Pietro Bonazza

* * *

CORRELAZIONE TEMPORALE DI COSTI A RICAVI: il caso della discarica di rifiuti solidi urbani

* * *

(articolo pubblicato in “Rivista dei dottori commercialisti”, 1994, n. 4-5)

* * *

PREMESSA

La discarica di rifiuti solidi urbani costituisce un esempio limite di gestione, in cui i ricavi di esercizio incorporano quote correlate di costi da sostenere in periodi successivi alla cessazione di conseguimento dei ricavi stessi. L’essere un caso limite consente particolare evidenza al fenomeno della correlazione costi-ricavi ed offre riflessioni e stimoli validi per altri tipi di attività, che, seppur in termini meno accentuati, debbono risolvere problemi di correlazione temporale.

L’analisi si sviluppa in tre parti:

– la prima, dedicata alle caratteristiche della gestione negli sviluppi temporali dei flussi di costi e di ricavi;

– la seconda, riservata alla esposizione delle soluzioni della ragioneria e delle norme civilistiche;

– la terza, rivolta all’analisi dei problemi fiscali, che, per la nota autonomia del diritto tributario, si sovrappongono a quelli civilistici.

Premetto anche che tutte le conclusioni riguardano sia il gestore privato, sia il pubblico, visto che, trascurando franchigie fiscali di durata temporanea riservate dal D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 66, comma 14, anche gli enti pubblici, che intendano gestire discariche, devono strutturarsi con soggetti economici: aziende speciali o società per azioni, imposti dalla Legge 142 del 1990 e trattati in modo analogo alle aziende private. Peraltro, è noto che, a prescindere da imposizioni normative, già oggi gli enti pubblici gestori di discariche impostano l’analisi e le forme delle gestioni in termini analoghi a quelli delle società private, unica essendo la economia aziendale, che è disciplina di carattere oggettivo, ma unica anche la normativa di riferimento, che, per tutti, è la emananda “Direttiva Comunitaria sulle discariche di rifiuti”, che, tra l’altro, prevede espressamente: attività, responsabilità e, quindi, costi ed oneri del periodo postoperativo della discarica 1.

* * *

1 – FLUSSI di COSTI e di RICAVI nell’azienda discarica

La discarica inizia in molti casi con la costituzione di una società o di un ente ad hoc, secondo gli articoli 22 e 23 della Legge 142 del 1990, che acquista un terreno, talvolta già adibito a cava di ghiaia o argilla esaurita ed in pratica costituito da un “buco”, il cui livello è geologicamente di poco superiore a falde acquifere, almeno nella pianura padana, ciò che richiede tra gli altri, per la nuova destinazione a “discarica”, costi elevati di impermeabilizzazione per garantire adeguata protezione del sottosuolo. La fattispecie non cambierebbe se, invece di una cava dismessa, si trattasse di un normale terreno coltivabile. L’aspirante gestore deve ottenere le autorizzazioni da parte della Regione, che prescrive le condizioni tecniche di impianto e gestione ed impone, anche per i periodi successivi all’esaurimento della discarica, elevati oneri di manutenzione e recupero ambientale, ma o non impone la devoluzione gratuita dell’immobile, dopo il riempimento, per l’evidente motivo che nessun Ente pubblico intende accollarsi i costi successivi alla chiusura della discarica oppure la prevede, ma a condizioni che possono costituire fonte di ulteriori costi.

