Era un lunedì mattina delle idi di ottobre 2000. Di notte il plenilunio aveva preannunciato eventi, che consigliavano un consulto di aruspici. Il professore di filosofia del liceo arrivò trafelato davanti all’unico sportello per chiedere un “certificato di esistenza in vita”. Una targa più laconica di un telegramma di Giulio Cesare avvisava il pubblico: “chiuso”.

« Perché chiuso?», domandò all’usciere del salone.

« Perché sono tutti all’assemblea sindacale!» rispose con tono burocratico il governatore del salone.

« E quando riapre lo sportello?» chiese sconcertato l’affannato cittadino.

« È difficile prevederlo. Discutono e deliberano di orari per il pubblico. È cosa lunga e complessa. Torni domani.» Consigliò il viceré del salone.

Alle nove di mattina del giorno seguente il nostro cittadino si ripresentò allo sportello. Una targhetta, caratteri rossi su fondo bianco, avvertiva più laconica dell’ultimo respiro di Filippide proveniente da Maratona: “Pausa pranzo”.

Il cittadino si rivolse al guardiasalone per spiegazioni: «Ancora lei!» lo apostrofò dall’alto della sua autorevolezza salottiera.

« Purtroppo! Ma come mai è esposto il cartello “pausa pranzo” se sono appena le nove del mattino

« Veda caro signore – e in quel “veda” era condensato tutto il disprezzo per i comuni mortali- l’impiegato soffre di gastrite e mangia poco e spesso, cioè a tutte le ore! Lei lo sa, vero, quali sono le esigenze di un gastroleso?» Il professore di filosofia riconobbe tra sé e sé che il termine “gastroleso” gli era desueto e si sentì ancor più schiacciato da quella auctoritas dello scrutapubblico.

« Ma, insomma, di che ha bisogno? Lo dica pure a me, che, forse la posso aiutare » aggiunse con tono tra l’umano e il burocratico.

« Guardi! Ho bisogno di un “certificato di esistenza in vita” » – disse il professore di filosofia con tono deluso venato di colpevolezza per avere una tale necessità.

« Per la verità è cosa assai complessa. Prima di rilasciare un simile certificato occorrerebbe un’indagine dei carabinieri e un documento interno dell’anagrafe, che attesti la nascita preventiva! Non si può esistere, se prima non si è nati. Lei capisce bene, no?».

Il professore di filosofia dovette ammettere che esiste una sequenza logica nelle cose umane e il suo rammarico scadeva in visibile disperazione.

« Una soluzione ci sarebbe – soggiunse il feldmaresciallo del salone con tono di una marinaio in grado di lanciare una ciambella di salvataggio – ma potrebbe costarle venti euro e purché non lo vada a sbandierare ai sette venti » precisò.

« Mi dica che debbo fare » disse il professore di filosofia in tono implorante e mettendo mani al leggero portafoglio.

Il commodoro del salone ritirò rapidamente e con nonchalance la banconota con la sinistra e con la destra porse un certificato già compilato e firmato in bianco.

« Lei deve solo aggiungere in questi due righi vuoti il suo cognome, il nome, la data di nascita e la residenza. Ma, mi raccomando, in stampatello

Il professore eseguì con cura e restituì il documento.

«No! ­– disse il banchiere del salone – Questo lo tenga lei. È il certificato di cui ha bisogno, o no

Il professore riprese il foglio e lo lesse più volte, mentre a rischio d’inciampo camminava incredulo verso l’uscita. Era proprio il suo “certificato di esistenza in vita”.

Quando fu fuori dal palazzo certificatorio si fermò a riflettere. Si morse un labbro per accertarsi di essere proprio lui e non la sua ombra. Aveva capito, molto meglio di Heidegger, inutilmente spiegato ai suoi distratti studenti, che cos’erano l’esserci e il dasein.

 

Pietro Bonazza