Osservazioni sulla valutazione del capitale economico dell’impresa assicuratrice: rami assicurativi ed embedded value

Embedded Value is a very frequently used instrument for the fair market value evaluation of life insurance Companies. Observing both the life insurance market and the balance sheets components (calculated according to the embedded value method) in the fair market value, we conclude that this method cannot be considered exhaustive for the estimation of a correct value, because it leaves out most of the evaluation components. Therefore, its utility is limited to an evaluation of the performance gauge to delineate future strategies.

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1. il punto di partenza della valutazione: le dinamiche evolutive del mercato e il bilancio. 1

2. definizione e finalità dell’embedded value. 6

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1. Il punto di partenza della valutazione: le dinamiche evolutive del mercato e il bilancio

Il dinamismo dei mercati, che genera incertezze e instabilità anche in settori non molto dinamici e poco globali, è una componente ormai assunta, anche se non del tutto metabolizzata, dall’impresa in generale. Le compagnie di assicurazioni, che per motivi storici o territoriali, operano in mercati nazionali e comunque non intercontinentali, non sfuggono al fenomeno e sono costrette a dotarsi di strumenti gestionali flessibili, in grado di fornire con rapidità i dati conoscitivi, che impediscano ristagni e scivolamenti corrosivi della capacità espansiva e, causa ancor più negativa, del grado di patrimonializzazione e del margine di solvibilità.

Se si limita l’analisi al mercato nazionale, si possono osservare alcune note caratteristiche, che, con la correlazione di altri dati, hanno una ricaduta finale sul valore del capitale economico:

1. la territorialità. Ci si può chiedere se in questi tempi sia ancora possibile considerare attuale tale caratteristica. Sarebbe auspicabile poter conservare il localismo di un tempo, che può avere i suoi vantaggi. Si pensi alla differenza tra un portafoglio assicurativo di RC-auto in una regione con un tasso di incidenti dell’x% sull’ammontare dei premi e quello dell’y% in una diversa regione, con x>y. Si legge nel sito Internet del Ministero della Salute: « Gli incidenti stradali provocano ogni anno in Italia circa 8.000 decessi (2% del totale), circa 170.000 ricoveri ospedalieri e 600.000 prestazioni di pronto soccorso non seguite da ricovero; rappresentano inoltre la prima causa di morte tra i maschi sotto i 40 anni ». È noto che in Inghilterra i decessi per incidenti sono meno numerosi dopo l’adozione di misure sanzionatorie più rigorose. Se si deve tener conto di queste componenti nei processi valutativi, gli effetti sul risultato finale possono essere molto consistenti. Tuttavia, anche le compagnie che sono radicate storicamente in territori meno rischiosi devono fare i conti con la condanna della nostra epoca: l’obbligo indifferibile della crescita. Oggi i costi generali di amministrazione di un portafoglio sono così rigidi e lievitati da esigere l’assorbimento in valori di premi crescenti più che proporzionalmente. Ma questa esigenza contrasta con il localismo. Crescere implica uscire da un territorio storico e affrontare mercati nuovi. Le compagnie di assicurazione locali hanno sì una loro indiretta protezione, che deriva da tante componenti, ma non operano più in settori di nicchia e la difesa del proprio territorio è una battaglia di retroguardia e destinata alla sconfitta. Non è solo questione di subire limiti di crescita oggettiva nel territorio storico, ma è l’ingresso di nuovi concorrenti, in assalto al portafoglio tradizionale, che non può più essere considerato consolidato e permanente;

2. la fedeltà. Che la fedeltà sia un valore non può essere messo in dubbio, tanto più in quest’epoca di instabilità dei rapporti. Un tempo la fedeltà era una conseguenza, almeno parziale, del radicamento territoriale. Oggi, con l’aggressione della concorrenza, la constatazione di un certo grado di fedeltà è ancor più importante, perché può diventare un elemento rivelatore di un rapporto, in cui l’impresa assicuratrice sa offrire attenzione alla propria clientela, oltre a premi più contenuti a parità di capitali assicurati. Ma se la fedeltà è un valore, di contro ha anche un costo, che può essere sviluppato in maggior attenzione ai problemi del cliente e talvolta recuperato nell’ulteriore vantaggio che nella “coltivazione” del rapporto possono scaturire nuove polizze o incrementi dei massimali su quelle esistenti. In un certo senso si potrebbe affermare che la fedeltà si è rovesciata dall’asse assicurato-assicuratore a quello assicuratore-assicurato. Ma questa “virtù”, si manifesta anche nella prontezza nella liquidazione dei sinistri, che può recare vantaggi indiretti nella riduzione dei costi del contenzioso. Così intesa, la fedeltà diventa un valore, che, al di là di attualizzazioni di puri numeri pensati al futuro, è un íntangible aggiuntivo da inserire in un passaggio, tra gli ultimi, nella determinazione del valore del capitale economico;

