L’Editoriale di ottobre 2010 del Bollettino mensile della BCE informa che il tasso di inflazione è ormai all’1,8%, però sotto il 2% che è il tasso limite per interventi di politiche monetarie in difesa della stabilità dei prezzi e della difesa del potere di acquisto dei consumatori. Ovviamente la BCE non dichiara alcuna preoccupazione e si astiene dal ricordare che la massa enorme di liquidità immessa sul mercato per evitare maggiori rischi del dilatare della crisi iniziata nel 2008 è la causa principale di questo andamento dei prezzi al rialzo. Se deve cercare spiegazioni le va a cogliere in una ripresa economica, che farebbe lievitare la domanda di materie prime e quindi i prezzi dell’output in prodotti finiti. Semmai, la BCE esprime l’auspicio che la liquidità disponibile incentivi l’erogazione di credito dalle banche alle istituzioni non finanziarie per agevolare la timida ripresa. Se fosse questa la spiegazione convincente, si dovrebbe pensare che in caso di ripresa consistente, anche se non tumultuosa, il livello dei prezzi schizzerebbe ben oltre il 2% e, allora, ci vien da chiedere quale potrebbe essere la politica della BCE in questo nuovo scenario, che, a mio avviso, potrebbe diventare una vera morsa. Prima ha inondati i mercati di euro per non aggravare la crisi, poi dovrebbe arrestare la politica di sterilizzazione della eccessiva liquidità per non mortificare la ripresa. Un  bel dilemma per Trichet & C. Staremo a vedere. Il problema porta in evidenza due considerazioni fondamentali:

  • la trappola della politica monetaria espansiva, che, seppur da non trascurare per evitare gli errori del 1929 dimostrati da Milton Friedman, deve essere usata con moderazione e per il tempo strettamente necessario, con successivo riassorbimento, almeno per la parte eccessiva rispetto alle esigenze del mercato, con cui è direttamente in correlazione. Quanto alla sua influenza sul reddito, non pare che risulti smentita la constatazione consolidata che la politica monetaria ha effetti solo nel breve periodo. La conseguenza è che il Pil non può migliorare e nemmeno il tasso di disoccupazione. In altri termini, si può affermare che la politica monetaria è uno strumento tampone, che serve a frenare il peggio, quando, come nel caso della crisi del 2008, la carenza di liquidità deriva da una caduta drastica dell’interscambio bancario. Sappiamo che, a seguito della caduta della fiducia tra le banche, intimorite dai rischi di fallimenti a catena, i saldi liquidi dei rapporti interbancari rimasero stagnanti e da qui la carenza di liquidità delle banche. Le trasfusioni di fondi liquidi da parte della Banca centrale, la Bce nel caso dell’Europa, non servì a rilanciare una fiducia tra le banche stesse, ma a consentire a quelle bisognose di attingere alla Banca centrale le disponibilità per rimpinguare una carente tesoreria non più alimentata da prestiti tra le banche stesse, come avviene di norma in tempi di rapporti normali. Ovviamente, se i saldi liquidi, eccezionalmente fatti piovere sul mercato, non vengono a breve scadenza riassorbiti (sterilizzati), la liquidità eccedente ristagna e crea pressioni inflazionistiche. Se fin qui il fenomeno è avvenuto in misura attenuata è perché la domanda reale è rimasta a sua volta stagnante con effetto di depressione sui tassi di interesse. Se entro il 2012, termine previsto dagli esperti, vi sarà una ripresa reale, non per questo la liquidità monetaria eccedente potrà essere  lasciata nel circuito. In altri parole: se in termini quantitativi si ritornerà ai livelli anteriori al 2008, non servirà una liquidità maggiore di quella che il complesso degli scambi, cioè il mercato, richiedeva in quell’epoca; se sarà superiore servirà solo la parte corrispondente al maggior reddito da produrre, non tutta la liquidità suppletiva immessa dalle banche centrali nel periodo di crisi.  Questi sono i limiti della politica monetaria e non è certo il caso di farne memoria a Francoforte, dove ben conoscono i limiti dello strumento;
  • il comportamento delle banche, che nella loro funzione di cinghia di trasmissione, una volta incassata la massa la impiegano come vogliono, fino a diventare la trasfusione per la speculazione, che, se compensa le aziende di credito a tassi più remunerativi finisce per assorbire le giacenze liquide a scapito del credito alle imprese. Qui, la moral suasion è inefficace e non si tratta, si noti, di pretendere di convogliare forzosamente i fondi verso impieghi produttivi e non speculativi, ma, più semplicemente di costringere i banchieri a considerare che il maggior tasso per finanziamenti alla speculazione non incorpora adeguatamente il maggior rischio, che nelle vicende recenti è stato ampiamente sottostimato. La crisi del 2008 non sembra aver insegnato nulla ai megalomani banchieri, che hanno perso il pelo, ma non il vizio di fornicare con gli speculatori o di essere loro stessi e per primi: speculatori. La banca centrale, non potendo entrare nel merito della politica dei tassi di interesse, che ogni banca è libera di praticare, potrebbe solo cambiare la classificazione e la ponderazione dei singoli asset bancari, così da rendere più penalizzato il credito alla speculazione.

Indubbiamente a Francoforte hanno gatte da pelare, ma ancor di più ne ha la Fed di Washington, le cui politiche monetarie continuano a influenzare e condizionare l’Europa, che paga il prezzo più alto delle dissennatezze statunitensi.



Pietro Bonazza