Gli aspetti caratteristici della gestione di una discarica si possono sintetizzare in:

a) acquisizione di un immobile, che resta catastalmente un “terreno” e sostenimento di tutti i costi per l’impianto (impermeabilizzazioni del terreno, stesura di manti, etc.). Si può constatare che non vi è nulla di tipico in questa fase comune a tutte le imprese produttrici di beni o prestatrici di servizi con dimensione capitalistica, che debbono sostenere i costi di impianto e di avvio con prevalente concentrazione in periodo anteriore all’inizio dell’attività. Come per tutte le altre aziende, le discariche dovranno affrontare un piano di ammortamento “a seguire” di costi già sostenuti. Semmai resta il problema della durata del periodo di ammortamento, poiché, se è certo il termine iniziale, potrebbe essere dubbio quello finale e cioè quello della chiusura in senso giuridico-economico della discarica, tenendo conto che è gestione anche quella del periodo successivo alla cessazione di ricevimento dei rifiuti. A questo aspetto è collegato il problema dell’ammortamento dei costi di approntamento della discarica. Poiché il “buco” resta catastalmente e fiscalmente un “terreno”, diventa problematico effettuarne l’ammortamento. D’altra parte, poiché il bene dopo il riempimento ritornerà comunque “terreno”, seppur “collinare” (“la collina dei rifiuti”) anziché “infossato”, si potrebbe sostenere che il suo costo non è ammortizzabile. Ma da un punto di vista economico il terreno durante il periodo di funzionamento della discarica cambia la sua destinazione anche naturale e perde la possibilità di essere suscettibile di produrre un reddito fondiario autonomo, idoneità questa che ha sempre giustificato la denegazione dell’ammortizzabilità fiscale. La soluzione in termini di razionalità economica non potrebbe non prevedere, invece, la formazione di un valore immobilizzato del tipo “discarica”, costituito dalla somma di acquisizione del terreno e di tutte le spese di approntamento (impermeabilizzazione etc.) ritenute accessorie, sul quale applicare il processo di ammortamento con quote annuali determinate in proporzione al tempo di ricevimento dei rifiuti in discarica, ultimata la quale, proprio per i vincoli ambientali previsti nella convenzione con l’Ente, si trasforma, nel migliore dei casi, in un “incolto sterile”, non solo non produttivo di alcun reddito autonomo, ma addirittura generatore di costi. Un criterio alternativo alla proporzionalità temporale potrebbe essere quello della proporzionalità ai pesi dei rifiuti conferiti rispetto al quantitativo previsto nella autorizzazione. Il criterio della proporzionalità alle quantità immagazzinate, anziché al tempo, è più direttamente correlato ai ricavi, quindi sarebbe preferibile. Si deve, però, ricordare che l’art. 2426, n. 2, cod. civ. dà preferenza alla proporzionalità temporale;

b) sostenimento di tutti i costi di gestione dopo l’apertura della discarica e conseguimento di ricavi nei singoli esercizi determinati dalle prestazioni di servizi del gestore (concessioni agli utilizzatori di scaricare i rifiuti ed in proporzione al peso) secondo una tariffa, il cui metodo di determinazione, comprensivo anche di costi differiti, è previsto con convenzione. Il conseguimento dei ricavi cessa nel momento in cui è stato raggiunto il limite fissato nell’atto autorizzativo. Ciò non determina di per sé alcun problema, anzi è il fulcro della dinamica gestionale e può essere il punto di riferimento per la soluzione dei problemi degli altri aspetti. Infatti, considerando che la “correlazione” tra ricavi e costi costituisce un elemento fondamentale e razionale dell’economia d’azienda, di qualsiasi branca o settore merceologico trattisi, si deve determinare quale dei due, tra i costi e i ricavi, debba fungere da “catalizzatore”. La constatazione che in questo lasso di tempo, che si può definire periodo del “durante”, si producono naturalmente i “ricavi”, determina la “necessità” che siano i costi ad andare ai ricavi. Ciò comporta una operazione di “spalmatura” in questo periodo dei costi ante, ma anche di quelli post della discarica;

