Articolo pubblicato sulla rivista “DIRITTO E PRATICA DELLE SOCIETA'”, 2007, n. 12, pagg. 33 e segg.

1) Premessa

 

Quando la riforma del diritto societario si concretizzò nel D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, fu comune la riflessione che l’inserimento dei sistemi dualistico e monistico a fianco del tradizionale fosse un’opportunità in più offerta dal legislatore per adottare sistemi di struttura societaria e di governance ritenuti più adatti a situazioni particolari. Non si può negare che più sono le possibilità di scelta più si arricchisce la libertà degli operatori, anche se fu abbastanza diffusa l’opinione che, nonostante la sua collaudata applicazione in Germania, il dualistico non sarebbe stato il sistema migliore e più gradito agli operatori italiani. D’altra parte fu corretto riconoscere che in un mercato allargato come la UE era opportuno consentire a holding tedesche rette da sistema dualistico di assumere anche per branch italiane lo stesso sistema societario. Dopo più di un triennio dall’entrata in vigore del D.Lgs. n. 6/2003 non pare che il sistema dualistico abbia incontrato gradimento in Italia, come si evince dai dati statistici dell’Unioncamere (131 società dualistiche contro 24.026 del sistema tradizionale) [1] . Né il giudizio può essere ribaltato da scelte in corso nel mondo bancario, che rappresentano piuttosto un tentativo di equilibrature di potere in caso di fusioni o aggregazioni e il cui successo è ovviamente rinviato alla constatazione della concreta funzionalità nel tempo.

La novità legislativa ha attivato curiosità, commenti e giudizi critici di vario tipo, talmente numerosi da renderne difficoltoso il richiamo, anche perché molti sono stati espressi in tempi immediatamente successivi alla emanazione normativa e, quindi, non sempre meditati o assestati, come è normale con le novità.

 

2) Caratteristiche del sistema dualistico originario

 

 

Il sistema dualistico si regge, in estrema sintesi, sulla nomina da parte dell’assemblea di un “Consiglio di sorveglianza”, il quale a sua volta nomina il “Consiglio di gestione”, cioè di amministrazione, cui affida la gestione mantenendo la funzione di “sorveglianza”, ovviamente sull’operato degli amministratori e assorbendo, così, le funzioni di un collegio sindacale, che, pertanto, viene a mancare. Trascurando la constatazione, tutt’altro che banale, della sostanziale abolizione delle principali funzioni dell’assemblea ordinaria – in particolare l’approvazione del bilancio di esercizio – non si può negare l’esistenza di una logica: X (assemblea) nomina Y, il quale a sua volta nomina Z in una sequenza verticale, nella quale parrebbe ovvio che ognuno risponda al proprio designatore. In tale sistema, per conservare una logica ripartizione di compiti e responsabilità, è necessario che il controllore e titolare dell’azione di responsabilità non partecipi alle scelte né alle esecuzioni delle operazioni oggetto di controllo. Che poi il sistema sia criticabile, il legislatore non poteva certo emettere giudizi, posto che alla base sta la libera scelta dei soci; ovviamente purché la logica giuridica non sia calpestata e gli interessi di creditori e terzi risultino salvaguardati.

Il legislatore del D.Lgs. 6/2003 originario si era posto correttamente in questo quadro e con l’art. 2409- terdecies¸ cod. civ., aveva coerentemente elencato le attività di competenza del “Consiglio di sorveglianza”, funzioni deliberative escluse, non essendo sostenibile, sul piano logico, un’attività di autosorveglianza, così come non avviene per il sostituito collegio sindacale, che controlla l’altrui operato, ma non il proprio.

 

2.1) Modificazioni del D.Lgs. 6 febbraio 2004, n. 37

 

Tale logica elementare, figlia della non commistione e della chiarezza, è stata infranta dall’art. 5, lett. s) del D.Lgs. 6 febbraio 2004, n. 37, che ha incluso nell’art. 2409-terdecies cod. civ. una lettera f-bis). A mio avviso, questa costituisce un cuneo che stravolge il sistema.

