In agosto, in vacanza i politici e sospesi i loro giochetti da gattopardi, ai giornali restano solo notizie di omicidi, stupri e coccodrilli per la morte di qualche Vip perdente al gioco con il destino. È il mese più adatto per discussioni da leggere sotto l’ombrellone in una pausa tra un giallo e un viola stimolante per ginnastiche da materasso. Ha aperto le discussioni il “Corriere della Sera” con due interventi dialettici di Piero Melograni e Piero Ostellino sul tema degli intellettuali sordi alle sirene della destra. Gli ha fatto eco Giordano Bruno Guerri sul “Giornale” del 28 agosto, che ha stimolato un intervento sullo stesso foglio di Paolo Granzotto, il quale, in contrapposizione a Guerri, descrive la figura dell’intellettuale in termini positivi a condizione di condurre una vita distaccata dalla politica attiva, quasi fosse un epigono di Piero Martinetti. A riaprire il problema, peraltro risalente e sempre aperto, sono intervenute l’1 settembre, le dimissioni da intellettuale di sinistra di Asor Rosa.

A me pare che la discussione sia stata avviata e coltivata in assenza della premessa della definizione di intellettuale, necessaria se non altro per avere un punto di riferimento iniziale. Si potrebbe ricordare l’irriverente aforisma di Leo Longanesi, secondo il quale: “l’intellettuale è un signore che fa rilegare i libri che non ha letto”, a cui fa eco il più compassato filosofo W.T. Adorno, che avverte: “comunque agisca, l’intellettuale sbaglia”. Questi richiami mi rendono più pessimista e radicale del dott. Granzotto e ritengo che sia la destra sia la sinistra, che vogliono essere popolari, non dovrebbero ambire a intruppare nelle loro file i cosiddetti intellettuali, non tanto per eliminare voci critiche perennemente scontente, quanto perché l’intellettuale è un cattivo cliens, peraltro incline alla transumanza. Il mio pessimismo mi porta addirittura a non considerare la categoria dell’intellettuale, tant’è vero che lo stesso Granzotto finisce per distinguere gli “intellettuali veri” da quelli intruppati, come a dire che, semmai, esistono solo i primi. Infatti, non si deve dimenticare che in Italia l’intellettuale coincide con quello “organico”, inventato da Gramsci. Un pittore, un letterato, un filosofo, uno storico, che svolga la sua attività artistica o di pensiero non ha bisogno di essere iscritto nella corporazione degli intellettuali e, quindi, l’intellettuale è una categoria inutile, una diminutio per chi opera senza appartenere a greggi politiche, oppure è una tartuferia per distinguere in un partito la testa d’uovo, che poi tanto testa non è.

Se la destra vorrà accattivarsi le simpatie di questa strana genia, non per tanto potrà sperare in un aumento del numero dei voti. Al popolo, che oggi è poi quello che vota e comprende in sé anche la borghesia ormai massificata, interessano poco le discettazioni degli intellettuali. Scriveva Voltaire “Il popolo non legge, lavora sei giorni alla settimana e il settimo lo passa all’osteria” (oggi: allo stadio o al mare), così gli intellettuali non possono pontificare per il popolo; quanto al partito vale il giudizio di Craxi: “intellettuali dei miei stivali”. Di entrambi non ho mai condiviso niente, ma bisogna riconoscere che avevano le loro buone ragioni. Non voglio affermare che un partito politico o un movimento privi di teste pensanti possano dotarsi di un substrato adeguato, ma è provato dalla storia che il coinvolgimento di intellettuali ha creato più danni che vantaggi, a meno che gli intellettuali siano presenti per libera scelta e indipendenza di giudizio. Il che avviene raramente.

Ma se la cosiddetta destra, ammesso che dopo lo sfascio del partito liberale, lo scivolamento al centro di AN e la pretesa del berlusconismo di essere l’erede di una non meglio precisata ideologia dorotea, esiste ancora, bisogna pur constatare che i suoi intellettuali schierati, le case editrici, i circoli culturali e pseudo culturali li ha già.

Non ci interessa chi sono, ma qual è il loro atteggiamento. Ebbene, si tratta di circoli elitari e non privi di spocchia e di maleducazione, che ritengono di aver ricevuto l’eredità della parola libertà, mentre se ne sono solo appropriati ultimamente e non saprei fino a che punto sia veramente radicata in loro l’idea di libertà, che implica per definizione un’apertura, un dialogo, una discussione. Non mi pare che questo accada, perché vedo un proliferarsi di confraternite chiuse, i cui “fratelli” parlano solo tra di loro e finiscono per ridursi a salotti chiusi.

Quanto poi ad ambire a essere citati da “il Domenicale”, quello strano settimanale che si è retto sulle stampelle del “Giornale” con una distribuzione gratuita o quasi per non breve periodo, possiamo anche capirli, se vi attribuiscono tanta importanza.

Non sono diagnosi che mi riguardano. Berlusconi deciderà per il “suo” meglio, senza bisogno di pareri più o meno illuminati. Peraltro, a decidere da solo è abituato e se ha fatto fortuna con i “dané” non è stato certo per merito dei suoi avvocati e tributaristi, anche se ha commesso più errori di Caligola, che senatore fece il suo cavallo, non un’intera mandria.

 

Pietro Bonazza