c) sostenimento di tutti i costi di recupero ambientale e di manutenzione dopo l’avvenuto riempimento del “buco” e, quindi, per parecchi esercizi successivi alla cessazione di fruizione dei ricavi. Questo può essere definito il “periodo dei costi postumi” e rappresenta l’altro ed ancor più difficile problema delle “discariche”, poiché riguarda tutti i costi differiti ad esercizi successivi – e possono essere numerosi – alla loro chiusura e da sostenere posteriormente alla cessazione del flusso dei ricavi, coincidente con la colmatura del “buco”. Si pone, allora, il problema, già enunciato nel precedente punto, di correlazione tra i ricavi degli esercizi di sfruttamento ed i costi pluriennali differiti di manutenzione della “collina”. Si ha un fenomeno speculare a quello dei costi ante, ma concettualmente meno diretto. Infatti, se traslare in avanti con processi di ammortamento costi già sostenuti, quindi certi anche nella determinazione quantitativo-monetaria, è relativamente facile, anticipare costi futuri, di cui può essere certo il verificarsi, ma con determinazione di valore solo previsionale, ancorché razionale, è di intuizione un po’ meno immediata, soprattutto se il soggetto, anziché affidarsi a ragionamenti economici, si lascia influenzare da aspetti formalistici. In concreto, si tratterebbe di anticipare, con un criterio pro quota, i costi differiti agli esercizi in cui sono competenti i correlativi ricavi, realizzati, come si è già detto, sulla base di una tariffa che ne ha tenuto conto nella formazione. Il fenomeno può essere sintetizzato, in senso lato e quasi metaforico, come un “ammortamento di costi differiti” o una “traslazione all’indietro”.

2 – Soluzioni della ragioneria e delle norme civilistiche

Le peculiarità della gestione di una discarica, relativamente ai flussi dei costi e dei ricavi, descritte nella parte prima, sono state considerate in sede civilistica in termini di razionalità economica, essendo obiettivo fondamentale la formazione di un bilancio di periodo informato a criteri di chiarezza, verità, correttezza e prudenza, che sono postulati comunemente accettati nei principi contabili nazionali ed internazionali e nelle norme del codice civile.

Esaminiamo il problema nei due momenti:

a) del principio generale di ammortizzabilità;

b) di quello più specifico del criterio di ammortamento.

Sul primo, in riferimento al codice civile, dopo la novella del D.Lgs. 9 aprile 1991, n. 127, che ha recepito la IV Direttiva Comunitaria sul bilancio, si deve affermare che la ripartizione dei costi pluriennali ante non è una opzione, ma un obbligo imposto dall’art. 2426, nn. 2 e 5, cod. civ., poiché la mancata distribuzione di costi relativi alle immobilizzazioni violerebbe i principi di verità e correttezza. Infatti, la norma recita: Nel codice civile non si rinvengono norme per una necessità della correlazione costi-ricavi e nemmeno per l’anticipazione pro quota di costi postumi agli esercizi a reddito. Sappiamo però che il codice civile non detta norme per l’intera problematica del bilancio e si ritiene comunemente che l’ordinamento faccia rinvio ai principi contabili. Tale rinvio è esplicitato dall’art. 4, comma 2, del D.P.R. 31 marzo 1975, n. 136, che recita: Affermata così la natura di fonte obbligatoria dei principi contabili, peraltro sempre utilizzata nella prassi di certificazione dei bilanci dalle società di revisione, si deve richiamare in tema il “Principio n. 18” del Governmental Accounting Standards Board, obbligatorio per tutti gli enti federali e locali degli Stati Uniti dal giugno 1993, ma di valore concettuale generale, che, tra le altre, detta la seguente norma: lla chiusura. Questi comprendono il costo di impianto e attrezzature (tali i sistemi di raccolta del percolato e la copertura finale) come pure i costi dei servizi (tali i costi di manutenzione e monitoraggio posteriori alla chiusura). Alcuni di questi costi, che consistono in esborsi prossimi o successivi alla data nella quale DRSU cessa di ricevere rifiuti solidi ed anche quelli da sostenere durante il periodo di postchiusura, dovrebbero essere inclusi nel totale di costi attuali [ costo attuale è l’ammontare che sarebbe pagato se tutti i costi di impianto, attrezzature e servizi inclusi nella stima fossero sostenuti nel periodo corrente ] stimati di chiusura e postumi di DRSU, indipendentemente dal loro ammontare o della loro natura operativa … Il totale dei costi stimati attuali di chiusura e postumi … includerebbero:

