Lucio Quinzio Cincinnato fu un generale di Roma antica, grande per le vittorie belliche, ma ancor più per il suo distacco dal potere e l’amore per il suo orto. Per i Romani, questo personaggio rappresentò il grande ideale repubblicano di servire la patria quando lei ha bisogno di te e non viceversa! Il potere può avere ragione di esistere solo se fa i conti con il dovere. Per questo limite Cincinnato ha avuto scarsi imitatori. Ne ricordo due recenti: Dino Del Bo, lasciando sua sponte la presidenza dell’Associazione Bancaria Italiana, così motivava la sua decisione: « è bene lasciare le cose, prima che le cose ti abbandonino »; Luigi Arcelli, lucido economista, chiamato a fare il Ministro del Tesoro in momenti difficili e tornato al suo lavoro di professore universitario senza pretendere continuità alla sua esperienza politica.

Cicerone, grande predicatore e incoerente attuatore dei propri consigli, aveva ben detto: “si hortum in bibliotheca habes nihil deerit (se hai un giardino entro la tua biblioteca nulla ti potrà mancare)“. Lui aveva il giardino e la biblioteca, però trafficava per avere cariche politiche. Lo conosciamo bene il buon Tullio, che si è reincarnato in Giulio Andreotti.

E adesso pensiamo a tutti quei professori “strappati” alle loro accademie e incaricati di fare i “mandarini” in cariche pubbliche per dare lustro a partiti, ma che alla scadenza reclamano continuità in altre cariche, perché i loro meriti sono diventati “a vita”. La verità è che, diversamente da Cincinnato, che sapeva coltivare l’orto, loro le accademie le hanno frequentate sempre Cicero pro domo sua. Che dire? Niente! Non c’è niente da dire! Davanti ai loro diritti non ci sono scusanti da parte dei pubblici poteri. Urge provvedere. A meno di usare l’ossimoro di Giovanni Papini: “urge temporeggiare” o invocare la giustificazione di Georg Christoph Lichtenberg: “Quell’uomo aveva tanta intelligenza che quasi non lo si poteva più utilizzare in niente al mondo”. Ma, suvvia! Siate generosi: date obolum Belisario.

 

Pietro Bonazza