Paolo Mazzarello, titolare della cattedra di storia della medicina all’ateneo pavese, non è solo un medico che interpreta la sua scienza nel susseguirsi degli itinerari che dalla nascita arrivano ai nostri giorni, tra scoperte ed errori, illusioni e delusioni, conquiste fondamentali e passeggere. La medicina è per l’uomo la più importante delle discipline. L’uomo comune, lo scienziato, il poeta, il filosofo, persino l’uomo di chiesa, affidano alla medicina le proprie speranze di vincere i mali corporali e psichici e a essa sarebbero pronti a sacrificare soldi, professione e sapere, per quel miracolo umano che la medicina infonde anche negli scettici. Questa scienza, come ogni passo umano, ha alle spalle un lungo millenario “ieri”, che può spiegare perché l’oggi è quello che è. Ecco, allora, che la storia della medicina non è solo una descrizione del già accaduto, ma è un’interpretazione di grande importanza per disegnare i percorsi futuri, perché la scienza sarebbe un disordinato accumulo di conoscenze, se non intervenisse il lavoro paziente dello storico, che non si limita a mettere in fila gli eventi, ma li spiega nelle loro cause e negli effetti. Per porsi come storici della medicina è necessario essere medici che guardano alla loro disciplina attraverso una lente storico-filosofica, se non si vuol ridurre la storia ad un’azione di messa in ordine cronologico di eventi, di per sé sterili, se non interviene l’opera dell’interprete.

Paolo Mazzarello non è un medico prestato alla storia, né uno storico prestato alla medicina, è le due cose in una e questa qualità scientifico-culturale gli consente indagini, che ha già sintetizzato in pubblicazioni importanti e che tra le altre riguardano Spallanzani, Lombroso e Golgi. L’indagine su Camillo Golgi, pubblicata nel 2006, deve essergli costata non poca fatica, se ha sentito il bisogno di concedersi un divertissement, una specie di relax, come mi ha dichiarato in un intervista di questi giorni, tradotta nel testo “Il professore e la cantante. La grande storia d’amore di Alessandro Volta”, che l’editore Bollati Boringhieri ha stampato nel 2009. Alessandro Volta non fa parte della storia della scienza medica, bensì della fisica, ma l’interesse di Mazzarello per Alessandro Volta non è una digressione, perché l’autore assume la sua veste di storico tout court, dimostrando la sua versatilità con un’indagine rigorosa e documentata sul più grande fisico europeo del periodo a cavallo dei due secoli XVIII e XIX. Volta non era solo un fisico, ma anche un filosofo naturalista, perché ha orientato le sue ricerca pionieristiche su uno dei fenomeni più difficili  da interpretare: l’elettricità, che è una specie di anima nell’anima della natura e a maggior ragione dell’uomo. Non è un caso che Volta, attratto dall’elettricità abbia saputo costruire la famosa pila e che Einstein partendo dalla elettrodinamica sia pervenuto alla teoria della relatività. Volta era uno scienziato pervicacemente innamorato della sua scienza e degli obiettivi che si era prefisso. Viveva in laboratorio, ma, essendo uomo di carattere gradevole, gentile e socievole, era invitato ambìto nei salotti pavesi, senza essere “uomo di mondo”, perché il suo mondo era tutto interiore, anzi in interiore scientia; ma questa suprema importanza dello studio e della ricerca non gli impedì, diversamente da Kant, per esempio, di provare un amore passionale e profondo per una cantante buona, generosa e moralmente seria, che, purtroppo, esercitava un’attività giudicata, in quell’epoca, a dir poco disdicevole.

Paolo Mazzarello con la sua ricerca ci restituisce un Volta umanissimo, preso da un amore veramente elettrico. Si legga il “Prologo” del libro, in cui Mazzarello in cinque righe definisce tutta la carica elettrica di quell’amore e che qui riprendo, perché è la sintesi della sua ricerca: “L’età non spegne le passioni. Come un vulcano accumula immense energie negli stati di quiete apparente, così l’animo umano può caricarsi di esplosive tensioni e precipitare inconsapevolmente verso il momento in cui eromperà. Allora tutto rischia di essere travolto e la preordinata stabilità della vita entra in discussione”. Mazzarello certo si riferisce a Volta, perché la metafora dell’accumulo di energia elettrica, che esploderà con i fulmini del temporale, è particolarmente adatta allo scienziato. Solo a Volta? In quel “Prologo” ci siamo tutti noi e, quindi, Mazzarello stesso. È un giudizio sicuramente generale, ma è scritto con tale eleganza linguistica da valicare i limiti dell’aforisma e trasformarsi in pensiero profondamente romantico. L’analisi del nostro autore è solo apparentemente una biografia di Volta, perché il grande fisico è calato nel clima e nella mentalità del suo tempo, in cui lo spirito non è certo quello dell’Illuminismo francese, ma il bigotto, ipocrita e codino della borghesia pavese, che è poi un valido esempio per le altre città italiane, in cui la vita si svolge tra pettegolezzi e maldicenze, superficialità e vanità solo esteriori. Mazzarello cala Alessandro Volta in questo mondo e ci restituisce quella figura in tutta la sua verità, che è subordinazione alle convenienze di un’epoca che non sapeva esprimere veri valori e che avrebbe dovuto attendere il riscatto del Romanticismo per far valere le ragioni del cuore su quelle delle parrucche. Volta resta quel grande scienziato che tutti apprezzarono allora e riconoscono anche oggi, ma sul piano umano esce sconfitto dal mondo che lo circonda e soprattutto resta schiavo del fratello Luigi, prelato arcidiacono, intrigante e superficiale, privo di umanità e legato solo a convenzioni esteriori, al punto di impedire al fratello scienziato, anche usando il ricatto, di portare a lecito compimento matrimoniale un amore genuino e onesto. Luigi Volta riuscirà a sopprimerlo per sostituirlo con altro partito, ritenuto più consono al rango, ma privo della carica elettrica che la cantante aveva saputo infondere. Sintetizzo con un paragone: Alessandro Volta sta al fratello Luigi, come Giacomo Leopardi sta al padre Monaldo. Certo Alessandro non esce dal ritratto verace ricostruito dal nostro storico come un campione di volontà e determinatezza, comunque non alla stessa altezza della tenace volontà di perseguire l’obiettivo scientifico, ma anche della resa finale dell’incallito scapolo della pila il  nostro storico dà ampia e documentata motivazione.

Mazzarello, con il libro su Volta, dimostra la sua professionalità di storico, ma è anche importante riconoscere che esprime le sue capacità con grande attenzione al contesto sociale. Sicuramente è un piacere per il lettore, che ami scoprire un lato umanissimo di Volta, conosciuto sui banchi di scuola solo come un costruttore di pile, in realtà lui stesso pila di un amore ricco di passione seppur non sufficiente a vincere il contrasto del perbenismo imperante. Ne consiglio la lettura con convinzione di rendere un servizio a chi conservi amore per la conoscenza della realtà storica di un epoca assai povera di spirito, ma anche a chi ama la nostra insuperabile lingua, che Mazzarello usa con immediatezza, naturalezza e maestria. In una selva di libri sciatti e scritti in stile sgangherato, destinati al macero prima che l’inchiostro asciughi, trovarne uno che arricchisca il lettore è rara avis.