Leggo nell’Esprit de lois del saggio Montesquieu la definizione di libertà : «…la liberté ne peut consister qu’à pouvoir faire ce che l’on devoit vouloir, et à nêtre point contraint de faire ce que l’on ne doit pas vouloir…» [la libertà non può consistere che nel poter fare ciò che si deve volere, e nel non essere costretti a fare ciò che non si deve volere…]. Come affermazione è molto bella, anche se un po’ enfatica e retorica. Personalmente la condivido. Però, come definizione politica mi lascia perplesso. Mi sembra un discorso circolare. Mi rimbalza immediatamente al Kant della Critica della ragione pratica, all’imperativo (fare ciò si deve). Cioè: per essere liberi siamo costretti a “dover volere” qualcosa che sta fuori di noi. Rousseau nel contratto sociale, ha scritto: «…l’obbedienza alla legge che ci siamo prescritta è la libertà ». Già! Ma, il popolo è tendenzialmente anarchico, non si prescrive mai nessuna legge, tutt’al più, ma spesso sbaglia anche in questo, sa fare referendum abrogativi. La chiamano democrazia indiretta, ma la legge la farà sempre il “principe”, sia esso persona, partito o assemblea.

I cattolici direbbero: la libertà è la libertà di “dover fare il bene”, il che, se non altro, è più preciso e determinato. Ma c’è sempre quel “dovere”, che non ci fa distaccare dal diritto romano honeste vivere, alterum non laedere¸ suum cuique tribuere, a meno di saltare il fosso e cancellare ogni dovere, cancellando lo Stato, come ha fatto Nietzsche in Così parlò Zarathustra (“solo là dove lo Stato cessa di esistere incomincia l’uomo non inutile”). Però, con Nietzsche non si va da nessuna parte, a meno di considerare il nichilismo una meta, il che è masochistico e contro natura oltre che contraddittorio.

Ma allora, in che consiste questa “libertà”? La risposta può darcela solo chi l’aveva goduta e l’ha perduta, come il Dostoevskij delle Memorie di una casa dei morti o Dante, che nel Purgatorio (I, 71-72) scrive due endecasillabi autobiografici universali: « libertà va cercando, ch’è sì cara/come sa chi per lei vita rifiuta ». La libertà è ricerca, dolorosa fino al sacrificio e quella cui si riferiva Dante, non era certo la libertà spirituale, che possedeva come nessun mortale ha mai avuto; ma quella politica, la libertà di vivere nella città natia, nella propria casa del proprio rione. Il resto è solo chiacchiera. E a ben intendere non sbagliava, in astratto, Benito Mussolini il 15 luglio 1923 nel discorso alla “Camera dei deputati”: «Ci sono le libertà; la libertà non è mai esistita », solo che non disse, in concreto, quali specifiche libertà intendeva concedere!

Ho provato più volte, inutilmente! Non riesco ad afferrare il concetto di libertà. Più stringo e più mi sfugge da ogni lato. Mi affascina però il concetto di Dante di una libertà politica come ricerca concreta e penso che se oggi una qualche idea di libertà l’abbiamo pur maturata, lo dobbiamo alla ricerca, spesso grondante di sangue, delle generazioni che ci hanno preceduto, alla cui precisazione e realizzazione ognuna ha dato un contributo. La libertà è un blocco di arenaria, un insieme compresso di impalpabili granelli di rena. La libertà è un cammino, è in cammino. La sua perfetta realizzazione è al termine di un evento escatologico, quando anche Dante potrà tornare a casa!

 

Pietro Bonazza