Pietro Bonazza

* * *

ANCORA SULLA CORRELAZIONE COSTI-RICAVI DELLA DISCARICA DI RIFIUTI SOLIDI URBANI

* * *

(articolo pubblicato su “Rivista dei dottori commercialisti”, 1999, n. 4)

* * *

Il fenomeno della correlazione costi-ricavi, in particolare nel caso dei costi di chiusura e postumi della discarica di rifiuti solidi urbani, è stato trattato in un precedente articolo in questa rivista [1], del quale, dandone per scontata la conoscenza, questa nota è il seguito.

Mi limito al riassunto. Il gestore della discarica, ottiene un’autorizza­zione a riempire di rifiuti, da misurare in tonnellate, un terreno conteni­tore preventivamente impermeabilizzato e attrezzato. Già all’inizio dello sfruttamento del « buco» sono noti, perché stabiliti nell’atto autorizzativo, i quantitativi massimi accumulabili e gli anni di manutenzione, controllo e monitoraggio successivi alla chiusura. Si ha un caso di concentrazione dei ricavi nel periodo di riempimento e di sostenimento di costi in esercizi successivi, nei quali i ricavi saranno del tutto inesistenti. Peraltro, i costi sono determinabili in via presuntiva, in genere sulla base di una perizia re­datta da esperto e tenendo conto del tipo di intervento manutentivo pre­scritto dall’atto autorizzativo o, più genericamente, con rinvio alla tecnica, che garantisca condizioni di sicurezza igienico-sanitaria e tutela dell’am­biente. Quei costi, proprio perché obbligatori e valutati da liberi stimatori professionali, possono essere ritenuti certi nell’esistenza (li impone l’atto autorizzativo) e oggettivamente determinabili (l’esperto è in grado di far­lo), sia sul piano civilistico (articoli 2423-bis e seguenti del codice civile), sia su quello tributario (art. 75 Tuir 917/1986). Il problema presenta, quindi, tre aspetti:

a) l’accettazione del concetto che la correlazione costi-ricavi può esistere anche quando lo scarto temporale tra i due flussi sia di più esercizi (nella fatti specie il differimento dei costi può raggiungere i trent’anni);

b) la tecnica contabile, con cui rappresentare la correlazione in termini di chiarezza (trasparenza);

c) il criterio, con cui determinare il rapporto costi-ricavi.

Ricordavo, nella mia precedente nota, che l’art. 73, comma 4, del Tuir 917/1986, non ammette « deduzioni per accantonamenti diversi da quelli espres­samente considerati dalle disposizioni del presente capo» e che, per consentire una soluzione contabilmente corretta, accettabile anche dal diritto tributario, si dovesse introdurre nel Tuir una modifica per prevedere espressamente un accantonamento a un fondo specifico, visto che ormai il nostro ordinamento delle imposte dirette è stato declassato da sistema a lista di casi [2].

Il Ministero delle Finanze, non ha ritenuto di integrare l’art. 73, no­nostante le ripetute occasioni di modificazioni del Tuir e ha preferito ema­nare la Risoluzione 2 giugno 1998, n. 52/E, che accoglie la tesi della cor­relazione (aspetto a», con una precisazione, dalla quale si può derivare un principio generale. Infatti, il Ministero parte dalla considerazione che le imposte dirette gravano sul reddito, inesistente in assenza di ricavi (poten­do rinviare tutti i costi si avrebbe al massimo un pareggio). Quindi, la vis attractiva è dei ricavi e sono i costi che debbono andare a essi e non vice­versa.

Sull’aspetto b) il Ministero, ignorando prudentemente l’art. 73, comma 4, non ha espresso alcuna opinione, ciò che non significa accetta­zione di qualsiasi tecnica contabile, proprio perché permane la norma, che non riconosce deduzioni per «accantonamenti diversi da quelli espressa­mente considerati » dalle disposizioni del Capo VI del Tuir. Invece, si è pronunciato sull’aspetto c), ammettendo che « i costi globali di chiusura e post-chiusura possono essere ripartiti negli esercizi di svolgimento dell’attività in proporzione alla percentuale di riempimento della discarica stessa ». In termini esemplificativi: se i costi di chiusura e post-chiusura sono determinati in 500, la discarica può accumulare 1000 tonn. di rifiuti e nell’anno tI ne ha ricevuto 250, a questo esercizio potrà essere addebitato il costo di un quarto di 500, fiscalmente deduci bile.