3. i vincoli normativi. L’impresa assicuratrice non è un’impresa “normale” per almeno due aspetti: la funzione sociale e la caratteristica gestionale. I due aspetti, alla fine, si congiungono. Il primo deve essere precisato, perché l’industria assicuratrice ha espanso ultimamente le sue aree di business a settori un tempo sconosciuti. Si pensi, per esempio, all’assicurazione sulle vacanze, per cui si può affermare che senza quel tipo di copertura il mondo economico non sarebbe certo compromesso. Invece, vi sono aree che rimarrebbero sterili senza un’assicurazione, che non è certo una fuga dal rischio dell’impresa non assicuratrice o del privato per eventi attinenti alla conservazione del valore dei propri beni, della salute e della vita, ma una copertura dell’imponderabile. Il legislatore da sempre si è dimostrato sensibile al fenomeno della esigenza di una suddivisione del rischio di eventi dannosi o trasferendo l’assunzione a un’impresa specializzata nella gestione del rischio con uso intensivo della matematica finanziaria e attuariale e specificamente dell’applicazione della legge dei grandi numeri oppure mediante la ripartizione tra più teste avvinte dal principio di mutualità. Sono state dettate norme sempre più stringenti e garantiste dell’assicurato, che fa affidamento proprio su specialisti del rischio, le cui scelte e comportamenti devono avvenire nell’ambito delle regole precostituite, affinché, nel momento del verificarsi dell’evento, l’assicuratore sia in grado di far fronte ai propri impegni. La preoccupazione del legislatore si giustifica anche con la gestione caratteristica dell’impresa assicuratrice, che vede i ricavi precedere i costi, fenomeno ben diverso da quello del grossista che compra sul venduto. Qui, invece, si vendono contratti con certo per l’incerto, così incrementando il rischio di errori nei calcoli previsionali e stimolando, anche su questo aspetto, l’intervento del legislatore per garantire la costituzione di adeguate riserve tecniche e patrimoniali. Gli interventi dei pubblici poteri non si limitano alla fase normativa, ma creano anche autorità di controllo, che, con certezza, prima o poi contraggono la malattia del “tarlo burocratico”, con interventi spesso fini a se stessi e con applicazione della legge di Parkinson [1]. Ne escono svantaggiate le compagnie di piccole e medie dimensioni, spesso oberate da costi amministrativi in parte non giustificati. I vincoli sulla gestione di questi interventi normativi e burocratici creano percorsi tortuosi e a ostacoli, che solo un’alta professionalità consente di praticare con risultati di redditività nel rispetto delle norme. Negli ultimi cinque anni, a maggior ragione, il tema dei vincoli normativi è diventato sempre più rilevante. Sono stati emanati ben 42 provvedimenti tra il 1999 e il 2004, come conseguenza dell’adozione a livello europeo del Financial Service Action Plan. In aggiunta a direttive, regolamenti e codici di condotta, sono da considerare anche i principi contabili internazionali (IAS) che più di tutti comportano costi aggiuntivi per le imprese assicuratrici. I principi contabili internazionali rappresentano certamente un costo rilevante di adeguamento normativo, ma possono diventare anche un’opportunità per innovare il sistema di confronto della performance dell’impresa assicuratrice con il contesto internazionale (questo argomento sarà approfondito anche successivamente). È inevitabile, quindi, che i nuovi vincoli normativi rientrino nella valutazione del capitale economico dell’impresa assicuratrice, specialmente, se l’adozione degli IAS comporta una profonda diversità di valori nei profitti, nel patrimonio e nella classificazione dei premi, dall’anno precedente all’anno 2005.

