Non è vero che sia metafora dire che il pettegolezzo, mezzo per il fine della maldicenza, è un bisogno fisico. Non metafora, ma verità! Basta osservare certe persone, prevalentemente di sesso femminile, che aspettano l’occasione, la covano, la “pasturano”, come fanno i pescatori di carpa, per poter iniziare o infilare in un discorso la “mormorazione” gratuita (la saggia Chiesa la classifica come peccato). E il bisogno monta, si autoalimenta come il fuoco, si dispiega in un crescendo rossiniano, fino a diventare bisogno incontenibile, irrefrenabile, come… sì proprio come un attacco intestinale, che solo in un luogo, detto di decenza, può sciogliersi in maldicenza. Posto in questi termini evolutivi e finali, il pettegolezzo perde il suo carattere peccaminoso. Si può considerare peccato un bisogno fisico? Non si potrebbe, ma, applicando il principio di causalità, si deve ammettere che è l’incipit  che conta. È l’intenzionalità originaria. Sono i prodromi. Ma non dobbiamo essere nemmeno troppo colpevolisti. Suvvia! I P.M. non hanno forse riportato la maldicenza nell’alveo del diritto? Se una persona è “informata sui fatti” ha il dovere di dirlo, ora che l’ufficio del giudice ha rimpiazzato il vecchio confessionale. E tu Torquemada… zitto! I monopoli sono finiti.

Pietro Bonazza