Ersilio Tonini, un cardinale dalla magrezza ieratica, è un ambasciatore itinerante tra una televisione e l’altra e ha qualcosa da dire per ogni fatto o circostanza. È giusto, persino auspicabile, che le gerarchie facciano sentire la loro voce nella babele delle chiacchiere, che costituiscono una specie di nuovo istituto e un pervasivo potere: la comunicazione. Il rischio però è grave: l’essere trascinati nel vortice del bailamme.
Il 25 ottobre 2001 si è tenuto a Palermo un convegno su “Aspetti etici e giuridici della comunicazione”. C’erano relatori e opinionisti di ogni genere, giornalisti di vario livello, non so se più attratti dalla parola “comunicazione” che dall’aggettivo “etici”, visto che oggi l’etica è come il sale e si mette dappertutto con nonchalance, mentre a me l’abuso fa preoccupazione. Va bene che l’etica non è la morale, così come Zeus non è il mio Dio cattolico; però un po’ di ritegno signori!
Ovviamente, poiché oggi tutto è “comunicabile” (mentre un tempo, con minor invocazione dell’etica, era “scomunicabile”) il convegno si è occupato di ogni problema attuale: globalizzazione, politica, privacy, giustizia, potere economico, bioetica, valori della vita, Islam, eccetera.
Io, non addetto ai lavori, non c’ero, ma, non avendo alcuna inclinazione al nomadismo, non ci sarei andato nemmeno se fossi residente ad Aci Trezza, il luogo dei miei sogni. Palermo: troppo lontana! Però leggo su “Tabloid”, una specie di giornale dei giornalisti, dicembre 2001, l’esortazione del porporato: « Giornalisti, siate filosofi del vostro tempo
Eminenza, come uomo di Chiesa Le riservo devoto rispetto; ma Lei si rende conto della contraddizione di essere “un filosofo del proprio tempo”? Un filosofo, se è vero, non può essere del “proprio tempo”, perché se c’è una caratteristica della filosofia è l’atemporalità, la percezione dell’inattuale e dell’inaudito, il dire l’indicibile, il porsi in ascolto prima di parlare, ma anche il saper tacere quando manca il linguaggio disponibile. Lei ricorda senz’altro che Heidegger, di cui si può dire tutto il male che si vuole, ma non che non sia stato un filosofo, non proseguì nella terza parte di “Essere e tempo”, perché non trovava le parole.
Forse Lei, Eminenza, voleva invitare i giornalisti a essere filosofi, per esempio, come Paolo Flores D’Arcais, Gianni Vattimo & C., di sinistra, o Marcello Veneziani & C. di destra? Non credo. Lei parlava così come sono abituati i predicatori, che hanno la bocca piena di modi di dire.
Avrei preferito che Lei dicesse: giornalisti statevene un po’ zitti e non rompete i timpani con le vostre ciance a quei pochi che preferiscono la chiesa al tempio televisivo e se proprio volete raccontare il quindi e il quinci, siate umili e precisi cronisti e guardatevene bene dall’essere filosofi, perché i filosofi sono una merce rara e se vi metteste in testa – appunto quel che fate – di essere anche voi filosofi, sareste meno di un surrogato, di una merce adulterata, come in effetti siete.
Proprio il contrario di quel che mi dicono che Lei abbia detto, Eminenza. Pazienza… sarà per un’altra volta. Amen.