4. vincoli di solvibilità e copertura delle riserve tecniche. L’impresa assicuratrice, a prescindere dalle imposizioni normative, deve già volontariamente e per garantirsi l’equilibrio della gestione, osservare standard di solvibilità e provvedere a coprire le riserve tecniche, che sono passività, con attività che garantiscano equilibrio tra asset e liability. Si osserva che il D.Lgs. n. 209 del 7 settembre 2005 (Codice delle assicurazioni) definisce, all’art. 1: «lettera gg) “margine di solvibilità disponibile“, il patrimonio dell’impresa, libero da qualsiasi impegno prevedibile e al netto degli elementi immateriali; lettera hh), “margine di solvibilità richiesta”: ammontare minimo del patrimonio netto del quale l’impresa dispone costantemente, secondo quanto previsto nelle direttive comunitarie sull’assicurazione diretta». Questa rimessione alle direttive comunitarie è, giuridicamente, un “rinvio formale”, che mal si concilia con le norme del Capo IV del Codice della assicurazioni, che ha assorbito abrogandoli (art. 354), tra l’altro i D.Lgs. 17 marzo 1995, n. 174 e n. 175, ma non ha riproposto un omologo dell’art. 35 del D.Lgs. 174, forse perché lo ritiene indirettamente incorporato nel comma 1 dell’art. 44, che prevede la delega all’ISVAP di un regolamento, che dovrebbe riguardare la stessa materia delle direttive comunitarie, creando non pochi dubbi in materia.

5. i settori operativi. Le scelte dei rami, che costituivano motivi di specializzazione in passato, soprattutto nella suddivisione tra rami elementari, RC-auto e vita, è ora meno libera. Oggi l’assicurato è diventato cliente, quindi più esigente, più consapevole di essere oggetto di attenzione concorrenziale e si sente più forte e pretende corteggiamento. Le compagnie tendono a offrire pacchetti completi di prodotti assicurativi e, se le norme impongono unbundling societario, sono spinte a costituire capigruppo (holding) per governare i rami allocati in società distinte. Tra capogruppo e singole società si instaurano necessariamente rapporti di direzione unitaria e di coordinamento, rientranti nelle norme degli artt. 2497 e segg. cod. civ. Il fenomeno si traduce in una rete, che rende difficili valutazioni stand alone delle singole società-prodotto; da qui la tendenza a valutare il gruppo come unità operativa, oltre che economico-patrimoniale.

6. la finanza. Fino a pochi anni fa le compagnie di assicurazione concentravano la copertura delle riserve prevalentemente in capitale immobiliare e non solo quello strumentale utilizzato per sedi, filiali e agenzie, ma anche come beni da reddito. Il dinamismo degli ultimi anni, che ha portato la finanza in posizione dominante sui processi produttivi tipici, ha suggerito cambiamenti strutturali. Al mattone si sono affiancati in posizione dominante valori mobiliari di vario genere, aumentando la quota finanziaria del reddito, ma anche i rischi di perdite. Il fenomeno è stato irreversibile. Si legge sulla stampa economica che alcune compagnie hanno ceduto più del 30% del patrimonio immobiliare nel periodo 2001-2003. Altre hanno fatto operazioni di spin off, anche stimolando, talvolta come un doping sportivo, la crescita apparente di immobiliaristi d’assalto, sostenuti dal settore bancario, che ha alimentato il circuito e la bolla speculativa immobiliare, che certo non giova all’equilibrio fisiologico dei mercati;

7. La miscela banca-assicurazione. La finanza è un mondo che ha affascinato e affascina le imprese di ogni settore, creando attenzioni, attese e illusioni ben oltre la razionalità economica. Se si considera che è abbastanza condivisa l’opinione che la finanza sia un “gioco a somma zero”, ci si deve chiedere, con senso di realismo, se sia possibile che, invece, tutti riescano a realizzare guadagni. Indubbiamente qualcuno che resta con il cerino in mano deve pur esserci, ma la globalizzazione dell’economia ha trovato spesso impreparata la scienza economica a fornire strumenti analitici adeguati a una più serena spiegazione. All’inizio di quella che può essere definita una “catena alimentare” sta il risparmiatore, oggetto di attenzioni e corteggiamenti da parte di operatori finanziari, più o meno esperti e onesti. Però il risparmiatore è anche alla fine della “catena alimentare”, cioè il soggetto destinato a reggere il cerino ormai consumato. In questo contesto alcuni anni or sono è nato il connubio banca-assicurazione, che ha gettato sul mercato del risparmio “prodotti” creati dalle compagnie di assicurazione del ramo vita, che di assicurativo hanno ben poco, tant’è vero che sono collocati prevalentemente da sportelli bancari, distanti per cultura dal problema assicurativo, ma interessati al rastrellamento del risparmio. Il fenomeno, seppur in termini più contenuti, almeno per certi “prodotti” (polizze “index linked”), continua con volumi non trascurabili e stimola, con altre problematiche, quell’attenzione sul risk management, che ha trovato anche strumenti adeguati, come l’ALM (Asset and Liability Management) per l’analisi correlata tra attività e passività del bilancio, non viste come risultato storico-puntuale alle date canoniche di chiusura dell’esercizio, ma come valutazione preventiva valida per le scelte gestionali, ragionate in funzione di varie alternative, che tali modelli rendono possibili secondo variabili immesse di volta in volta per scenari mutevoli e dinamici. L’esistenza di questo settore in una compagnia, se supportato da strumenti analitici e di scelta adeguati, può determinare, coeteris paribus, un valore del capitale economico diverso rispetto ad altri.

