Il 2 marzo 2011, quando la retorica incominciava a montare come panna, scrissi su questo “Dialogo” un breve aforisma con titolo “Unità d’Italia: centocinquantanni di fiato sprecato”, in cui manifestavo il dubbio che avesse ragione il Principe di Salina del Gattopardo di Tomasi da Lampedusa, quando prevedeva che tutto sarebbe cambiato per rimanere come prima. Forse don Fabrizio esagerava, perché, indubbiamente, in un secolo e mezzo qualcosa è cambiato, ma su un punto aveva ragione: gli italiani non cambiano mai quando c’è da dimenticare e da minimizzare il valore dei vinti. Aveva ben ragione anche lo storico Radolico (I Ciompi) che la storia la scrivono i vincitori, ma si tratta di pseudostoria, che dura pochi anni, perché, poi, la verità viene a evidenza e, a distanza di tempo, il tribunale della storia emette le sue giuste sentenze.

Mi sembra molto opportuno e stimolante l’intervento di Antonio Accetturo sulla sua pagina personale di Facebook del 21 marzo 2011, che riporta alla memoria l’ultima battaglia di un manipolo di soldati dell’esercito borbonico, che a Civitella del Tronto combatterono l’ultima battaglia in difesa del Regno di Napoli, quando da tre giorni a Torino Cavour aveva proclamato il Regno d’Italia. Seppur non esistessero i mezzi di comunicazione di oggi è difficile immaginare che almeno dalle linee nemiche, meglio informate, non fosse stato lanciato il messaggio che per gli assediati ormai tutto era perduto, ma se anche non l’avessero saputo, per chi combattevano ancora quei fedeli del Re Borbone consapevoli della imminente sconfitta? Combattevano per quella che ritenevano, a giusta ragione, la loro terra o forse semplicemente perché si sentivano soldati coerenti con la divisa che indossavano … e questo basta per onorarne la memoria. Dobbiamo essere grati ad Accetturo che ci ha richiamato a questo evento, con assoluta imparzialità e senza giudizi o rammarichi per il corso degli eventi. Ricordiamo anche, per dire che Napoli non era poi una terra da hic sunt leones, che la prima ferrovia italiana fu la Napoli-Portici inaugurata nel 1839 da Re Borbone, non una Torino-Settimo Torinese.

Ora che festoni e bandiere del centenario e mezzo sono stati rimossi e che i politici si sono tolti la toga di circostanza del tricolore, io, che mi sento italiano fin nel midollo e sono solo infastidito dalla retorica che rende cattivi servizi alla storia, voglio ricordare che l’Italia non era e non è “una mera espressione geografica” come con vile offesa ebbe a definirla il codino e imbecille Principe di Metternich, perché, come invece scrisse il poeta Giuseppe Giusti nella Terra dei morti: «Gino, eravamo grandi/e là non eran nati». Era il 32 a.C. e Augusto Ottaviano, ormai padrone del mondo di allora, pronunciò la famosa frase: «Giurò sulle mie parole tutta l’Italia» e intendeva un’Italia dalla Puglia alle Alpi (Sabatino Moscati, Così nacque l’Italia). Più di duemila anni fa, non centocinquanta!

La battaglia di Civitella del Tronto, ricordata da Accetturo, come tante altre, è una tappa di un lungo percorso ricco di storia che risale nei secoli e non dimentichiamo l’incipit dei Sepolcri di Ugo Foscolo, perché anche i vinti fanno parte della storia e a lungo andare scrivono la parte che gli spetta.