Recita la citata lettera: «Se previsto dallo statuto, [il Consiglio di sorveglianza] delibera in ordine alle operazioni strategiche e ai piani, industriali e finanziari della società predisposti dal consiglio di gestione, ferma in ogni caso la responsabilità di questo per gli atti compiuti». È pur vero che la norma rinvia allo statuto e quindi a una volontà privatistica, ma è ovvio che, se la scelta del dualistico è originata da una equilibratura e dosatura di poteri, lo statuto opterà probabilmente con rinvio alla norma, attribuendo funzioni deliberanti anche al “Consiglio di sorveglianza”, almeno nei casi che si manifesteranno, diversamente sarebbe meglio optare per il sistema tradizionale. Diamo per scontata, quanto meno per facilità di analisi, che la scelta finale nel sistema dualistico sia, in concreto, per una funzione deliberante del “Consiglio di sorveglianza” sulle materie previste dalla riportata lett. f-bis) e chiediamoci se la precisione e la logica giuridica ricevano offesa dalla ibridazione. In termini più precisi i quesiti sono due: a) che cosa sono le operazioni strategiche e i piani predisposti dal Consiglio di gestione (precisione); b) con quale fondamento si può sostenere che un organo deliberante non sia responsabile delle proprie deliberazioni (responsabilità).

 

2.1.i) operazioni strategiche e piani

 

Il giurista, posto di fronte all’origine e al significato delle parole “strategia” e “piano”, troverebbe un alibi dichiarando di aver recepito tali termini dall’economia di azienda. Ma anche l’economista di azienda si giustificherebbe dicendo che i termini li ha derivati (anzi copiati) dal gergo militare. Ora, chi vuol conoscere l’area dei termini, delle due l’una: o fa la domanda a un docente dell’accademia militare, che, ovviamente, darà le definizioni in uso nelle sue materie, oppure cerca nell’ordinamento giuridico l’esplicita formale traduzione e l’opportuno adattamento del loro significato. La prima soluzione è improponibile, anche perché potrebbe fornire definizioni non adatte al diritto; la seconda è sterile, perché nel nostro ordinamento non esiste alcun rinvio per i due termini. L’affermazione che in economia di azienda tutti sanno che cosa sono “strategia” e “piani” si riduce a mera battuta, perché: a) o si costringe il giurista a essere anche un economista, ammesso che questo abbia le idee chiare; b) oppure si riconosce che i due termini sono troppo elastici, almeno per il diritto.

Nel caso della lett. f-bis) dell’art. 2409-terdecies cod.civ., si può ritenere “strategia” una politica aziendale decisa attualmente e che può iniziare a svilupparsi in azioni operative in via immediata o differita, ma deve trattarsi di una scelta volta a modificare la struttura della società, i suoi processi produttivi, le quote di vendita sul mercato, l’organizzazione di uomini e fattori, ecc. Già su questo punto si nota che la definizione di “strategia” è piuttosto elastica e discrezionale. Basti ricordare che oltre a una strategia aggressiva ne esiste anche una conservativa; per esempio, una serie coordinata di azioni volte a difendere la propria quota di mercato è una “strategia”, ma può non esigere azioni straordinarie. Si noti poi che la citata lettera dell’art. 2409-terdecies, cod. civ. non dice “strategia”, ma “operazioni strategiche” e sarebbe facile dimostrare che la locuzione usata dal legislatore ha un significato più “concreto” (operazioni) e questo risulterà rilevante per stabilire l’organo che attiva la deliberazione. Ma, astraiamo pure (per un attimo) da questa constatazione non irrilevante e chiediamoci: chi propone una strategia, su cui, si noti, il “Consiglio di sorveglianza” delibera? Ricordiamo che l’art. 12 delle Preleggi pone al primo posto l’interpretazione grammaticale e constiamo che per la lettera f-bis) il “Consiglio di sorveglianza”: «delibera in ordine alle operazioni strategiche e ai piani, industriali e finanziari della società predisposti dal consiglio di gestione…». A che si riferisce il participio “predisposti”? Osservando le espressioni letterali e anche la punteggiatura, si deve concludere che quel participio si riferisce ai “piani” e non anche alle “operazioni strategiche”. Se questa constatazione è corretta, ne deriva, innanzi tutto, che le “operazioni strategiche” possono essere proposte dallo stesso “Consiglio di sorveglianza”, il che pone in discussione natura e funzioni di quest’organo, che, improvvisamente, da sorvegliante diventa gestore, ciò che spiega anche l’importanza del precedente rilievo sulla differenza tra “strategia” e “operazioni strategiche” [2]. In pratica potrebbe quindi accadere che il “Consiglio di sorveglianza”, avvalendosi dei propri poteri autonomi di proposizione di “operazioni strategiche”, le deliberi prima che siano predisposti i piani da parte del “Consiglio di gestione”; in tal caso, si renderà necessaria una successiva deliberazione di approvazione dei piani “predisposti” dai gestori, ma su “operazioni strategiche” avanzate dai sorveglianti.

