Prima di affermare che la Cassazione è incoerente stiamoci attenti, perché a ben vedere è tutta d’un pezzo. Prendiamo due sentenze recenti: · con sentenza estiva la Suprema infligge sei mesi di galera al padre che, avendo colto il figlio con le mani nella marmellata (rectius: nel borsellino di mamma), gli ha rifilato un sonoro ceffone; · con sentenza primaverile sempre la Suprema, invertendo la sua propria precedente giurisprudenza sull’art. 633 del codice penale, ha dichiarato priva di rilevanza penale l’occupazione della scuola da parte degli studenti. Dobbiamo convenire che un padre non può illudersi, soprattutto oggi, di regolare l’educazione dei figli con atti lesivi della salute e della loro incolumità fisica, però non bisogna dimenticare che l’esercente la patria potestà è responsabile verso i terzi dei guai provocati dalla prole. Inoltre non bisogna dimenticare che i figli, anche se non lo sono più per i padri, non sono ancora “proprietà” dello stato, come tanto sarebbe piaciuto al vecchio Platone della “Repubblica”. Da qui la tesi recondita della Suprema: allevare i figli a pane e nutella, lasciargli fare ciò che vogliono, perché l’educazione verrà da sé, magari guardando la televisione otto ore al giorno o leggendo i giornaletti di paraeducazione sessuale o la cronaca nera dei quotidiani. Seguendo questo catechismo giudiziario si arriva, con massima coerenza, a dichiarare lecita l’occupazione della scuola, perché sono due comportamenti direttamente e immediatamente correlati. Perché non può essere reato occupare la scuola, se non si è contenti della medesima? Qualche giustificazione, in verità, c’è: se si prende in considerazione la qualità dell’insegnamento, bisognerebbe andare oltre l’occupazione e mandare a casa, questa volta sì con accompagnamento di qualche sberla, parecchi insegnanti e capi di istituto, altro che promuoverli manager. Il guaio è che le motivazioni delle occupazioni degli istituti scolastici non è mai per motivi di qualità o intensità dell’insegnamento, ma per manifestare il diritto ad affermare ciò che piace, fosse anche il vuoto o il nulla. E allora, di questo passo, perché non occupare gli ospedali, perché non ti curano come vorresti, o i palazzi di giustizia, perché non ti danno le sentenze che vorresti? Mi sa tanto che la Cassazione è ferma al motto più in voga nel Sessantotto: “vietato vietare”. A dove sia fermo il Gip di Trieste non si sa; si è solo appreso che alcuni mesi fa ha condannato a soli tre anni un maniaco sessuale pedofilo autore di quaranta violenze su minorenni. Ma anche questa sentenza non è incoerente con le altre citate, perché vietando a un padre di sberlare il figlio, si combatte la pedofilia. Non lo sapevate? Beh, ora non potete più ignorarlo.