Lo stato (non la nazione) è una fictio iuris, ma, una volta costruita, da finzione assume la realtà di incarnazione del potere impositivo, di cui l’imposta è la espressione economica, che genera, per contrapposizione, l’evasione. Ora, questa ha vari stimoli: si evade perché si ha natura di cleptomani, per  dimostrare a se stessi la propria furbizia, per egoismo da avaro, per necessità di sopravvivenza, ma c’è un’evasione più pericolosa: quella politica. Si evade per fare un dispetto a uno stato rapace e spendaccione, per reazione. Lo stato reagisce invocando una moralità auto referenziata contro l’immoralità dell’evasione e così spiega la lotta all’evasione, che è diventata più importante della lotta al crimine di sangue. Ma quanto costa quella lotta? Almeno due costi: uno palese, che sta nel dispiegamento di mezzi da parte dello stato, per raggiungere, spesso, risultati poco significativi sul piano concreto; un altro occulto, che sta nelle persecuzione burocratica dei molti, con balzelli, leggine, provvedimenti nemmeno legislativi, ma lasciati all’arbitrio della pubblica amministrazione, messi in atto per  colpire i pochi. Così l’evasione, almeno per l’evasore, assume giustificazioni politiche, quindi etiche. Un’ “evasione etica” è categoria ignorata, ma esiste e i governanti, che se ne dimenticano, hanno, in genere, vita breve.

L’evasione è un’alternativa pacifica alle barricate e, col tempo, facendosi prassi comportamentale, assume la veste di “diritto di resistenza”. Resistenza “passiva”, cioè: non fare, non dire, non compilare  moduli e dichiarazioni, non emettere fatture e non riceverne, non teletrasmettere, ecc. Vi sono mali peggiori e con costi sociali più elevati. Se per ogni azione statale si facesse l’analisi costi-benefici, certo interventismo dovrebbe essere abbandonato perché improduttivo o con saldo negativo e, allora, in molti casi lo stato diventerebbe inutile. Ma lo stato è detentore del potere, quindi della forza (vedi Carl Schmitt), che usa per autogiustificare la sua presenza e la sua volontà di sperperare risorse in battaglie contro i mulini a vento e in elargizioni alle caste. Lo stato non prova alcun rimorso per questi comportamenti alla fine antisociali, ma, di contro, non prova rimorso nemmeno l’evasore. È una lotta tra inadempienti ai propri doveri.

Sono interessanti, per connessione di materia, alcune espressioni di Tommaso d’Aquino nella “lettera alla Principessa di Brabante” nel De regimine principum.

La vita è un bene che gli uomini mettono al primo posto, ma subito dopo molti collocano il rapporto fiscale.