a. Il costo di impianto previsto e delle attrezzature da installare (basati sul piano operativo di DRSU) prossimi o successivi alla data in cui DRSU cessa di ricevere rifiuti solidi e quelli da sostenere durante il periodo di postchiusura …

b. I costi previsti di copertura finale (capping) da sostenere prossimi o successivi alla data in cui DRSU cessa di ricevere rifiuti solidi.

c. I costi previsti di monitoraggio e manutenzione per l’area di DRSU durante il periodo di postchiusura…

Per le DRSU che fanno ricorso all’accantonamento di fondi propri, una quota dei costi stimati attuali di chiusura e postumi di DRSU dovrebbero essere riconosciuti come spesa e passività in ciascun periodo in cui DRSU riceve rifiuti solidi … » 2

Sul momento b), relativo al criterio di ammortamento, l’art. 2426, n. 2, cod. civ., usa la locuzione “sistematicamente ammortizzato“, dove l’avverbio è così interpretato nella “Relazione ministeriale” al D.Lgs. 9 aprile 1991, n. 127, di recepimento della IV Direttiva Comunitaria: ve essere operato in conformità di un piano prestabilito, ma anche che il piano deve essere impostato in modo che l’ammortamento sia effettuato per importi costanti. Essendo inoltre possibile che i piani di ammortamento mutino per il mutare dei piani aziendali di utilizzazione dei cespiti, si è consentita la modificazione dei criteri e dei coefficienti applicati per la strutturazione originaria del piano, imponendone però la motivazione nella nota integrativa. » Se la “Relazione ministeriale” di un decreto legislativo è da ritenere, in concreto, una interpretazione autentica, allora la costanza delle quote deve essere intesa come una precisa volontà del legislatore e, poiché la discarica è vincolata ad un “piano originario” autorizzato, una variazione diventa un fatto eccezionale. Pertanto e rispettando la norma del codice civile, per la “discarica” si dovrà scegliere un ammortamento con proporzionalità temporale, che è l’unico a consentire “importi costanti” annuali. Il criterio della temporalità sembra anche preferito dal “Principio n. 18 – Governmental Accounting Standards Board” nel punto in cui prevede che certi costi “dovrebbero essere riconosciuti come spesa e passività in ciascun periodo in cui DRSU riceve rifiuti solidi“, dove il termine “periodo” pare avere un collegamento al tempo.

La conclusione è allora la seguente: norme civilistiche ed applicazioni ragionieristiche impongono la ripartizione nel tempo sia dei costi iniziali sia di quelli di chiusura e postumi, ma il tempo o meglio: gli esercizi, su cui questi costi vanno ripartiti, sono quelli nei quali si producono i ricavi o, come afferma il citato Principio N. 18, gli esercizi nei quali il gestore riceve i rifiuti solidi.

I termini: “ammortamento di costi differiti” ed ancor più quello di “traslazione all’indietro”, qui impiegati, hanno funzione di stimolo alla formazione di un concetto generale: l’anticipazione di costi per costituire una correlazione ai ricavi, che, attraverso la tariffa, li comprendono.

Ma, sul piano più strettamente contabile si deve precisare che la contropartita della quota di costo congetturato iscritta nel conto economico non può essere un “fondo di ammortamento”, poiché non vi sono tra le attività della situazione patrimoniale valori da rettificare. Si tratta, invece, di costituire annualmente un vero e proprio “fondo per spese future”, che, se la loro previsione è corretta e come tale inclusa nella tariffa, non ha natura di “fondo rischi” nemmeno specifici, poiché il loro sostenimento non è probabile, ma certo.

