Chi guadagna poco in genere fatica molto. Poi, quanto a spendere quel poco, non fa una gran fatica, perché non gli avanzano soldi, ma bisogni insoddisfatti. Allora gli uomini si possono clssificare in due categorie: · quelli che faticano a guadagnare e quelli che vivono di rendita, non del proprio capitale, ma da eredità; · quelli che spendono il sudore e si arrabattano a inventarsi una scala di bisogni per decidere quali lasciare insoddisfatti e quelli che “soffrono” (come certe matrone romane che per tener salotto s’offrono) per inventare nuovi bisogni da soddisfare. Ironia della sorte, le “sofferenze” dei secondi consentono ai primi di soddisfare qualche bisogno marginale aggiuntivo. Non che sostengano il mondo, ma nell’ingiustizia dei loro lauti consumi rendono il mondo un po’ meno ingiusto e vivibile ai primi. Per dirla con Mandeville: i loro vizi privati consentono pubbliche virtù. Chi ha tentato e ogni giorno tenta di sovvertire questa realtà naturale, alla fine rende i poveri più poveri. Ma la forza dell’utopia ha una presa magnetica sulle opinioni e così nascono le rivoluzioni, la cui utilità è solo di tener viva la cosidetta “speranza in un mondo migliore”. Però il mondo non migliora con le rivoluzioni, ma con le idee e la storia insegna che le idee rivoluzionarie nascono spesso nella testa dei ricchi, perché la ricchezza non convive facilmente con l’intelligenza e alla fine stanca. La stanchezza di essere sazi genera più rivoluzioni della fame.