Ma le critiche prima sollevate alla definizione e discrezionalità di ciò che può essere inteso come “strategia”, si estende ai “piani industriali e finanziari”. Anche su questi bisogna proporre esempi concreti. Se in qualsiasi momento nel corso di un esercizio e senza dover attendere l’occasione dell’approvazione del bilancio annuale, il “Consiglio di gestione” di una società, che, per svolgere i propri processi produttivi, deve rifornirsi di commodity sui mercati internazionali, constata che i costi di approvvigionamento delle materie prime subiranno sensibili e irreversibili incrementi a causa della concorrenza e della speculazione dei derivati e prevede di dover conseguentemente attingere a più elevate linee di credito bancario, dovrà, a tal fine, predisporre “piani finanziari” senza porli al servizio di “operazioni strategiche”. C’è ben poco di strategico nell’andar per banche a chiedere ampliamenti delle linee di fido, eppure bisognerà predisporre “piani finanziari”. È tattica, non strategia! E i piani restano tali, anche se li chiamiamo budget flessibili o business plan. Ha competenza in questo il “Consiglio di sorveglianza”? C’è bisogno di elaborare una “strategia” e di sottoporla all’approvazione del “Consiglio di sorveglianza”, se, statuto permettendolo, si deve tenere in considerazione la lettera f-bis)? Buon senso e spirito pratico direbbero di no! I difensori della inesistente logica della lettera f-bis) sosterrebbero che le espressioni letterali e grammaticali portano a considerare che i “piani” da predisporre dai gestori per essere sottoposti al vaglio deliberativo del “Consiglio di sorveglianza” non sono “tutti” i piani, ma solo quelli strumentali per le “operazioni strategiche”. Sennonché la citata lettera f-bis) non afferma questo collegamento restrittivo.

Già da questo contesto, che non esaurisce la serie delle critiche, si può constatare che giustificazione, funzione e coerenza del “Consiglio di sorveglianza” sono state stravolte dalla lettera f-bis), rispetto al testo originario dell’art. 2409-terdecies, cod. civ. e ciò che più stupisce è la non urgenza di tale cuneo giuridico inserito successivamente, visto anche lo scarso, per non dire inesistente, successo del sistema dualistico.

 

2.1.ii) responsabilità

L’incursore che ha inserito la lett. f-bis) ha chiuso la sua azione bellica con l’affermazione: «…ferma in ogni caso la responsabilità di questo [Consiglio di gestione] per gli atti compiuti». Quali atti? Quelli relativi ai piani o “tutti”? Trattandosi di compimento di atti, in senso operativo, possiamo anche includere le “operazioni strategiche”, anche se non proposte dal “Consiglio di gestione”, ma, allora, si deve ritenere che la deliberazione del “Consiglio di sorveglianza” per le “operazioni strategiche” può non avere alcun seguito, se il “Consiglio di gestione”, non la condivide e ritiene di scansare la propria responsabilità. Siamo al gioco del tennis, con un continuo rimpallo! [3]

