L’occupazione condiziona la crescita economica e questa lo sviluppo

(NB: si veda l’articolo pubblicato, in forma più ridotta per necessità di modulo, sul quotidiano “Italia Oggi”, 7 settembre 2012, pag. 9, con titolo “Mente sapendo di mentire, chi dice che usciamo dal tunnel”)

 Per i nostri politici, soprattutto quando sono spacciati per economisti e viceversa, la regola è: usare termini vuoti di significati concreti, possibilmente metafisici, meglio ancora se possono indurre in equivoco, cioè: lascia intendere il contrario di ciò che è detto, tanto per poter poi rettificare, smentire e tacciare i giornalisti di aver equivocato. Un moralista qualificherebbe questo comportamento come colpevole inganno o tartufismo o ipocrisia. Nell’uomo della strada, che non va tanto per il sottile e bada al concreto, i giudizi degli economisti-politici sono semplicemente “non credibili”, perché, avendo subito troppe delusioni, si è armato della corazza che è lo scetticismo, pericolosa perché può portare alla saggezza ma anche all’apatia.
Quando certi politici, peggio se è il capo del governo, preannunciano l’uscita dal tunnel della crisi, fissando anche la data, cadono nel peccato di falso. O non sanno quel che dicono o sono in mala fede e tentano di barattare lucciole per lanterne. Il nostro uomo della strada, cioè noi, reagisce con lo scetticismo e, senza perdersi in tante analisi economiche, semplicemente resta incredulo. I politici che con il diffondere valutazioni false inducono alla mancanza di fiducia hanno una grave colpa e in un Inferno dantesco sono destinati alla decima bolgia infernale (canto XXX).
La  colpa dei falsari è implicita, se si considera la combinazione delle tre componenti: crescita, sviluppo e occupazione. Esaminiamolo separatamente e poi colleghiamole.
1)      Nel classico manuale “Dizionario di economia” di Sergio Ricossa leggiamo che: «Il termine Crescita è impiegato nella dinamica economica per indicare l’aumento della produzione in senso puramente quantitativo, e si contrappone a sviluppo, concetto più complesso, implicante anche delle considerazioni qualitative. Una economia in sviluppo non è solo una economia in cui la produzione cresce: occorre che in essa la produzione cresca rispetto alla popolazione, e anzi che migliori il tenore di vita degli abitanti, per cui conta anche la qualità della produzione. Tuttavia, non sempre si bada alla distinzione, e può accadere di trovare nella letteratura economica qualche confusione tra la Crescita (growth) e lo Sviluppo (development)». È evidente che la crescita è correlata alla dinamica del PIL reale.
2)      Sempre nel “Dizionario” di Sergio Ricossa leggiamo che: «Lo Sviluppo economico è un fenomeno di lungo periodo consistente nella durevole tendenza del reddito medio pro capite di una nazione all’aumento in termini reali, pur con le irregolarità del ciclo congiunturale, mentre la struttura produttiva adotta le tecniche più moderne, e la struttura sociale assume anch’essa forme, che si possono direi più evolute secondo qualche criterio quantitativo e qualitativo. Lo Sviluppo presuppone una Crescita della produzione, come condizione necessaria, non sufficiente: infatti, la crescita è un fenomeno puramente quantitativo, al contrario dello Sviluppo, in cui, come si è detto, l’elemento qualitativo va considerato predominante».
3)      L’occupazione è data dal numero delle persone che svolgono effettivamente un’attività economica non occasionale in proprio o alle dipendenze altrui. Conseguentemente il tasso di disoccupazione è la percentuale di persone non occupate rispetto a un numero di occupabili (forza lavoro). Esiste una evidenza empirica, chiamata Legge di Okun, che dimostra che per ottenere una riduzione dell’1% del tasso di disoccupazione è necessaria una crescita di oltre il 3% del Pil reale.
L’obiettivo di lungo termine deve essere lo sviluppo, il che comporta la necessità anche di un’equa distribuzione del risultato conseguito. I tre concetti cono collegabili: senza crescita non si hanno né sviluppo né riduzione del tasso di disoccupazione. In certi casi può esistere, nel breve termine, una crescita in presenza di disoccupati, ma la disoccupazione, in tal caso, deve comunque essere temporanea e frizionale. Se il Pil reale del nostro paese è in calo pericoloso, prevedere l’uscita dal tunnel nel 2013 è semplicemente irreale e chi lo afferma mente sapendo di mentire e merita di essere affidato alla giustizia di Dante Alighieri.
Si deve anche riconoscere che il problema dell’obiettivo dello sviluppo non può dirsi solubile, in concreto, se non si chiarisce il significato di “equa distribuzione” dell’output. È ovvio che tutto ciò che l’uomo produce, bombe comprese, è destinato al consumo e che non vi è crescita dell’output se la domanda di beni prodotti non aumenta. Ma questo è possibile se la capacità di spesa aumenta in mano a chi deve soddisfare i suoi bisogni, che in una società di massa riguarda la popolazione e non una oligarchia di già ricchi. Perché ciò accada, diventa importante il sistema distributivo e a questo punto il concetto di “equa distribuzione” non può essere lasciato alla metafisica dei concetti vuoti. Non possiamo dimenticare che i romani, padri del diritto civile, associavano all’equo il “giusto” (id quod equum et iustum est). Ma il termine “giusto” rimanda a un concetto giuridico e, conseguentemente, legislativo. Quindi: equo non secondo San Francesco, ma secondo le regole che una comunità si è data democraticamente. È la legge il punto di partenza e arrivo, non il diritto dell’imprenditore, non il diritto dei sindacati, ancor meno il diritto della piazza. Il problema rimbalza a chi fa le leggi e, quindi, diventa politico o, più precisamente, rinvia alla capacità e all’onestà di chi fa politica attiva.