La malattia e la morte di Giovanni Paolo II prima e l’elezione del nuovo Papa Benedetto XVI poi, ci hanno dato la misura, se mai ve ne fosse bisogno, della pochezza dei nostri giornalisti, televisivi e della carta stampata, generalisti e vaticanisti, ma anche della emotività della folla, facile all’applauso, al riso e al pianto, alle proclamazioni coram populo, come se la Chiesa con duemila anni di storia alle spalle abbia bisogno delle gazzette e del consiglio della piazza per assumere le proprie decisioni. I giornalisti dovrebbero sapere che, quando si parla e si scrive di questioni ecclesiastiche, non vale il metro che impiegano per le elucubrazioni politiche di quei poveracci che si ritengono più furbi di ser Niccolò, che furbo non era, ma genio sì, mentre il cosiddetto “popolo di Dio” non dovrebbe scambiare Piazza San Pietro con lo stadio di calcio, pieno di folcloristici striscioni e bandiere di club. La fede dei semplici, che il nuovo Papa ha sempre difeso come cardinale teologo, è comportamento affatto diverso.
L’elezione, per la rapidità e la serietà dimostrata dai Cardinali, sembra aver dato un monito implicito a questi comportamenti fuori e sopra le “righe”.
I cattolici riflessivi, che non sono da confondere con i pavidi, ma con i prudenti e i rispettosi dei ruoli, possono gioire. Gioire per la scelta, che avrebbe potuto anche essere altra, ma sarebbe pur sempre stata un dono della Chiesa. Invece, sono prevalse le attese e le speranze sulla nomina del cardinal Tizio piuttosto che di Caio. Quasi, quasi… ho qualche dubbio che fosse opportuno persino pregare per la nomina, come se lo Spirito Santo abbia bisogno di stimolatori umani. A meno che la preghiera non sia un atto di Fede e un ringraziamento anticipato. In parole più semplici: a chi chiedesse maldestramente “che cosa si aspetta dal nuovo Papa?”; la risposta più corretta dovrebbe essere “che cosa si aspetta il Papa da me?”. Da “me” e non dal “popolo”, che, anche quando è quello di Dio, è sempre indeterminato. Il cardinal Ersilio Tonini, nel mezzo bailamme della trasmissione televisiva “Porta a porta” della sera dell’elezione, ha ben ricordato che il rapporto e la responsabilità del cattolico verso Dio è un fatto “individuale”.
Immagino che ora, soprattutto i giornalisti, siano lì pronti, con tutte le loro riserve mentali da portinaie furbe, a criticare il Papa morto e a giudicare quello regnante. È successo al Cristo osannato la domenica delle Palme e crocifisso il venerdì successivo. Il mondo è pieno di giudici con la penna in una mano e la mannaia nell’altra!
Vivendo estraniato, non mi calo in nessuna posizione e mi limito a ricordare che la rivista “Humanitas”, della bresciana casa editrice Morcelliana, ha pubblicato sul n. 2 del 2004 i due testi delle relazioni esposte alla Katholische Akademie in un convegno dello stesso anno tenuto il 19 gennaio a Monaco di Baviera. I due relatori hanno trattato il tema dei rapporti tra etica, religione e stato liberale. Il primo, Jürgen Habermas ha svolto una relazione dal titolo “I fondamenti morali prepolitici dello stato liberale”, il secondo Joseph Ratzingher, il Papa eletto il 19 aprile, ha trattato un tema con titolo assai riduttivo “Ciò che tiene unito il mondo”, ma più propriamente ha esposto una profonda lezione di filosofia del diritto. Ritengo che la relazione del cardinale sia un documento prezioso e per nostra fortuna non unico per capire il pensiero di Papa Benedetto XVI, ma, soprattutto, per apprezzarne la modernità, la ricchezza spirituale e intellettuale, la valutazione critica della ragione umana, il suo porsi in dialogo aperto e sereno, ma fermo e obiettivo, con il filosofo Habermas, che esprime valutazioni non convergenti, ma certo ricche di spunti e di grande lucidità. Su questo sito, alla sezione “Critica politica”, ho ritenuto di riferirne il 24 luglio 2004 con l’articolo “Il diritto regola la politica del potere”, che sintetizza il pensiero del cardinale ben esplicito nell’indicare i rischi che il potere politico possa imporre, con sistema maggioritario, scelte legislative contrarie all’uomo. Ribadisco che la meditazione sulla relazione Ratzingher è di fondamentale importanza a prescindere dall’investitura papale ora ricevuta, perché riguarda il destino dell’uomo in quanto uomo e più precisamente dell’uomo occidentale. Ne consiglio la richiesta del testo alla casa editrice.
Il tutto non si chiude nel gaudio di Piazza San Pietro. Al balcone del Sacro Palazzo non si è affacciato solo un novello Papa, ma, con Lui, la cultura di un filosofo-teologo, che ha ben presente i bisogni e i destini dell’uomo e questo è l’avvenire della Chiesa, ma anche del mondo che ne è discosto.

Pietro Bonazza