Osservazioni sul “principio della continuità aziendale”

 

Il d.lgs. 18 agosto 2015, n. 139, ha inserito nel codice civile l’art. 2423-bis, che prescrive che nella redazione del bilancio: “…la valutazione delle voci la valutazione delle voci deve essere fatta secondo prudenza e nella prospettiva della continuità aziendale…”. Più che una innovazione è un chiarimento, perché anche prima della novella, in assenza di fondata previsione della continuità aziendale, la valutazione delle voci doveva ricadere nell’applicazione dei criteri di liquidazione per logica di sistema. Per inciso, si osserva che la “continuità aziendale” è già compresa nel “principio di prudenza”. Se fosse anche solo pleonastica, la norma, così come scritta, porrebbe immediatamente un problema temporale: da quando può venir meno la continuità aziendale? Il codice civile non dà indicazioni, lasciando spazio ai principi contabili. Si faccia l’esempio dello sfruttamento di un pozzo petrolifero costituente un’azienda: se stiamo redigendo il bilancio dell’anno x e i geologi prevedono il suo esaurimento dopo dieci anni, ne conseguirebbe che la continuità aziendale verrà probabilmente meno alla fine dell’anno x+9. Quale criterio di valutazione sarà seguito dagli amministratori in sede di formazione del bilancio dell’anno x?
Come osservato sopra, il codice civile non si esprime sulla proiezione temporale della “continuità aziendale”; ma vi provvede, apparentemente, l’OIC 11, che afferma che la valutazione deve essere riferita “a un arco temporale futuro, relativo a un periodo di almeno 12 mesi dalla data di riferimento del bilancio”. Perché “apparentemente”? Perché l’avverbio “almeno” indica solo un termine minimo, peraltro pleonastico, ma lascia indeterminata la durata del futuro. Forse sarebbe stato meglio trascurare ogni riferimento temporale.
Nel caso dell’esempio, il citato avverbio “almeno” lo fa rientrare nel tema e si dovrebbe ammettere che esiste la continuità aziendale per tutti gli esercizi da x a (x+9), ma non sembra una conclusione definitiva per le valutazioni di bilancio. Innanzi tutto, si constata che la continuità aziendale dovrebbe essere assorbita nel criterio di prudenza, ciò che non fa l’OIC 11, o, almeno, dovrebbe essere considerato un criterio di valutazione che tenga conto che il valore dell’azienda costituita dal pozzo petrolifero deve essere pari, nel bilancio dell’anno x, al valore attuale di una rendita finanziaria di durata (x+10) o, se diverso, il valore attuale di 10 redditi annuali, calcolo che assorbe il criterio della continuità aziendale, considerando che, almeno nella fattispecie, il metodo reddituale dovrebbe essere il più idoneo a consentire una corretta valutazione dell’intero complesso.
Si deve anche osservare che l’OIC 11 considera solo l’esistenza di condizioni oggettive, mentre è di primaria importanza, anzi pregiudiziale, l’aspetto soggettivo, soprattutto in imprese a base ristretta o familiare. Si faccia l’esempio di una società che produce reddito ed è oggettivamente in continuità aziendale, ma proprietà e management siano condizionati dall’età del titolare privo di eredi e la cui personale presenza sia anche condizione di continuità. Il venir meno di questa presenza personale limita decisamente la continuità aziendale. Si potrà obiettare che l’azienda può essere ceduta a terzi, ma, poiché le qualità personali non sono cedibili, il prezzo di cessione subirà riduzioni determinanti. Si dirà che tutto è cedibile e tutto ha un prezzo e che anche un’azienda fallita è cedibile, ma si potrà parlare ancora di continuità aziendale, almeno secondo i canoni dell’OIC 11?
La ragioneria è una disciplina che usa la ragione prima ancora dei principi contabili a meno che questi non assumano una valenza normativa che, per comodità, è assunta, spesso meccanicamente, da bilancisti e giudici.
Quindi, è sicuramente condivisibile l’importanza attribuita alla “continuità aziendale” e la sua assunzione a “principio”, ma purché non si trascuri che si tratta di un concetto relativo e non assoluto, in particolare in funzione del tempo. La perdita temporanea della redditività non deve diventare punto di riferimento per affermare l’inesistenza delle condizioni per la continuità aziendale. L’applicazione meccanica del principio può far dimenticare che dalle crisi si può anche uscire e una indiscriminata applicazione può mandare in crisi un intero sistema produttivo.
Si deve ricordare che il principio della continuità aziendale di per sé è un concetto astratto e vuoto, ma nella sua concreta applicazione influisce in misura determinante sulla valutazione del capitale economico-aziendale e può implicare in sede di bilancio la sostituzione di criteri di valutazione di funzionamento con quelli di liquidazione e le relative conseguenze. Il Principio OIC 11 fa opportune affermazioni sul punto.
A mio avviso, quello della continuità aziendale più che un principio è un corollario e va necessariamente impiegato “con prudenza”, considerando l’elemento tempo e le condizioni oggettive, soggettive e generali di mercato. Il consiglio non vale solo per gli amministratori, ma anche per i controllori esterni: sindaci e revisori legali.
 
Pietro Bonazza