Ad ugual risultato si potrebbe pervenire utilizzando la tecnica del “risconto passivo di fine esercizio”, ma l’accumulo dei risconti nei vari esercizi toglierebbe evidenza al fenomeno, a meno di precise descrizioni del fenomeno nella “nota integrativa” al bilancio.

Nei casi in cui la tariffa approvata dall’ente concedente è articolata in componenti che evidenziano la parte riguardante costi successivi alla chiusura bisognerebbe abbandonare criteri di determinazione dei valori su base stimata e congetturata, semplicemente sospendendo le quote di ricavi corrispondenti alla parte di tariffa riconosciuta per i costi postumi.

Pertanto, il momento cruciale per la determinazione dei valori dovrebbe essere quello della formazione della tariffa e del suo grado di analiticità. Se, ad esempio, l’ente concedente avesse riconosciuto Lit. 20 per ogni Kg. immagazzinato di rifiuti, lo stesso valore dovrebbe essere accantonato o riscontato.

Solo così si ovvierebbe alle sfasature dei flussi, che, se non corrette mediante il processo di ammortamento sia esso di traslazione in avanti per i costi ante, sia di traslazione all’indietro per i costi postumi o, comunque, di sospensione o rinvio di ricavi, determinerebbero esercizi con utili elevati ed altri, soprattutto quelli posteriori alla chiusura, di soli costi e, quindi, con perdite di esercizio.

Se, in mancanza di correzioni in conto economico, l’impresa in forma di società di capitali distribuisse interamente gli utili (lordi) nell’esercizio di percezione dei ricavi senza accantonamenti a riserve specifiche, dovrebbe affrontare gli esercizi in perdita con la sola riserva legale, che potrebbe rivelarsi protezione inadeguata del capitale sociale, a sua volta insufficiente per il sostenimento dei costi postumi. Il conseguente inadempimento degli obblighi assunti costituirebbe un danno diretto per l’ambiente e per la collettività e si tradurrebbe in insolvenza per l’impresa.

Ma l’accantonamento in sede di devoluzione dell’utile, anziché nella precedente di determinazione, non sarebbe corretto sul piano ragionieristico e comunque solo eventuale, potendo l’assemblea nella sua sovranità deliberare, invece, l’integrale distribuzione con solo rispetto dell’art. 2430 cod. civ. A parte il rischio di violazione dell’art. 2433, comma 2, cod. civ., l’assemblea, pur provvida nella ritenzione di utili ed anche escludendo ripensamenti nei successivi esercizi, non potrebbe cancellare la responsabilità degli organi sanzionata dall’art. 2621 cod. civ. per violazione dei criteri di verità e correttezza.

3 – Problemi fiscali

Il superiore interesse dello Stato è sempre invocato per giustificare l’autonomia del diritto tributario, sicché, senza scomodare teorie di stampo ferroviario come quella del “doppio binario”, il reddito imponibile può non coincidere con quello del bilancio civilistico, pur correttamente formato secondo norme di codice e principi contabili. Bisogna pur riconoscere lo sforzo di armonizzazione compiuto con il D.L. 30 dicembre 1993, n. 554 e successive reiterazioni, ma troppi problemi continuano ad essere ignorati. Tra questi quelli delle discariche.