Le caratteristiche della nuova economia delle compagnie di assicurazioni sono ben più numerose, ma qui non si intende farne un inventario più o meno completo. È però importante rilevare che l’economia di azienda ha sviluppato negli ultimi tempi criteri e tecniche di valutazione, definite in modo talvolta esoterico, ma pur sempre varianti del concetto fondamentale che il valore dell’azienda è incentrato sul suo futuro reddituale, sicché ciò che ci viene restituito da Oltreatlantico è spesso un riciclaggio di concetti domestici risalenti a epoche meno dinamiche, ma non insensibili alla natura del fenomeno economico, analizzato con razionalità e largo anticipo da aziendalisti italiani legati a scuole vecchie, ma non superate. Semmai, di veramente nuovi possono esserci strumenti analitici e un uso più esteso di elaborazioni matematiche attuariali.

2. Definizione e finalità dell’embedded value

L’analisi delle dinamiche evolutive del mercato introduce il problema della valutazione delle compagnie di assicurazione mediante il metodo, sempre più diffuso, dell’embedded value.

La locuzione anglosassone significa letteralmente “un valore impiantato in un altro”, mentre la traduzione italiana del concetto di embedded value definisce la locuzione come “valore intrinseco”. Entrambe le traduzioni sembrerebbero riconoscere che l’embedded value, in quanto complementare, non è adeguato, da solo, a realizzare il fine della determinazione del valore di capitale economico, che, per definizione, va oltre l’embedded value dell’impresa, facendo rientrare nel proprio valore componenti di extrabilancio, come l’avviamento o gli impatti delle dinamiche evolutive del mercato sull’impresa assicuratrice. È importante sottolineare che le dinamiche evolutive, viste nel paragrafo precedente, non incidono sul valore dell’impresa in termini potenziali (quindi non sono “speranze” di difficile quantificazione), ma si traducono in variazioni del patrimonio dell’impresa in termini reali e spesso immediati.

La parzialità di valutazione del criterio dell’Embedded Value spiega almeno due constatazioni:

· è il motivo che rende tale procedimento non applicato nel Nord America [2];

· il giudizio di limitatezza delle componenti del procedimento, poiché ne esclude alcune determinanti, ai fini di stabilire un valore economico equo in caso di cessione di azienda [3]; mentre non nega l’utilità per valutazioni più specifiche, ma di carattere orientativo per la gestione più che per la cessione.

Infatti, nel sito Internet “Investopedia” si legge che l’embedded value è una metodologia che riflette i futuri profitti degli azionisti di una compagnia di assicurazioni sulla vita ed è pari ai surplus liberi più il valore degli affari in corso; esso è difficile da impiegare nella comparazione tra differenti compagnie, poiché ciascuna determina i propri parametri di input, per esempio il livello del surplus-obiettivo.[4]

All’ “Investor Relations Symposium” tenuto ad Amsterdam il 2 febbraio 2000, il relatore Peter Kuys, attuario olandese, ha presentato una relazione dal titolo “Embedded value Methology” e ha definito il procedimento come la risultante della somma di Free Surplus (cioè Capitale + Surplus – Surplus vincolato). Il free surplus è la parte di capitale proprio disponibile, svincolata dalla attività in essere.

Sintetica anche la pubblicistica italiana, come, per esempio, le affermazioni del Guatri  [5], che, in una prima definizione, intende l’embedded value come “sommatoria attualizzata dei margini di profitto inseriti nei contratti in essere”, che, per le compagnie vita si traduce in concreto nella somma del Patrimonio netto contabile rettificato + il valore del patrimonio vita + il valore del portafoglio fondi comuni di investimento, posta quest’ultima che potrebbe essere trascurata, se la compagnia è priva di tale componente finanziaria; in una seconda definizione intende l’embedded value come un procedimento puramente attuariale per l’accertamento periodico della dinamica dei beni immateriali [6].

