Ho nella memoria due figure di attore: Gilberto Govi e Dario Fo. Il primo era un grande del palcoscenico e aveva il dono dell’umorismo. Il secondo era ritenuto un comico rumoroso, molto adatto al cabaret e ai piazzali di fabbriche occupate e illuminate dai fuochi di pneumatici dismessi. Quale differenza? Il primo mi faceva sorridere anche in tarda età (sua); il secondo, che continua a ritenersi un comico, non mi strapperebbe una risata nemmeno con il solletico. Non è colpa sua; gli è che un comico vecchio riesce a far ridere solo se è veramente grande e Fo è solo vecchio. Ciò spiega anche perché i tristissimi accademici di Stoccolma gli hanno conferito il premio Nobel: lo hanno scambiato per un tragico; in un certo senso hanno avuto ragione, perché un comico invecchiato o fa il clown, rendendosi irriconoscibile con il trucco o diventa un tragico involontario, che merita un premio. Però a Stoccolma un vuoto c’è: i premi sono sei e manca quello al coraggio. Dovrebbero istituirlo e attribuirselo.