Si è detto che questa relazione è incentrata sull’analisi di tre fasi: i costi ante, i flussi ricavi-costi del “durante”, i costi di chiusura e postumi. Sulla fase centrale del “durante” non sorgono particolari problemi fiscali, perché il T.U. 917/1986 ha dettato all’art. 75, commi 1 e 2, principi corretti per determinare l’esercizio di competenza di ricavi e costi di esercizio. Non del tutto certa è la soluzione dei problemi della prima fase, quella dei costi di avvio a fecondità pluriennale. E’ ben vero che non è messo in discussione dal legislatore tributario con l’art. 67 del T.U. il principio dell’ammortamento dei costi pluriennali con “traslazione in avanti” per quote annuali, ma, purtroppo, mancando per le “discariche”: Gruppo o Specie nel D.M. 31.12.1988, diventa difficile la soluzione pratica del problema delle aliquote fiscali di ammortamento, anche per la difficoltà spesso insormontabile del ricorso all’analogia 3. Si è detto prima che il “buco” di discarica resta catastalmente un terreno con quel che ne consegue. Inoltre, vi sono costi, come ad esempio quelli di impermeabilizzazione, che non potrebbero essere ritenuti pertinenziali al terreno, come accade, invece, per quelli di livellamento, e, pertanto, si può ritenere che essi non potrebbero essere cumulati al costo del terreno, ma trattati a parte, cioè non con l’art. 67, ma con il 74, TU 917/1986. Questo è già un ulteriore problema, ammesso di aver risolto quello dell’ammortamento del terreno. A mio avviso potrebbe essere ritenuto accettabile anche fiscalmente un processo di ammortamento di tutti i costi di approntamento della discarica compreso quello del “terreno” con quote annuali proporzionali al tempo, con adeguamento al criterio stabilito dal citato art. 2426, n. 2, cod. civ.. Il criterio può essere ricondotto all’art. 74, comma 3, T.U. 917/1986. Un precedente può essere individuato nella Nota min. 2 maggio 1977 n. 9/082, che ha ammesso l’ammortizzabilità del costo del terreno da adibire a “cava” in relazione all’art. 71 D.P.R. 597/1973, ora art. 74 T.U. 917/1986 e può ancora essere rilevato che il D.M. 31 dicembre 1988, innovando la normativa precedente in tema di coefficienti di ammortamento, ha previsto per il Gruppo XVIII (“INDUSTRIE DEI TRASPORTI E DELLE COMUNICAZIONI”), per le specie 1ª, la voce “Piste, moli e terreni ad essi adibiti”, 4ª, la voce “Terreni adibiti alle linee e servizi ferroviari”, e 12ª, la voce “Terreni adibiti ad autostrada”, tutte con aliquota dell’1%. L’improponibilità della interpretazione analogica, oltre che per i motivi richiamati in nota 3, deriva dalle considerazioni, nel caso della Nota min. 9/082, che nella cava si sfrutta il “terreno”, mentre nella discarica si sfrutta il “buco” e nel caso delle ricordate specie di ammortamento, che la loro destinazione è specifica, tant’é che l’aliquota dell’1% implica una durata del “terreno” per 100 anni, come è logico nelle concessioni aeronavali, ferroviarie ed autostradali, mentre una discarica dura pochi anni. Anche un tentativo di interpretazione estensiva porterebbe a manifesta illogicità.

Ma i problemi più difficili, a mio avviso addirittura insolubili, se si vuol affrontare il rapporto tributario in condizioni di prudenza, sono quelli relativi alla terza fase: caratterizzati dai costi di chiusura e postumi.

Ricordo che non esiste nel T.U. 917 del 1986 una norma che affermi una vis attractiva di costi di chiusura e postumi ai ricavi di “oggi” analoga a quella del citato Principio GASP N. 18, per cui la soluzione fiscale del problema riserva pericolose incertezze.

Né vale rilevare che esistono gli artt. 69 e 73, comma 2, del T.U., perché riguardano i beni gratuitamente devolvibili di imprese concessionarie con costruzione di opere pubbliche. Nel caso delle discariche, ammesso che vi sia devoluzione del terreno 4, non si possono certo sottoporre ad ammortamento finanziario i costi di chiusura e di gestione postuma. Le “convenzioni” con i Comuni sedi di discarica, stipulate a seguito di autorizzazione, introducono l’istituto della “concessione”, che, però ed almeno a fini fiscali, deve essere ritenuto atipico rispetto alle “concessioni” tradizionali, a cui si è riferito il legislatore tributario con le norme degli artt. 69 e 73 e loro antecedenti. Comunque, ammesso di poter far ricorso all’ammortamento finanziario, si deve sempre considerare che si tratta di un correttivo del tutto parziale.