Nella versione originaria dell’art. 2409-terdecies cod. civ., felicemente orfana della lettera f-bis), non poteva verificarsi alcuna sovrapposizione con conseguente contrasto tra organi. Ora è possibile! Il “Consiglio di gestione” può permanentemente non condividere le deliberazioni del “Consiglio di sorveglianza” e, quindi, rifiutarne l’esecuzione. Come ne può uscire lo spurio organo di controllo? Revocando non un singolo gestore, ma l’intero “Consiglio di gestione”. Con quali ripercussioni all’esterno, soprattutto se si tratta di società quotata in Borsa? Senza considerare che, se risultassero fondate le giustificazioni del “Consiglio di gestione”, una revoca trascina con sé cause per danni, in cui lo stesso “Consiglio di sorveglianza” verrebbe automaticamente coinvolto e, in questo caso, il sollievo di responsabilità della lettera f-bis) non potrebbe scattare. Infatti, lo scarico di responsabilità non è assoluto, perché il “Consiglio di sorveglianza” ha sempre, per esempio, il rischio di imputazione di culpa in vigilando e ciò spiega l’art. 2364-bis, comma 1, n. 3), cod. civ. Lasciamo a legali e giudici risolvere eventuali problemi di contrasto di rapporti tra i due organi e limitiamoci a constatare che, purtroppo, le critiche a una norma sono sterili argomentando de jure condito, perché, una volta innestata nel sistema, può solo essere applicata e, se incerta, interpretata, ma non arbitrariamente. Tuttavia, non si può non ricordare che esiste nel nostro ordinamento un asse fondato sulla logica prima ancora che sul diritto e cioè che ognuno è responsabile degli effetti delle proprie azioni. Proprio per questo motivo il “Consiglio di gestione” farebbe bene a non dare esecuzione a operazioni strategiche né a piani non condivisi, se ritiene che ne possano derivare responsabilità personali non solo patrimoniali. Né avrebbe rilevanza l’osservazione che il “Consiglio di gestione” non potrebbe non dare esecuzione a piani dallo stesso proposti, innanzi tutto perché potrebbero essere intervenuti fatti nuovi dell’ultima ora, che nel dinamismo e nel nervosismo dei mercati internazionali, sono ormai quasi una costante; inoltre perché il “Consiglio di sorveglianza” potrebbe aver imposto modifiche che i gestori non condividono.

Il problema non può trovare spiegazione da un riferimento a istituti tipo: deliberazione a due livelli, decisione condizionata ad approvazione o omologazione o altro, perché operano in contesti diversi. Il fatto è che il legislatore della lett. f-bis) ha infranto la logica che è alla base dell’istituto della responsabilità Ora, è noto che, pur limitandoci alla responsabilità civile, dimenticando quella penale e l’amministrativa, è arduo trovare un principio unificatore della responsabilità e tutte le tesi dei giuristi (colpa, oggettività, contrattualità ed extracontrattualità, rischio, ecc.), per quanto stimolanti, si prestano a critiche profonde. Però, nella fattispecie, si deve constatare che il “Consiglio di sorveglianza”, al pari del “Consiglio di gestione” è un organo della società e come tale è stato un assurdo legislativo sottrarlo alla responsabilità delle sue deliberazioni. La funzione organica trascina sempre nel nostro ordinamento la responsabilità dell’organo. Pare che nella fattispecie non sia così.

In tema di responsabilità c’è un’altra osservazione relativamente all’interpretazione della norma. La lettera f-bis) usa la locuzione “…per gli atti compiuti”. E per quelli “…non compiuti”? [4] E sul punto si constata un’altra smagliatura del sistema. Infatti, il “Consiglio di gestione” può:

· non essere nemmeno il proponente delle “operazioni strategiche”,

· essere il proponente, ma constatare che nel momento della esecuzione le condizioni endogene o esogene sono mutate,

· non condividere le deliberazioni del “Consiglio di sorveglianza”,

· condividere solo in parte la strategia deliberata dal “Consiglio di sorveglianza

e decidere di regolarsi di conseguenza, maturando buoni motivi per non compiere alcun atto.

 

2.1.iii) tentativo di giustificazione della irresponsabilità

Anche in questa ipotesi può valere la constatazione che le discussioni de iure condito sono sterili. Però, la ricerca della ratio di una norma non lo è mai, perché aiuta l’interpretazione.

