Nei versetti del Vangelo di Luca dedicati all’Annunciazione si legge che Maria, stupita, risponde all’angelo Gabriele: «Eccomi sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto», che traspare nel volto dipinto da Antonello da Messina.

La risposta della Vergine non è una supina sottomissione. In quell’Eccomi e nel verbo avvenga c’è, invece, una adesione volontaristica. Mi pare che, oltre al mistero dell’Incarnazione, ci sia una manifestazione della “libertà” della Vergine; cioè, accettando il mistero, anche lo vuole, offrendosi alla sua realizzazione. È questo inno alla libertà che resta nascosto, ma merita di essere svelato. Dio è la libertà. Adamo ed Eva commisero la prima colpa per la libertà che Dio gli aveva concesso e nella libertà della Vergine si chiude il ciclo aprendo una nuova era.

La libertà è la cifra del Testamento Vecchio e Nuovo.

La storia degli Ebrei è una metafora della libertà. Che cosa sono in effetti le fughe di questo popolo dall’Egitto dei Faraoni, dalla schiavitù di Babilonia e da altri dominatori? Che cosa rappresenta la Terra Promessa, se non una metafora della libertà? Che cos’è è stato l’Esodo del dopoguerra verso lo stato di Israele, se non un cammino verso la libertà? Che cos’è la lotta attuale in un territorio circondato da fondamentalisti islamici, se non una continua guerra per la propria libertà? È illusorio per gli islamici tentare una soppressione dello stato israeliano, perché  alla fine è la libertà che vince. È sempre Davide contro Golia e sappiamo come è finito quello scontro.

Ma quando si fa riferimento alla libertà, è necessario aggiungere una spiegazione: libertà da chi o da che? E sul punto l’analisi diventa complicata. Charles Adam, storico della tassazione nei secoli, afferma nel suo libro “For Good and Evil” nel capitolo dedicato agli Ebrei: «Mettendo da parte l’aspetto religioso della storia ebraica, il corso dei loro eventi economici e politici è stato un continuo susseguirsi di battaglie contro imposte oltraggiose» e richiama anche il cap. 8 del Primo libro di Samuele, in cui il popolo di Israele invoca la nomina di un re, contro il parere del Signore della Bibbia, che ammonisce per voce del suo profeta: «Queste saranno le pretese del re che regnerà su di voi…. Sulle vostre sementi e sulle vostre vigne prenderà le decime e le darà ai suoi consiglieri e ai suoi ministri … Metterà la decima sui vostri greggi e voi stessi diventerete suoi schiavi. Allora griderete a causa del re che avrete voluto eleggere, ma il Signore non vi ascolterà». Poiché il popolo insistette, il Signore disse a Samuele «…regni pure un re su di loro». L’accostamento alla storia dei nostri giorni è evidente e non è tanto questione della attualità della Bibbia, quanto della pervicacia dell’uomo, che non fa mai tesoro della storia. Anzi le cose oggi sono peggiorate, perché se il re sconsigliato dal Signore si sarebbe accontentato del 10%, oggi pretende un quantum superiore al 50%. Gli avversari della Bibbia diranno che il Signore parlava in quel modo perché per Israele voleva essere l’unico re, ma a parte che lascia libero il suo popolo di rovinarsi con le sue mani, non è nemmeno sostenibile che volesse coartare la libertà del suo popolo. Si limita a sconsigliare, concludendo con un “uomo avvisato mezzo salvato”. Né si può sostenere che il Signore fosse per l’anarchia, perché non si spiegherebbe la risposta del Figlio secoli dopo ai farisei: «…date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio». Il passo biblico è, invece, un invito a riflettere sul costo dei governanti, se non vi sono regole che arginino le loro prevaricazioni e vessazioni e quelle dei loro ministri e consiglieri, cioè di tutti quelli che costituiscono la “casta” del giorno d’oggi. Il Signore sta mettendo in guardia il suo popolo del costo del Leviatano

La conclusione è semplice: le vessazioni fiscali sono una privazione della libertà.          

Le mie personali simpatie e antipatie verso gli Ebrei non contano niente rispetto alla realtà della storia.