In questo quadro e non confondendo il concetto di criterio con quello di metodo, si inserisce l’embedded value, che considera, tra le componenti del capitale economico, il valore attualizzato degli utili attribuibili al portafoglio stabile e a quello di nuova generazione. Da qui l’applicabilità a tutti i rami assicurativi, ma ancor più, per la natura a più lunga durata del portafoglio, ai rami vita. Più che un criterio, si tratta di una tecnica, cioè di un metodo, che si inserisce nel filone dei criteri misti patrimoniali-reddituali. Poiché si è prima constatato che in genere le compagnie vita appartengono a un gruppo, è ovvio che tra le società che formano la rete della holding si creino rapporti e sinergie, che, tuttavia, in una valutazione devono essere isolate, perché, a fini meramente estimativi possono essere ritenute interferenze. In altri termini la valutazione deve essere orientata a una premessa stand alone, al fine di attribuire alla compagnia, trattata con unbundling non solo giuridico-societario, ma anche economico, il valore effettivo dell’impresa singola.

Nei manuali specializzati l’embedded value viene sintetizzato in questi termini:

a) il capitale netto contabile è rettificato da plusvalenze implicite, minusvalenze, passività, correzioni dei fondi rischi e spese future, adeguamenti di riserve tecniche, riscontri di crediti e debiti, se necessario con accertamenti da due diligence. Queste rettifiche consentono di trasformare il patrimonio contabile in “patrimonio netto rettificato” (Net asset value). Il Net asset value è definito anche come la somma del margine di solvibilità disponibile (D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, articolo 44) e dell’eccedenza di patrimonio netto superiore al margine minimo di solvibilità (generalmente costruito con il metodo del Risk Based Capital)

b) valore delle attività in corso (definito anche come “valore intrinseco del portafoglio” o Inforce Business) è il valore del portafoglio in essere al netto del turnover, che per le compagnie vita è determinabile con riferimento alla scadenza contrattuale delle polizze, sottraendo però i costi di gestione della raccolta dei premi e degli altri costi generali di gestione. La stima della redditività è attualizzata con criteri attuariali; (value of in-force business, “Embedded Value Definition”, Risk management Metrics Subgroup, Society of Actuaries, Illinois, june 20, 2001)

c) la somma di (a+b) determina l’embedded value.

L’enfasi riservata a questo metodo è poco giustificabile, anche riducendo la sua funzione al grado di componente di un più vasto processo valutativo finalizzato alla determinazione del capitale economico.

È logico che esiste un solo criterio generale razionale per la determinazione del valore di un’azienda: quello della attualizzazione dei suoi redditi futuri. I metodi patrimoniali e quelli finanziari sono riconducibili a quell’unico criterio. Infatti, il valore corrente di un’attività, in riferimento al quale si determina la rettifica rispetto al valore contabile, è desumibile dal mercato, ma tale valore è una media di valori, che si riferiscono alle utilità future attribuibili al bene. Altrettanto si può dire per l’attualizzazione di flussi finanziari, perché, in una dimensione temporale sufficientemente significativa, flussi reddituali e flussi finanziari finiscono per coincidere, diversamente l’equilibrio economico non sarebbe più il motore che garantisce sia gli equilibri patrimoniali sia quelli finanziari [7]. Ma, fatta questa premessa, è ovvio che ogni tipo di azienda e ogni settore impongono varianti, che considerino la specialità dei problemi gestionali, patrimoniali e finanziari, nella loro proiezione al futuro.

Ora, per constatare che nell’impresa assicuratrice il valore del portafoglio è determinabile con attualizzazioni integrate da componenti probabilistiche, in un processo a cui collaborano l’economista di azienda e l’attuario, non c’è bisogno di alcun esoterismo tipo embedded value, la cui definizione è, peraltro, molto variabile, come si legge nel “Quaderno 109, luglio 2005 dell’AIAF). È importante constatare che questo metodo non consente di determinare il capitale economico dell’impresa assicuratrice nemmeno nel settore “vita”, perché non considera componenti essenziali del complesso problema, soprattutto non può incorporare le caratteristiche prima ricordate della gestione e delle evoluzioni in atto nel settore assicurativo. Il criterio reddituale, seppur di non facile adattamento alla fattispecie, è in grado di assorbire nei suoi processi valutativi tutte le componenti, che incidono sulla determinazione del capitale economico. Non è un caso che per la stima del fair value la prassi utilizza il valore dell’appraisal value, composto dal valore dell’embedded value della compagnia di assicurazione più un goodwill, calcolato con il metodo dei multipli di mercato. Premesso che il metodo dei multipli di mercato comporta sempre l’applicazione di un parametro sintetico – e in quanto tale è per definizione un valore di controllo – ci si chiede come il goodwill, costituito da elementi quali la territorialità, la fedeltà della clientela, i vincoli normativi, i vincoli di solvibilità e copertura delle riserve tecniche, i settori operativi e molte altre componenti, possa essere espresso dal mercato, specialmente quello italiano, dove la stabilità e la trasparenza non hanno ancora raggiunto livelli accettabili.