I problemi fiscali delle imprese di discarica parrebbero in gran parte risolti. Ma l’aspetto b) è rimasto pericolosamente aperto e l’Amministra­zione è sempre in agguato per togliere con la mano sinistra ciò che ha con­cesso con la destra, soprattutto contando sul fatto che il diritto tributario, da sostanza che era, è ormai ridotto a sola forma. Non riuscire a interpretare le opinioni del Fisco in materia di forme contabili può vanificare il contenuto concettuale della deducibilità ed è anche molto pericoloso, perché gli accertamenti arrivano mediamente un lustro dopo l’approvazione del bilancio, quando non è più possibile introdurre correzioni o recuperi. È appunto questo il problema b), da esaminare prima in riferimento al bilan­cio civilistico (bl), poi al reddito imponibile (b2).

Bilancio civilistico.

Mantenendo per semplicità i dati dell’esempio, si possono proporre le seguenti rilevazioni:

a) nel bilancio dell’esercizio tl’ supposto il primo di produzione dei ricavi, risulterà iscritto nei conti d’ordine dell’art. 2424 cod. civ. e del « Principio contabile n. 22 del Consiglio nazionale dei dottori commercia­listi e Consiglio nazionale dei ragionieri »: l’intero impegno previsto nella perizia di determinazione dei costi di chiusura e post-chiusura, meno la quota imputata, nel rispetto del principio di non duplicazione « sotto la riga» di valori già esposti « sopra la riga», dandone descrizione nella « nota integrativa » [3]. La quota di un quarto di 500, da ritenere correlata ai ricavi dell’esercizio, risulterà iscritta tra gli « Altri accantonamenti » dei « Costi della produzione » (B.13), con contropartita al « Fondo per rischi e oneri – Altri » della voce B.3 del passivo dell’art. 2424 cod. civ., soluzione che sembra anche coerente con il nostro « Principio contabile n. 19 » [4], che al § C.V.g. prevede la creazione di un « Fondo recupero ambientale », suggerito per finalità analoghe alla gestione postuma di una discarica;

b) analoghe saranno le scritture dei successivi esercizi per le quote di costo a essi impurabili con lo stesso criterio di proporzionalità fino all’esau­rimento delle capacità di accoglimento, previste in 500. In ogni esercizio la quota imputata all’esercizio e accantonata al « fondo» ridurrà il valore iniziale dei conti « sotto la riga »;

c) se in astratto (in concreto si dirà successivamente) la previsione ri­sulterà esatta, l’impresa si troverà in bilancio, prima di sostenere i costi di chiusura e post-chiusura, un « Fondo per rischi e oneri – Altri » di 500 e in ogni esercizio successivo all’esaurimento dei ricavi potrà contrapporre ai costi sostenuti per manutenzioni, controllo e monitoraggio, equivalenti quote da stornare dal fondo, portando in pareggio il singolo conto econo­mico. Se i costi saranno stati previsti esattamente, alla chiusura seguiranno venticinque esercizi (tali sono gli anni normalmente previsti negli atti au­torizzativi) in pareggio.

Reddito imponibile.

Se non esistesse l’art. 73, comma 4, del Tuir 917/1986, alla corretta contabilizzazione civilistica seguirebbe l’accettazione della deducibilità fi­scale, per riconoscimento ricevuto dalla citata risoluzione ministeriale. In­fatti, l’art. 52 del Tuir, rinvia al reddito risultante dal conto economico ci­vilistico, ma con « le variazioni in aumento o in diminuzione conseguenti all’ap­plicazione dei criteri stabiliti nelle successive disposizioni del presente Testo unico ». Tra le norme successive all’art. 52 vi è proprio l’art. 73, comma 4 citato, che rende a rischio la deduzione della quota annuale accantonata al « fon­do ». Sarebbe una beffa per l’impresa, che aveva sperato nella definitiva so­luzione del problema con la pronunzia ministeriale 52/E, vedersi recuperato a tassazione l’accantonamento annuale, perché non consentito dall’art. 73, com ma 4, Tuir.

Allora, in un sistema tributario, che sistema più non è, perché non ha più principi, ma casi, non resta che la soluzione dello « schiocchezzaio », per dirla con Flaubert [5]: fare nel modello 760 (rectius: «unico») una « variazione in aumento », per indeducibilità dell’accantonamento al « fon­do » e una equivalente « variazione in diminuzione », per la correlazione riconosciuta dalla risoluzione 52/E. Il buon senso si ribella, ma la lettera della norma tributaria è salva!

