletico del reddito operativo come indicatore sintetico della gestione reddituale ne soffre. Esso resta tuttavia un dato di sintesi di grande interesse, utilmente rapportabile al valore degli investimenti netti (misurato dall’ammontare totale dell’attivo al netto dei fondi di ammortamento e degli altri fondi rettificativi di attività patrimoniali) al fine di calcolare la redditività degli stessi (c.d. return on investment). Quest’ultima è un indice molto significativo anche perché la limitazione anzidetta non intacca apprezzabilmente il divario tra "redditività degli investimenti" (= reddito operativo/attivo totale netto) e "costo dei mezzi di terzi" (= oneri finanziari espliciti/mezzi di terzi). Infatti, ove anche si esplicitassero (e scorporassero) gli oneri finanziari impliciti, la redditività degli investimenti aumenterebbe, ma, in misura più o meno corrispondente (almeno nelle imprese con un consistente grado di indebitamento), aumenterebbe pure il costo dei mezzi di terzi, cosicché il divario in parola resterebbe più o meno uguale. E poiché è questo divario che soprattutto interessa sorvegliare, si può concludere che il limite del concetto di reddito operativo qui discusso di solito non ha in pratica una grande rilevanza… ».

[5] M. RUTIGLIANO, in saggio cit. in nota (3) si propone una critica radicale del ROI tentando di dimostrare la superiorità dell’indice REA, soprattutto in relazione alla scelta di investimenti. Ma l’autore pone a paragone il tasso interno di rendimento per la durata di fecondità dell’investimento con il ROI del primo esercizio di funzionamento dell’impianto, trascurando che, coeteris paribus, gli indici ROI degli esercizi successivi sono crescenti in relazione alla diminuzione del valore del capitale investito posto al denominatore, via via depurato dal crescente fondo di ammortamento.

[6] Per una critica alla struttura dell’indice con MP comprensivo del reddito di periodo si rinvia a P. Bonazza, ROI: un indice per la strategia aziendale, in "Banche & Banchieri", 1987, pag. 45.

[7] In "Relazione generale sulla situazione economica del Paese 1987" presentata al Parlamento dai Ministri del Bilancio e del Tesoro l’8 aprile 1988, cap. II, lett. A, n. 4: «Il settore primario, quindi, ha funzionato ancora una volta quale elemento frenante della crescita del tasso di inflazione del sistema economico complessivo.»

[8] S. Ricossa in Dizionario di economia, Torino, 1982, pag. 274, trattando della malleabilità del capitale rileva che nella letteratura economica si legge di: «… modelli del tipo clay-clay, oppure del tipo putty-clay, oppure anche del tipo putty-putty, dove clay è la parola inglese per argilla o terracotta, mentre analogamente putty è la parola inglese per mastice del vetraio. Ogni modello è caratterizzato da due parole perché si distingue tra il breve termine e il lungo termine o secondo simili criteri. Pertanto, un modello clay-clay sarebbe un modello in cui si suppone poca o nulla malleabilità sia nel breve sia nel lungo termine; un modello putty-clay ammetterebbe la malleabilità nel lungo periodo ma non nel breve; e un modello putty-putty l’ammetterebbe sia nel lungo e sia nel breve periodo…»

[9] «Massimizzazione» è concetto che designa più una tendenza che una misura, un punto di riferimento, un obiettivo teorico, spesso irrealizzabile. La realtà è , di frequente, minore e allora è sempre valido il giudizio di Max Weber, secondo il quale: «… il possibile non verrebbe raggiunto se nel mondo non si ritentasse sempre l’impossibile.»