È sintomatico che nei popoli primitivi la giustizia sia prerogativa del capo religioso o del capo benedetto e illuminato dal suo dio. Da qui la presunzione che la giustizia sia impartita in nome di qualcun altro, che sta più in alto del suo dispensatore, in genere il suo dio. Così il giuramento, che ha la stessa origine di giustizia.

Oggi le cose sembrano cambiate: la giustizia è amministrata in nome del popolo, più metafisico del dio e il giuramento o è sparito o è ridotto a formula vuota e senza invocazione esterna. Il giudice è, si dice, soggetto solo alla legge. Ma, allora, si dovrebbe dire che amministra la giustizia in nome della legge! Che c’entra il popolo? Si dice: c’entra, perché nei regimi democratici le leggi sono fatte dal popolo attraverso i suoi eletti, che siedono in Parlamento! Ma…va! Nemmeno nel caso del referendum abrogativo il popolo legifera. Si pensi alla abolizione del ministero dell’agricoltura, risorto come “Politiche agricole”, alla responsabilità del giudice, mai applicata e così via.

La giustizia vive di simboli e liturgie. Entriamo in un’aula: campeggia la scritta “la legge è uguale per tutti” e questo non c’era bisogno di scriverlo su quei muri. Perché non hanno avuto il coraggio di scrivere: “la giustizia è uguale per tutti”?