Però le cose, in pratica, non vanno così lisce come si può ipotizzare negli esempi. Si pensi che l’accatastamento dei rifiuti non avviene per strati orizzontali, ma per accumulo quanto possibile verticale, per cui mentre la discarica si riempie con avanzamento verso il suo cono di chiusura (se fosse un lago diremmo: verso l’emissario), già incominciano i lavori di copertura della parte riempita. Ciò comporta un intreccio tra costi di chiusura e post­ chiusura, mentre la discarica non è ancora esaurita. Potrebbe essere una complicazione. Però si ritiene che la soluzione sia nella utilizzazione del « fondo », già prima della chiusura totale. Inoltre e sempre in esercizi pre­cedenti l’ultimo ante-chiusura, si possono prevedere ulteriori costi postumi non considerati nella perizia originaria, proprio perché anche il più preciso esperto non è un profeta. Si tratterà di fare perizie integrative e applicare gli stessi criteri ai costi suppletivi, ovviamente ripartendoli negli esercizi residui fino alla chiusura e tenendo conto delle residue capacità di smalti­mento.

* * *

Quando scrissi la precedente nota, non esisteva l’IRAP. Il Ministero non ne accenna nella risoluzione 52/E, perché il quesito, prevedibilmente avanzato anni prima, non poteva esporre il problema postumo. La nuova imposta crea ulteriori complicazioni, se si considera che, almeno una parte dei costi, pur inclusi nella perizia dell’esperto, possono essere eseguiti dal­l’impresa di discarica con propria manodopera. Per l’art. 11 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, tali costi non sono deducibili, poiché l’IRAP è so­prattutto un’imposta sul lavoro. Si dovrebbero prevedere operazioni di di­stinzione e scorporo dai costi previsti in perizia. Dovrebbe essere indubbio che la quota di costo da attribuire al singolo esercizio sia da ritenere un co­sto della produzione, secondo l’art. 2424-bis, cod. civ. Se no, dove starebbe la correlazione costi-ricavi, che nella fatti specie è soprattutto tecnica, quindi diretta, oltre che economica? Ma il Ministero ha seguito un’altra lo­gica. Nella Circolare 4 giugno 1998, n. 141/E, § 3.2.1.3.3., dopo la preci­sazione che l’accantonamento dell’esercizio al « Fondo recupero ambienta­le » è da iscrivere nella voce B.13 del conto economico, afferma che: « … sulla base delle disposizioni contenute nell’art. 5 gli accantonamenti imputati alle predette voci B.12 e B.13… non sono rilevanti a fini Irap; ne consegue che tali im­porti sono indeducibili ai fini della determinazione della base imponibile [rapo Pe­raltro, al verificarsi dell’evento, in previsione del quale si è proceduto a effettuare l’accantonamento alle suddette voci, l’intero ammontare del costo sostenuto, ivi com­presa la parte imputata al fondo di accantonamento, è deducibile ai fini [rap, con i criteri generali sopra illustrati, sempreché si tratti di un costo che sarebbe classi­ficabile, per natura, in una delle voci di conto economico rilevante ai fini Irap ».

Se si considera che i costi saranno sostenuti quando non esisteranno più ricavi, è probabile che la deduzione dall’Irap si risolverà in una beffa, non esistendo un’Irap « negativa », che generi un credito a rimborso.

L’impresa, che si sia limitata alla gestione di un’unica discarica, sarà particolarmente penalizzata, a meno che, seguendo una interpretazione a mio avviso inaccettabile, non abbia operato con l’accumulo di « Ratei pas­sivi » annuali, con buona pace della corretta applicazione di principi con­tabili e fidando sulla miopia dell’Amministrazione finanziaria [6].

Pietro Bonazza


[1] P. Bonazza, Correlazione temporale di costi a ricavi. Il caso della discarica di rifiuti solidi urbani, in questa Rivista, luglio-ottobre 1994, pp. 797 e ss.

[2] La constatazione è stata sostenuta autorevolmente anche da E. DE MlTA, Interesse fiscale e tutela del contribuente, Milano, 1987, p. XII.

[3] Principio contabile n. 22, « Consiglio Nazionale dei Dottori Commer­cialisti e Consiglio Nazionale dei Ragionieri ».

[4] Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e Consiglio nazionale dei ragionieri, « Principio contabile n. 19 », § C.V.g.: « Nel caso in cui l’impresa per ef­fetto di proprie attività causi danni all’ambiente ed al territorio ed in tal senso debba so­stenere oneri per il disinquinamento od il ripristino, deve accantonare tali oneri in un ap­posito fondo del passivo di stato patrimoniale ».

[5] G. Flaubert, Bouvard et Pécuchet-Schiocchezzaio.

[6] Il Sole 24 Ore, 10 luglio 1998, p. 18.