Chi sostiene che l’energia elettrica, di cui l’Italia ha insaziabile fame, deve essere prodotta solo con petrolio o con uranio, è uno sciocco. Ogni uomo di buon senso preferisce la sicurezza di un convertitore calorico non inquinante e non pericoloso a una centrale nucleare che può scoppiare per vari motivi. Fino a oggi le speranze sono affidate alla scienza e alla tecnologia e ben vengano le migliori soluzioni possibile alternative, ma non dimenticando che l’Italia è messa peggio degli altri paesi privi di fonti petrolifere o già dotati di centrali nucleari. In altri termini e scendendo nel concreto, si può fare il paragone con la Germania, che annuncia di non fare nuove installazioni di centrali nucleari, ma intanto per almeno un decennio sfrutterà quelle già in produzione, mentre l’Italia non ne ha e ha fatto una scelta referendaria, con cui il popolo votante ha chiuso con un no la possibilità di utilizzo del nucleare. Come al solito il popolo italiano sceglie il proprio avvenire come dovesse votare per le canzonette di Sanremo. Chiediamoci cosa sarebbe uscito dalle urne se solo per un paio di giorni precedenti alla consultazione referendaria si fosse verificato un black-out totale: non abbiamo nemmeno sufficienti candele di cera, a meno di usare i lumini da cimitero! Ma è un ragionamento virtuale, perché, per fortuna, non si è verificato un fenomeno del genere. Subito i politici hanno affermato che si rende necessaria una nuova politica energetica. Che significa in concreto? Una politica energetica non si è mai potuta fare in Italia perché manca l’energia e questo lo sanno anche i bambini! Soggiungono i politici: bisogna incentivare l’eolico: già ci mettiamo i nostri amministratori pubblici, che sono una infinità, a soffiare sulle pale, quando il vento non c’è, perché per nostra fortuna non siamo nelle lande del Nord Europa, ma nel paese di “’O sole mio”. Oppure, dicono ancora i politici: incentiviamo la produzione di energia da pannelli fotovoltaici, che ormai possono produrre anche di notte assorbendo i raggi infrarossi. Se non è una delle tante bufale in circolazione, è bello pensare che ogni tetto di casa, pollaio compreso, avrà il suo pannello solare prodotto in Germania, guarda caso. Non poniamo problemi di estetica: basta non metterli sul Colosseo o sul Duomo di Milano vicino alla “bèla Madunina”. Esaminiamo, invece, la convenienza economica finale netta delle industrie che collocano i pannelli sui tetti degli stabilimenti. E qui viene il bello, perché se i conti non tornano con gli infrarossi ci limitiamo ad accendere le sigarette!

Oggi l’energia elettrica (pardon: la forza motrice) da pannello fotovoltaico non è conveniente per la singola impresa senza incentivi statali, che già sono stati tolti e non potranno essere ripristinati perché, dice Tremonti con buona ragione, il deficit pubblico e il debito statale non lo consentono, a meno di mandare a casa migliaia (tante) di amministratori pubblici e ridurre all’essenziale i costi della politica. Ci sarebbe il contraccolpo dell’aumento della disoccupazione, ma supponiamo di sopportare il prezzo. Facciamo i conti con la presenza di incentivi statali. Le imprese che continuassero nella politica di installazione dei pannelli, forse troverebbero un equilibrio tra costo di installazione e risultato in termini di minori costi energetici. Ma bisogna ancora fare i conti con la occhiuta mano sinistra dello Stato e delle amministrazioni comunali, quella che ti mette le mani in tasca e preleva più dei benefici erogati.

In altri termini: che cosa fa il Fisco? Che cosa fa il Ministro dell’Economia, tanto sollecito a dare il suo nome a provvedimenti agevolativi, ma altrettanto veloce a nascondere la mano che requisisce dietro il paravento delle Agenzie dell’Entrata e del Territorio? Le lascia scatenare nella loro libidine fiscale e immediatezza esattoriale con la benedizione della Corte di cassazione, sempre più filogovernativa.

Nella fattispecie il problema fondamentale è la qualificazione del bene “pannello fotovoltaico”, che per l’Agenzia delle Entrate (Circolare 38/E del 2010) è un bene mobile se il pannello è smontabile, cioè rimuovibile per poter essere utilizzato altrove, sarebbe immobile se incorporato nel “tetto” mentre per la “consorella” (sai che parentela!) Agenzia del Territorio (Circolare 3/T del 2008) sarebbe un immobile tout court. La differenza non è di poco conto. Se ha ragione l’Agenzia delle Entrate il bene è soggetto ad ammortamento a fini IRES e IRAP (aliquota annua del 9%); se si ritiene valida l’interpretazione dell’Agenzia del Territorio il bene, essendo immobile, entra nella categoria D1 e sconta l’ICI. Ma l’ICI, che spetta al Comune e con la riforma fiscale attuativa del federalismo fiscale è probabile diventi viepiù occhiuto, non è un balzello da poco e nel caso dell’opificio industriale, basta da sola a far perdere residue eventuali convenienze.

In questo bailamme il Ministro dell’Economia che fa? Niente di niente. E la singola impresa? Se ha già fatto l’investimento, si mangia le dita e arrischia una scelta che, ben che vada, è comunque rischiosa e costosa in termini di sanzioni. Se non ha ancora fatto l’investimento è bene che se ne astenga, fregandosene dei referendum e della politica energetica dei politici. Continuerà a pagare l’energia elettrica più o meno due/tre volte dei concorrenti francesi e tedeschi. Ma potrebbe anche scegliere di emigrare in paesi più civili, dove non si gioca a rimpiattino. Gli italiani non potrebbero lamentarsi né dichiararsi disoccupati, perché il continuo andirivieni nelle cabine elettorali li terrà sempre più impegnati nelle primarie, nelle secondarie, nei referendum e nei gazebo. D’altra parte anche la povertà vuole le sue ragioni e gli italiani, popolo generoso, glie le danno senza pretendere in cambio alcuna utilità.