Logos, Verbum, Parola, Spirito

 

Logos è termine polisemico nella lingua greco-antica. Gli etimologisti ritengono sia derivazione dal protoindoeuropeo *werdʰo-. Nella cultura occidentale ha un determinante significato teologico espresso nell’incipit del Vangelo di Giovanni, scritto originariamente in greco

Ἐν ἀρχῇ ἦν ὁ λόγος,

καὶ ὁ λόγος ἦν πρὸς τὸν θεόν

tradotto in latino:

 

In principio erat Verbum,

et Verbum erat apud Deum,

et Deus erat Verbum.

e comunemente in italiano:

 

In principio era il Verbo,

e il Verbo era presso Dio

e il Verbo era Dio.

 

La traduzione in italiano talvolta usa il termine “parola” invece di “verbo”, duplicità che non si pone per il latino, perché “verbum” assume il significato sia di “parola” sia di “verbo”.

Premetto che, a mio avviso, né verbo né parola rendono il significato profondamente teologico, forse anche etimologico, che intendeva l’evangelista, ma che per logos pensava “Spirito”. Si provi a scrivere:

 

In principio era lo Spirito, e lo Spirito era presso Dio e lo Spirito era Dio. Egli era, in principio, presso Dio…

 

e si comprenderà la sottesa natura di quel logos giovanneo, che racchiude un concetto trinitario. Ma nella consuetudine si sono affermate le identità:

logos=Verbum=Parola

Poiché l’intento di queste considerazioni non è un richiamo teologico, per cui non sarei attrezzato, prendo in considerazione il significato di “parola”, che impone a pensanti e a parlanti di riflettere che di fronte a “parola” possiamo porci:

– fuori dalla parola. È l’atteggiamento di chi parla senza badare all’etimologia, cioè alla storia che riporta all’origine, al significato iniziale della parola e ci pone davanti al significato originario del linguaggio, alla domanda: perché esiste la parola? Com’è il gioco a incastri, al gioco del domino per cui le singole parole si connettono tra di loro per formare le grammatiche, le sintassi dei singoli linguaggi, nei quali sta scritta buona parte della storia dei singoli popoli?

– l’impiego meccanico della parola usata senza porre alcuna domanda, come è consuetudine degli imbonitori televisivi, nei politici e di tutti coloro che non pongono alcuna connessione tra la parola e la causa di quel che è detto. In altri termini: un parlare per dare aria alla bocca, un modo per respirare;

– pensare dentro la parola: questo è il logos, che è spirito, non del linguaggio, ma  nel senso del Vangelo di Giovanni. La domanda diventa allora: il linguaggio, cioè la parola, è invenzione dell’uomo o è un dono divino, fatto dal Creatore agli uomini affinché potessero pregarlo e trasmettersi i loro sentimenti? Questo è anche il significato profondo dell’identità Parola=Spirito; lo Spirito che si fa carne, cioè umanità; il Dio che si umanizza; che parla ai poeti, ai filosofi, ai profeti, agli oranti, che così possono colloquiare con il Creatore e spiega l’incipit della Bibbia (Genesi, 2,7):

«…allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici una alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente…».

L’Adamo dell’origine si salda al novello Adamo, il Cristo: Natale, Pasqua. Resurrezione e Pentecoste diventano un tutt’uno. La parola è soffio divino; è Spirito; è condizione per diventare “un essere vivente”, è Logos riservato solo all’uomo creato con “polvere del suolo”, non con un semplice fiat, diversamente dal resto del creato. Si spiega anche l’aneddoto di Michelangelo, l’artista che traeva l’uomo dalla pietra, che contro la statua compiuta del Mosè, lanciandole contro il mazzuolo, pronunciò il suo celebre rammarico: «perché non parli?». Solo Dio può alitare il soffio della parola!