Nel 450 circa a.C. Eschilo, il grande trageda della Grecia, che sta evolvendosi dall’arcaismo di una religione fondata sul capriccio degli dei verso una nuova etica fondata sulla libertà dell’uomo e sulla giustizia delle leggi della polis, compone il Prometeo incatenato e nel terzo episodio descrive un lungo colloquio tra Io e Prometeo, il preveggente amico dell’uomo in contrasto con Zeus, incatenato per vendetta del dio e depositario di una profezia che riguarda la sua sconfitta. Ma dentro la profezia Eschilo sviluppa una ancor più grande e intrigante profezia, come si può leggere nel dialogo tra i due. Alla domanda di Io su come avverrà il rovesciamento di Zeus, Prometeo risponde:

«Farà nozze di cui dovrà dolersi.

Io: Divine? o umane? Se è concesso, dimmelo!

Prometeo: Quali saranno non è dato dirlo.

Io: Ma sarà la sua sposa a rovesciarlo?

Prometeo: Sì avrà un figlio più forte del padre.

Io: E non c’è mutamento al suo destino?

Prometeo: No, se io non venga prima liberato.

Io: Chi ti libererà, se Zeus non vuole?

Prometeo: Uno che deve nascere da te.

Io: Un figlio mio ti salverà dal male?

Prometeo: Sarà alla terza dopo dieci generazioni.

Io: Oscura e strana mi è la profezia.

….».

Siamo ancora nel mito, ma la profezia di un liberatore, che deve venire a riscattare l’uomo (Prometeo) è chiarissima. Si può affermare con certezza che gli Ebrei, contemporanei di Gesù non frequentassero teatri per ascoltare Eschilo. Sembra quasi che la venuta di un salvatore-liberatore sia scritta nel destino dell’uomo ed Eschilo dà un forte contributo alla speranza passando attraverso il mito di Prometeo. È plausibile che Eschilo non conoscesse la Bibbia.

***

Virgilio, il massimo poeta della latinità, nel 40 circa a.C., scrive le Bucoliche e nella IV Egloga espone una profezia, che molti studiosi interpretano come una premonizione della venuta di un Salvatore. Scrive Virgilio:

«E’ arrivata l’ultima età dell’oracolo cumano:
il grande ordine dei secoli nasce di nuovo.
E già ritorna la vergine, ritornano i regni di Saturno,
già la nuova progenie discende dall’alto del cielo.
Tu, o casta Lucina, proteggi il fanciullo che sta per nascere,
con cui finirà la generazione del ferro e in tutto il mondo
sorgerà quella dell’oro: già regna il tuo Apollo.
Sotto di te console inizierà la gloria di quest’era,
o Pollione, e i grandi mesi cominceranno a trascorrere.
Con te guida, se resteranno vestigia dei nostri delitti,
esse saranno vanificate e le terre sciolte da perpetua paura.
Egli riceverà la vita degli dei, egli vedrà gli eroi
misti agli dei, ed egli stesso apparirà ad essi,
e reggerà l’orbe pacato dalle virtù patrie.
Per te, o fanciullo, la terra senza essere coltivata,
spargerà i primi piccoli doni, le edere erranti
qua e là con la baccara e la colocasia con il ridente acanto.
Le capre riporteranno da sole le mammelle piene
di latte, e gli armenti non temeranno i grandi leoni.
La stessa culla spargerà per te blandi fiori.
Anche il serpente scomparirà, anche la fallace erba di veleno
scomparirà; ovunque nascerà l’assiro amomo.
E quando già leggerai le lodi degli eroi
e le imprese del padre, e potrai conoscere cosa sia la virtù,
a poco a poco la campagna imbiondirà di molle spiga,
dagli incolti pruni penderà l’uva rosseggiante,
e le dure querce stilleranno miele rugiadoso.
Tuttavia resteranno poche vestigia dell’antica frode,
che faranno affrontare Teti, che faranno cingere di mura
le città, che faranno incidere di solchi la terra
…»

 È plausibile che gli Ebrei del tempo di Gesù, settant’anni dopo, non leggessero Virgilio, se non altro per odio ai Romani, oltre che per ignoranza delle opere del poeta mantovano. È altresì plausibile che Virgilio non conoscesse la Bibbia.

***

Nella Bibbia vi sono ricorrenti profezie sulla venuta di un Messia, anche se nelle attese degli Ebrei questa figura di Salvatore aveva una connotazione politica: un liberatore, quindi una figura più politica che religiosa. Il popolo ebraico non si integrò mai con altre culture e aveva coscienza di essere un unicum, in quanto popolo eletto di Dio.

* * *

A mio avviso, queste constatazioni, ma ve ne sono ben altre, riconducono alla figura del Cristo, della cui esistenza sono prove indirette, ma significative.

Rivolgendomi ai non credenti, mi pare giusto rilevare che la venuta di Cristo è iscritta nella storia dell’uomo, che da sempre attendeva un riscatto. Non crederlo mi sembra una negazione della storia e qui il discorso si allarga per risalire alla creazione. Sono note le sterili contrapposizioni, sfociate in politica, tra creazionisti ed evoluzionisti. Gli antro paleontologi, attraverso ricerche e ritrovamenti, hanno studiato e illustrato le evoluzioni dalle prime pitecine all’homo sapiens. Sposiamo pure questa tesi, ma ci accorgeremo che non cambia nulla, semmai si sposta l’inizio dall’Adam (uomo fatto di terra) del biblico Genesi al primo uomo in grado di elaborare pensieri teologici. Ciò che conta è l’ansia della salvezza insita nell’anima umana e se constatiamo che l’attesa non era una esclusiva dell’orgoglioso popolo ebraico ma presente in altre culture, tanto meglio. Al limite, anche il non credente si rende conto che, in mancanza di un dio di cui nega l’esistenza, ci sarà pur sempre l’attesa di un salvatore che liberi l’uomo da se stesso. Negare il legame, fosse anche solo antropologico, tra l’uomo e la pietas innata, non significa tanto negare la divinità, ma l’umanità, il che spiega lo stato di insofferenza, di insoddisfazione e di vuoto del vero non credente.