In ogni caso, se ciò che esprime l’appraisal value (embedded value + goodwill) è un fair value, quindi un prezzo che può essere speso come valore di capitale economico di un’impresa di assicurazioni, ciò che esprime l’embedded value è qualcosa in meno, un valore che non tiene conto di una serie di componenti (non necessariamente solo potenziali) che confluiscono nel goodwill.

Si può allora concludere che l’embedded value è un valido strumento di controllo a posteriori (perché a giudizio di suoi estimatori è un misuratore di performance) della gestione, a sua volta utile per delineare strategie future, sia per politiche conservative sia per politiche aggressive. Ma, proprio perché insufficiente nella misurazione di un fair value, diventa pericoloso il suo utilizzo nella valutazione del capitale economico dell’impresa di assicurazione.

L’embedded value si presenta, quindi, come uno dei metodi di misurazione di performance e si confronta con la “teoria della creazione del valore”, che utilizza altri indicatori quali l’EVA, Economic Value Added, o il REI (Risultato economico integrato) [8]. Senza voler sminuire il potenziale di misurazione di performance di tale metodo, non bisogna dimenticare che, se l’obiettivo della stima di capitale economico è il raggiungimento di un valore completo nel quale siano evidenti le caratteristiche di un’impresa, sia essa manifatturiera o assicuratrice, è evidente che il valore di embedded value o il più evoluto appraisal value non possono raggiungere l’obiettivo del valore economico attribuibile.

Tale convincimento diventa ancor più radicato alla luce delle “Linee guida dell’embedded value europeo”, che saranno adottate a partire dai bilanci del 2005. Infatti, per rendere sempre più confrontabili le imprese assicuratrici europee, sono stati stabiliti nuovi criteri per il calcolo del “valore intrinseco”, ma per non ricadere in vecchie errori, è stata data ampia discrezionalità agli attuari sul tipo di criterio da utilizzare per la rappresentazione della realtà aziendale. Questo fenomeno comporta ancora più costi per la compagnia di assicurazione, che nel 2006 dovrà consegnare illustrazioni e spiegazioni sui seri motivi della scelta di un criterio piuttosto che un altro. Il risultato è la difficoltà, ormai storica, di effettuare attendibili confronti tra compagnie assicuratrici.

 

Brescia, 7 novembre 2005

 

dott. Pietro Bonazza

dott.ssa Giulia Bonazza

Via Trieste, 34 – 25121 Brescia

Tel 030 45324 – fax 030 2899441


[1] La legge empirica elaborata da C.N. Parkinson nel 1957, secondo cui la burocrazia alimenta sé stessa in un processo di espansione, che prescinde dagli scopi per cui è stata creata.

[2] Si legge sul sito Internet, Investopedia: «A common valuation measure used outside North America particularly in the insurance industry. It is calculated by adding the adjusted Net asset value and the present value of future profits of a firm ».

[3] Si legge sul sito Internet, Investopedia: «Embedded value is a conservative valuation method as it excludes certain aspects of goodwill from its calculation of a company’s worth. Goodwill includes intangible assets that increase the value of a company beyond its assets minus liabilities, such as strong management, good location, and a happy workforce. Furthermore, to add to its conservatism, the EV calculation of a firm does not allow for any increase in future business ».

[4] In inglese: « A methodology that reflects future shareholder profits in the life insurance business. Embedded value equals the free surplus plus the value of inforce business. Embedded value is hard to compare with different companies since each company determines its own input parameters, for example the level of target surplus ».

[5] L. Guatri, Trattato sulla valutazione delle aziende, EGEA, Milan, 1998, pag. 136.

[6] L. Guatri, Trattato sulla valutazione delle aziende, EGEA, Milan, 1998, pag. 461

[7] Si veda di P. Bonazza, “La valutazione delle aziende” in “Giornale dei dottori commercialisti, 1984, n. 7, pag. 11.

[8] Luigi Guatri, Trattato sulla valutazione delle aziende, pag. 25-36, Egea, Milano, 1998