Votazioni europee e collegamenti interni

Il voto sull’Europa del 25 maggio ha scatenato i soloni della politica in una ridda di interpretazioni, che aumentano lo stato di confusione. Si è letto di tutto: il Grillo ridimensionato se non sconfitto, nonostante il 21% dei voti che lo rendono il secondo partito; il Forza Italia, senza forza e anche senza l’Italia, visto che sarebbero stati tanti i votanti nostrani passati al PD; il PD che non avrebbe vinto, perché il solo merito se lo ascriverebbe il nuovo capataz di Firenze, ormai osannato da tutti, persino dai nemici interni del suo partito, che però non si sa bene cosa sia; il tutto con un elogio agli italiani che, diversamente dai fratelli europei, hanno dato sostegno alla UE, anche se da anni li ha evirati. Tutti d’accordo nel prevedere che Boyrenzi ora andrà a Bruxelles non con il cappello in mano ma con il pugno (vuoto) dietro la schiena. Bah e bla, bla!

Io ne deduco che è aumentata la confusione e non ci sono motivi di rallegrarsi, perché la debolezza dell’economia europea è nella sua forza monetaria rispetto al dollaro, causata, si dice, da una recessione che ha inchiodato la crescita. Le politiche economiche sulle due sponde dell’Atlantico sono nettamente contrapposte: gli USA hanno inondato il mondo di dollari svalutati e al loro interno hanno reso felici gli speculatori di Wall Street, i tassi d’interesse sono bassi, il rischio dello scoppio di una nuova bolla speculativa è in netta crescita. Sulla sponda orientale un’Europa germanocentrica, che sarebbe malata di rigorismo e di stretta monetaria. A me pare una bufala, sol che si pensi che il tasso europeo d’interesse dello 0,5%, se abbassato a 0 nella speranza di portare il tasso d’inflazione al 2% per indebolire l’euro e agevolare la ripresa è una contraddizione. Supponiamo che si riesca a smuovere il tasso di inflazione. Ma davvero pensiamo che il tasso d’interesse resterebbe a lungo nei pressi dello 0%? Non è forse lampante che il tasso d’interesse incorpora, prima o poi (ma spesso prima, perche esiste il fenomeno delle “aspettative”) salirebbe e, allora, il tasso resterebbe basso solo per le banche che vanno ad approvvigionarsi alla BCE, ma poi rivendono la liquidità alle imprese a tassi crescenti, come l’esperienza insegna. I furbi americani se la ridono, anche se confondono il prurito con il solletico.

Risultato: il 25 maggio non ha cambiato le cose, anzi le ha peggiorate e l’Italia ha poco di che vantarsi di essere  diventato il paese più europeista! La verità è che i dati non li cambia nessuno con maquillage contabili ed è inutile continuare a fare i piagnoni e dare la colpa alla cancelliera Merkel, che sarebbe una specie di Bismark con il chiodo sull’elmo. Poverina: ha una banana al posto del chiodo! I tedeschi hanno colpe pesanti, ma non possono essere chiamati a rispondere e a contribuire al risanamento dell’Italia, che è malata nelle istituzioni vitali.

L’Italia paga lo scotto dei suoi ritardi, non superabili con un voto, che, tra l’altro, non dovrebbe riguardare direttamente il nostro interno e da qui gli equivoci dei giornaloni, che, da come vanno le vendite della carta stampata, tra non molto avranno la tiratura dei bollettini parrocchiali.

La politica è fantasia, comunicazione e affabulazione, ma è anche concretezza e programmi.

Nessuno ha dichiarato impegnativamente che cosa intende fare. Chiacchiere tante, idee nessuna!

Il piagnone di Arcore che si lamenta di non poter fare politica perché (auto)costretto a spingere carrozzelle all’ospizio. Il Grillo straparlante che, diversamente da quello di Pinocchio che era educato, usa l’unico linguaggio che conosce: quello da trivio. Un babypiddino che annuncia sfracelli di riforme, ma non dice quali.

L’Italia ha tanti problemi, ma deve almeno scegliere i più urgenti e metterli in fila logica. Deve, almeno:

a)                  riformare la magistratura, perché smetta di essere, da ordine professionale, il potere più determinante e condizionante della vita del paese, a prescindere da un certo signore di Arcore che a grattarsi le sue croste deve pensarci da solo;

b)                 riformare la fiscalità, che comporta un rapporto democratico corretto tra fisco e contribuenti;

c)                  ridurre lo statalismo e il numero dei politici, perché è l’unico modo per ridurre la spesa pubblica;

poi verrà il resto.

Ora, si dirà, che c’entra tutto questo con le elezioni europee? C’entra, perché capi partito  seri e responsabili avrebbero dovuto dire agli elettori: vi chiediamo voti per l’Europa, ma poiché i destini si sommano e in Europa intendiamo aumentare il nostro peso politico e decisionale, vi diciamo che se ci voterete noi interpreteremo il vostro voto come una condivisione del nostre programma interno, chiaro e preciso, su almeno quei tre punti, che per noi sono irrinunciabili.

Non mi risulta che nessuno abbia esposto con chiarezza questa strategia, cosicché quel voto del 25 maggio non serve a nulla, non a noi, non all’Europa, di cui non conosciamo i meandri labirintici di Bruxelles; di quelli interni sappiamo tutto ma non vediamo come saranno risolti. Così il voto si svuota di significato politico ed esprime solo sterile protesta, auto punizione votando l’avversario nella speranza di dirlo a nuora perché suocera intenda, e turandosi il naso. A proposito: in quale parte del corpo sta il naso?