In Italia non esiste più la politica; l’ha soppiantata la pesudopolitica. Non esistono più veri capi (leader), ma, fatta l’eccezione per un imprenditore delle antenne, esistono peones che si sono autopromossi generali. Il popolo sta da un’altra parte e lo si nota dal calo delle frequenze nelle cabine elettorali. Si dice che sia fisiologico in democrazia, ma il fenomeno va interpretato. La diserzione può essere determinata da scarso senso del bene comune o da una certezza che la democrazia non è in pericolo, ma anche da una sfiducia nelle chiacchiere dei politici e dei loro partiti e questa, purtroppo, pare essere il male dell’Italia. Se la scuola è allo sfascio con scarse speranze di recupero nonostante gli sforzi della ministressa, la sanità è, almeno al sud, definibile “mala”, la giustizia è pascolo esclusivo di una casta che rifiuta ogni controllo, allora significa che lo stato unitario ha cessato di esistere nella sua giustificazione morale e di filosofia politica. Le ambizioni del signor Bossi sono tardive: le secessioni sono già avvenute! In questo contesto sono impossibili riforme proposte dalla maggioranza, che pure ha i numeri ma non la piazza, e nemmeno inciuci. Isolare e gerarchizzare le cause diventa impossibile, ma una affermazione pare non impropria: l’Italia è schiavizzata, non da una mamelica Roma, ma da un’orda di  politici apprendisti stregoni, che intravedono i vantaggi di una sedia parlamentare o territoriale, invece delle tribolazione del lavoro professionale. Così i peones fanno carriera! È del tutto inutile litigare su  pseudo riforme. Esiste una sola soluzione: tagliare spese e benefici. Per fare un’affermazione limite e forse paradossale: si chieda a chi vuol fare politica di prestarsi gratis per il bene comune: riempiremmo le cabine elettorali e svuoteremmo parlamenti e parlamentini. Ma questo non parrebbe possibile, perché, insorgerebbero i seduti e i candidati o aspiranti alla cadrèga, sostenendo che toglieremmo alla democrazia l’alimento che viene dalla linfa dei poveri, che pure hanno il diritto-dovere di donare alla patria le loro virtù politiche. La conseguenza è l’aristocrazia dei politici di professione o l’anarchia del popolo. Comunque, quanti sono i poveri che hanno i soldi per sostenere una campagna elettorale?

Non dimentichiamo il giudizio di Voltaire: “il popolo lavora sei giorni alla settimana e il settimo lo passa all’osteria.” Ma anche molti politici dovrebbero essere mandati all’osteria: un qualche calice di vino può darsi che li renda sobri.

 

Pietro Bonazza