L’attuale struttura delle norme comprese nel Capo VI del Titolo I del T.U. 917/1986 non consente, inoltre, la soluzione con la tecnica dell’accantonamento in ogni esercizio di quote di costi postumi, per la chiusura sancita dall’art. 73, comma 4.

Allora e per concludere l’argomento vi sono tre punti da analizzare:

– come si comportano in concreto ed attualmente i gestori di discariche;

– quali interpretazioni si rendono possibili oggi, partendo dall’esistente;

– quali sono le attese per un futuro un po’ più chiaro e tranquillizzante per il compilatore della dichiarazione dei redditi da discarica.

Sul primo punto ritengo che sia abbastanza generalizzata la scelta dei gestori di seguire anche per il reddito imponibile lo stesso criterio civilistico di anticipare ad ogni esercizio del “durante” quote di costi di chiusura e di gestione postuma. Scelto il criterio della “traslazione all’indietro” dei costi differiti, affrontano il problema della loro determinazione commissionando stime e perizie a professionisti, in genere ingegneri o comunque esperti, che, pur attenendosi ad elementi oggettivi, debbono pur affidarsi alla discrezionalità ed alla personale sensibilità estimatoria per costi che, al momento della stima, sono postumi di parecchi anni e con durata pluriennale a partire dall’inizio del differimento.

Sul secondo punto delle interpretazioni a partire dall’esistente, si deve ricordare la Risoluzione ministeriale 22 ottobre 1981, n. 9/2940, incentrata sull’affermazione che “sono i costi che devono seguire i ricavi”. Il caso riguardava la vendita in un esercizio di un’area non ancora urbanizzata, con obbligo assunto dal venditore di sostenere a suo carico e nel successivo esercizio le spese di urbanizzazione primaria e secondaria già previste in convenzione di lottizzazione con il Comune e già appaltate ad impresa secondo un preciso capitolato e costi definiti anche con rinvio al prezzario vigente del Genio Civile. Il Ministero nel riconoscimento della correlazione costi-ricavi ammise l’anticipazione dei costi futuri all’esercizio di conseguimento del ricavo. E’ prudente, ma ancor più corretto sul piano interpretativo, evitare le facili generalizzazioni delle risoluzioni ministeriali, che, come si sa: Il passo centrale di quella risoluzione recita: }}scaturisce dalla considerazione che nel caso in cui manchino i ricavi non può parlarsi di produzione del reddito, dal che deriva che sono i costi che devono seguire i ricavi. Di conseguenza, una volta stabilito l’esercizio di competenza dei ricavi, divengono automaticamente deducibili in quello stesso esercizio tutti costi relativi. Circa il carattere della certezza, si rileva che assume consistenza giuridica per gli impegni, contrattualmente assunti dalla società venditrice, che conferiscono concretezza ai costi, a prescindere dalla loro manifestazione numeraria. Quanto alla caratteristica della determinabilità, infine, essa va riguardata come reale possibilità di tradurre gli accadimenti aziendali in espressioni numerarie » e sin qui tutto sembra calzare anche per i costi postumi di discarica, sennonché il Ministero aggiunge: one con il competente Comune, nel capitolato, nonché nel prezzario del Genio Civile e, soprattutto, nel contratto d’appalto con l’impresa incaricata dell’esecuzione materiale dei lavori. »

Resta il dubbio se le condizioni di determinabilità oggettiva esaminate dal Ministero per risolvere il caso in esame: esistenza di prezzari e di contratti di appalto già assegnati e chiusi, siano da considerare assolute o relative e, quindi, se la risposta del Ministero sarebbe stata la stessa qualora i costi di urbanizzazione, anziché nel successivo esercizio, fossero stati differiti di parecchi anni e non quantitativamente certi per contratti di appalto già stipulati al momento di conseguimento del ricavo, come, invece, è il caso del gestore di discarica.

