Ho impiegato qualche anno nel tentativo di capire il senso del tempo in economia. Sono arrivato alla conclusione che economia, cioè il valore, e tempo hanno tale compenetrazione, che in alcuni aspetti sembrano coincidere. Ho persino riflettuto sulla formula dell’interesse, che ho cercato di criticare al punto, che non ho trovato uno straccio di editore disposto a stampare quella mia tesi. Forse ho capito: gli editori sono tutti conoscitori e specialisti di Schopenhauer e ne ricordano l’aforisma: « Il tempo è ciò in grazia del quale ogni cosa, in ogni momento, diventa nulla nelle nostre mani; per cui perde ogni vero valore », cioè l’esatto opposto della mia tesi, che “se lavori sodo per lungo tempo, in grazia di ciò, puoi guadagnare tre lire, che hanno un immenso valore”. Ma una spiegazione c’è: il filosofo Arturo e gli editori non hanno mai avuto bisogno di lavorare. Il primo, nonostante le sue arrabbiature contro l’universo, viveva di rendita, merito della sua salottiera e dotata (nel senso di “dote”) mamma; gli editori, pure, perché fanno lavorare gli altri. Così il tempo diventa un Giano bifronte. Si tratta di stabilire da quale parte lo guardi o, meglio, da quale parte lui ti guarda.