Nella Misura della mia speranza (El tamaño de mi esperanza), opera rifiutata dall’autore e con titolo non del tutto ben tradotto, perché tamaño significa anche “dimensione”, Jorge Luis Borges parla della speranza e la chiama “benedetta memoria del futuro“. Borges è uno dei miei autori preferiti, ma sul punto non condivido e forse nemmeno lui, avendo rinnegato il suo libro. Però quell’affermazione è una potente provocazione, che induce il lettore a riflessioni, che dalla metafisica scivolano inevitabilmente nella teleologia. In realtà si tratta di una metafora, un modo per dire “speranza”, ma della speranza non si può avere memoria, o forse bisognerebbe dire “memorie”, perché la speranza è dinamica, quindi, continuamente mutevole; mentre la memoria è di un accadimento fissato per sempre nelle sue effettività, o, per dirla con Machiavelli, è una realtà “effettuale” del passato. Noi, infatti, modifichiamo la speranza a mano a mano gli eventi accadono e spostano l’attesa verso un nuovo futuro. Ma su questo punto, la speranza, sia o no una metafora, è un convulso accavallarsi di attese. È come se, a mano a mano il bersaglio si avvicina all’arciere, una mano invisibile lo spostasse indietro, rimettendo in gioco l’abilità del tiratore.

Avere memoria del futuro significa o avere memoria di una speranza coltivata in un certo giorno, seppur cambiata il successivo, di cui si dovrebbe avere una nuova memoria, oppure intendere una “profezia speranzosa”, che cade nella razionalità della probabilità, cioè una previsione ragionevole perché ragionata.

Ma, per fortuna di noi lettori, Borges non si curava di questioncelle logico-grammaticali; pensava in grande e non è certo un caso che il suo autore preferito sia stato Dante.

 

Pietro Bonazza