Il mondo, comunque inteso, regge sul principio di causalità, che si sintetizza nella constatazione che un effetto deriva sempre da una causa. La conoscenza preventiva della causa giustifica l’esistenza di profeti e semiologi, quella degli effetti: l’attività di analisti e storici. Al mondo di questo principio appartengono fenomeni fisici, ma ancor più comportamenti umani, da quelli dell’individuo ai collettivi, che invadono il mondo della politica e del governo della cosa pubblica.
Spesso gli effetti non sono voluti, talvolta sono l’opposto dei desiderati, altre volte chi li causa finge di volere un effetto, ma in realtà ne persegue il suo opposto.
Questa premessa, non esclusiva dei massimi sistemi, serve per introdurre l’analisi di fenomeni che riguardano una componente molto importante dei consumi delle famiglie: quelli dell’energia elettrica e del gas.
Si faccia l’esempio di un paese nel quale vigono norme che sostengono un ordinamento in cui l’energia arriva alla frontiera o all’inizio della filiera di distribuzione supponiamo a 90 e che con politiche di prezzi amministrati venga garantito a un ente incaricato di rifornire il consumatore un mark-up di 10. In assenza di gravami fiscali sul consumo, il consumatore pagherebbe 100. Se lo stato impone un onere fiscale di 50, il consumatore, pagando 150, si sentirebbe percosso da un tributo del 50% e le sue reazioni politiche sarebbero in relazione alla percezione di congruità o necessità di quell’aliquota. Si supponga che le forze politiche di governo considerino impossibile rinunciare al gettito e contemporaneamente in pericolo il serbatoio di voti elettorali non abbassando il carico fiscale. Che fare? Si finge di diventare liberisti! Questo è il punto che ci riporta al principio di causalità. In nome della liberalizzazione del mercato si fa un provvedimento del tipo: chi compravende al minuto non può fare l’ingrosso ed entrambi non possono fare la distribuzione e il trasporto. Così – si sostiene – si dà trasparenza al mercato, perché nessuno può occupare l’intera filiera e su ogni anello si accenderà la concorrenza con vantaggio finale del consumatore. Bello, no? Sennonché moltiplicando le imprese della filiera si moltiplicano i costi e poiché nessuno ci sta a perdere, si mette in moto un meccanismo di profitti intermedi, che si ribaltano alla fine come maggior costo sul consumatore. Il quale non potrà prendersela con lo stato esoso e rapinatore, perché la bolletta non rivela alcun odioso onere fiscale sul consumo, il cui costo sarà in genere superiore a quello che pagava prima del cambiamento di regime. Semmai se la prenderà con il mercato cinico e baro o con la mancanza di fonti energetiche, non con lo stato e nemmeno con il governo, che non appare ladro…anche se piovesse. Questo però non ci perde perché sui profitti intermedi delle imprese dei vari anelli della filiera, quatto quatto, preleva tra il 40 e il 50% di imposte dirette. Senza confondere le imposte sul reddito (IRPEG) con quelle sui consumi (IVA), il gettito è garantito e probabilmente superiore al precedente, la faccia politica è salva, il liberismo rispettato, l’ignaro consumatore fottuto, perché il principio di causalità è sempre operante, anche dietro le quinte.
Questo quadretto metaforico, anche se molto semplicistico, serve per capire quel che è successo – con le aggravanti della ineliminabile esistenza di monopoli naturali – nel campo energetico con i provvedimenti noti come decreto Bersani (energia elettrica) e decreto Letta (gas), emanati in un momento storico in cui le sinistre volevano dimostrare tutto il loro neoliberismo. Passi per le forze politiche che volevano far credere nella loro conversione al mercato libero nel tentativo di conquistare masse di voti borghesi e neoborghesi. Un po’ meno giustificabile che il MAP (ministero delle attività produttive) dell’era berlusconiana, preso da problemi di inconcludenti riforme sui massimi sistemi, non abbia fatto un bel niente in difesa del consumatore. Ma questo è spiegabile con il fatto che il consumatore non lo sa e le associazioni che si ergono a difensore sono troppo prese in battaglie spesso sterili, purché visibilmente eclatanti per capire il rapporto causa-effetto della bolletta energetica. Ma non conta. Ora il consumatore è libero di telefonare al primo supermercato che capita e ordinare un confezione di 1 Kwh di “scossa” o 1 mc di gas marca neofurbo. Paga così giorno per giorno la somma di mezzo secolo di errori, dalla nazionalizzazione lamalfiana dell’energia elettrica ai referendum per l’energia nucleare, alla esaltazione e alla dismissione poi dell’Enel e ogni volta mettendo in mano degli enti snazionalizzati un mare di liquidità, che ha favorito il sorgere in altri settori di posizioni più dominanti di quelle abolite. E sempre la Confindustria alla finestra a guardare con interesse e i sindacati ad agitarsi sulle piazze per battaglie di retroguardia. Lo Stato compiacente guarda e incassa mentre l’ignaro consumatore paga, ma se alza la voce subito deve abbassare la testa, perché incombe il rischio quotidiano di un black-out.
Pubblicato in “ItaliaOggi”, 16 aprile 2003, pagg. 1-4.