Come si è già ricordato, non è proponibile una soluzione con la tecnica dell’accantonamento, per l’indeducibilità sancita dall’art. 73, comma 4.

Forse potrebbe avere più accoglienza il processo dei risconti passivi annuali cumulati, poiché la “correlazione” costi-ricavi è un principio implicitamente incluso nel Capo VI del Titolo I cit., per riconoscimento della stessa Amministrazione finanziaria, che potrebbe preferire questa soluzione nel caso in cui la tariffa preveda espressamente una quota destinata alla copertura dei costi postumi.

Quanto al terzo punto, quello delle attese per un futuro un po’ meno incerto, si è costretti ad invocare una “circolare del gestore di discarica”, perché una legge avrebbe probabilità molto lontane, direi “postume”, di vedere la luce, anche perché è stata persa l’occasione, quanto mai propizia, del D.L. 30 dicembre 1993, n. 554 e sue reiterazioni. Si tratterebbe di una circolare brevissima, contenente il riconoscimento che i costi di chiusura e postumi di discarica, determinati in base ad una perizia di professionista, sono deducibili pro quota negli esercizi di ricevimento dei rifiuti ed annualmente in proporzione temporale, per simmetria all’ammortamento dei costi ante oppure che le quote di ricavo formalmente evidenziate nella tariffa e riferite a costi postumi sono comunque sospendibili per il principio di correlazione dalla determinazione del reddito imponibile degli esercizi di conseguimento dei ricavi.

Pietro Bonazza


1 In Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee N. C 212/33 e particolarmente per questo argomento gli artt. 13, 14 e 16.

2 La traduzione nel testo non è ufficiale. La versione originale è la seguente: achate collection systems and final cover) as well as the cost of services (such as postclosure maintenance and monitoring costs). Certains of these costs, which results in disbursements near or after the date that the MSWLF stops accepting solid waste and during the postclosure period, should be included in the estimated total current cost [ current cost is the amount that would be paid if all equipment, facilities and service included in the estimate were acquired during the current period ] of MSWLF closure and postclosure care, regardless of their capital or operating nature … The estimated total current cost of MSWLF closure and postclosure care … should include: a. The cost of equipment expected to be installed and facilities expected to be constructed (based on the MSWLF operating plan) near or after the date that MSWLF stops accepting solid wast and during the postclosure period … b. The costs of final cover (capping) expected to be applied near or after the date that the MSWLF stop of accepting solid waste. c. The costs of monitoring and maintaining the expected usable MSWLF area during the postclosure period … For MSWLFs reported using proprietary fund accounting and reporting, a portion of the estimated total current cost of MSWLF closure and postclosure care should be recognized as an expense and as a liability in each period that the MSWLF accepts solid wast … »

3 In tema di ammissibilità dell’analogia nel diritto tributario sono ormai classiche le precisazioni di G.A. Micheli, Corso di diritto tributario, Torino, 1984, pagg. 79 e segg. Dopo varie considerazioni l’Autore afferma: cetto tributario, ma non esclude poi che quel precetto sia interpretato come qualsiasi altro. » Analogo è il pensiero di E. De Mita, Interesse fiscale e tutela del contribuente, Milano, 1987, pag. XI: gi sono delle casistiche. »

4 Le autorizzazioni e le conseguenti convenzioni della Regione Lombardia prevedono in genere una devoluzione gratuita dei terreni costituiti da discarica esaurita, ma ad opzione degli Enti beneficiari, a cui è riservata anche discrezionalità nella data della eventuale devoluzione, così lasciando incertezza nel termine, diversamente dai normali regimi di concessione, che fissano dall’inizio il momento della devoluzione.

5  A. Voglino, Il ruolo della giurisprudenza nell’interpretazione ed applicazione del diritto tributario, in “Bollettino Tributario”, 1993, n. 10, pag. 797.