Si potrebbe sostenere da qualcuno che la responsabilità non c’entra, perché si verte su un livello di analogia con l’assemblea, che non è mai responsabile. Se un’assemblea approva un bilancio falso, ne risponde la società, non l’organo che ha deliberato, pur rimanendo le responsabilità personali degli amministratori proponenti. Ma il rinvio analogico sarebbe inconferente, per almeno due motivi:

· Il “Consiglio di sorveglianza” non è l’assemblea e non ha un rapporto di rappresentanza della stessa, talché, come nel mandato, la responsabilità possa essere attribuita al mandante. In termini poco eleganti si potrebbe dire che il “Consiglio di sorveglianza” non riceve alcuna delega per deliberare su operazioni strategiche e piani, ma lo può fare per il rapporto organico che la stessa legge ha previsto;

· l’assemblea di una società non è un organo operativo né gestionale della stessa, cioè è organo di primo livello non responsabile in proprio, mentre il “Consiglio di sorveglianza” è organo di secondo livello e operativo e, in quanto tale, dovrebbe essere responsabile. Sottrarlo a questo rapporto causa-effetto è un regalo che il legislatore non avrebbe dovuto fare.

In base a queste constatazioni, la deresponsabilizzazione del “Consiglio di sorveglianza” non ha una ratio, cioè è semplicemente irragionevole. Il risultato è un monstrum giuridico di difficile digestione e la pilatesca locuzione “se previsto dallo statuto” dell’incipit della lettera f-bis), anziché risolvere il problema lo aggrava, perché la responsabilità non può essere pattizia, soprattutto perché gli organi di vigilanza e sorveglianza e controllo (si prenda a esempio il collegio sindacale) operano in un contesto in cui devono essere tutelati, oltre ai soci, gli interessi di terzi e creditori. Ci si riporta alla domanda retorica: perché il falso in bilancio è perseguito penalmente in riferimento all’art. 2632 cod. civ.? E la risposta è scontata: perché viola la fede pubblica e responsabili sono gli amministratori, cioè gli autori del falso. E perché, invece, il “Consiglio di sorveglianza” delibera senza responsabilità? La risposta dovrebbero darla gli autori della modifica operata con la lettera f-bis), la cui logica non risponde certo a un bisogno di perfezionamento del sistema dualistico. I fautori della riforma potrebbero sostenere che la lettera f-bis) è stata inserita per analogia di sistema con l’art. 2364, comma 1, n. 5), cod. civ., ma l’argomentazione sarebbe in conferente, perché il legislatore ha usato in quest’ultima norma il termine “autorizzazioni”, mentre nella lettera f-bis) il termine è “delibera”. Ai giuristi non è consentito considerare sinonimi due istituti così diversi, quindi nemmeno in questo caso il “Consiglio di sorveglianza” può essere un omologo dell’assemblea.

 

 

dott. Pietro Bonazza


[1] “Il Sole-24 ORE”, 27.11.2006, pag. 36.

[2] Di diverso avviso sembra essere V. Cariello, La disciplina “per derivazione” del sistema di amministrazione e controllo dualistico, in “Rivista delle società”, 2005, n. 1, pag. 82, che congiunge le “operazioni strategiche” e i “piani industriali e finanziari”. Scrive l’autore, riferendosi ai piani: «…alla predisposizione si confà qui una rilevanza pertinente i rapporti tra consiglio di gestione e consiglio di sorveglianza, al quale vengono presentati operazioni e piani dal consiglio di gestione medesimo». Sembra che l’iniziativa delle “operazioni strategiche” sia riservata al “Consiglio di gestione”, il che può essere nella maggioranza dei casi, ma non esautora l’iniziativa originaria del “Consiglio di sorveglianza”, come si evince dalla lettera della norma.

[3] Tra i fautori dell’inserimento della lettera f-bis) si annovera P. Marchetti. Si veda il suo articolo Non condannate il dualistico, in “Sole-24 ORE”, 7.11.2006, pag. 10.

[4] Si veda di P. Bonazza, Amministratori. Interesse a fare e non fare: la conflittualità nel mandato amministrativo di s.p.a., in “Diritto e pratica delle società”, 2006, n. 14-15, pag. 36.