Associazione italiana Dottori Commercialisti


COMMISSIONE NORME DI COMPORTAMENTO E DI COMUNE INTERPRETAZIONE IN MATERIA TRIBUTARIA

I componenti

Nicola Cavalluzzo (Presidente), Mario Bono, Giulio Boselli, Paolo Centore, Nino Clerici, 1 Annalisa Donesana, Giuseppe Holzmiller, Silvio Necchi, Antonio Ortolani, Paolo Pensotti Bruni, Marco Peverelli, Marco Piazza, Stefano Poggi Longostrevi (Vicepresidente), Daniela Prandina, Paolo Troiano, Paolo Vayno, Francesco Gerla (Segretario)

Gli esperti

 

Alberto Arrigoni, Giuseppe Bernoni, Pietro Bonazza, Primo, Ceppellini , Flavio Mezzani, Tommaso Di Tanno, Roberto Lugano, Raffaello Lupi, Giuseppe Marino, Guido Marzorati, Ambrogio Picolli, Giuseppe Ripa, Raffaele Rizzardi, Franco Roscini Vitali, Francesco Rossi Ragazzi, Enzo Russo, Francesco Tesauro, Giuseppe Verna, Giuseppe Zizzo, Andrea Zonca (presidente Adc M.ilano).


NORMA DI COMPORTAMENTO 167


LIQUIDAZIONE IVA DI GRUPPO E SOCIETA’ ESTERE COMUNITARIE

 

La disciplina dell’IVA di gruppo, prevista dall’art. 73 del D.P.R. 633/1972, può essere estesa alle società estere, residenti in altri Stati membri della UE, alla condizione che la loro forma giuridica sia equipollente alla società per azioni o alla società a responsabilità limitata del diritto civile italiano e che le stesse siano identificate ai fini IVA nel territorio nazionale, anche nel caso in cui tale identificazione sia effettuata al solo fine della partecipazione della società estera e delle società controllate residenti al meccanismo dell’IVA di gruppo.

L’equipollenza della forma giuridica va determinata sulla base delle disposizioni comunitarie per cui restano esclusi dalla disciplina dell’IVA di gruppo, oltre alle forme societarie comunitarie non contemplate in tali disposizioni, le società e gli enti non comunitari.

* * *

L’art. 73, comma 3, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 prevede un particolare sistema di compensazione dell’IVA nell’ambito dei gruppi societari, disciplinato dal D.M. 13 dicembre 1979.

La norma trae origine dalla previsione contenuta nell’art. 4, par. 4, secondo periodo, della Direttiva 77/388/CEE, che stabilisce testualmente: “con riserva della consultazione di cui all’articolo 29, ogni Stato membro ha la facoltà di considerare come unico soggetto passivo le persone residenti all’interno del paese che siano giuridicamente indipendenti, ma strettamente vincolate fra loro da rapporti finanziari, economici ed organizzativi[1].

Il recepimento da parte del legislatore italiano è avvenuto “senza tuttavia accogliere il principio fondamentale in esso contenuto, consistente nel riconoscimento giuridico e fiscale della unitarietà del soggetto passivo in presenza di soggetti giuridicamente indipendenti, ma vincolati fra loro da rapporti economici ed organizzativi. Il principio contenuto nella citata norma comunitaria è stato recepito, invero, in termini molto ristretti e con contenuto di carattere procedurale…[2]

Per dette operazioni, pertanto, il nostro ordinamento mantiene l’autonomia delle singole società interessate, le quali:

(i) partecipano alla compensazione, ma conservano sempre e comunque la propria autonomia giuridica e fiscale;

(ii) sono singolarmente soggette a tutti gli obblighi di legge in qualità di contribuenti IVA;

(iii) restano sotto l’esclusiva competenza degli Uffici locali dell’Agenzia delle entrate nella cui circoscrizione hanno il loro domicilio fiscale per quanto concerne il controllo delle dichiarazioni, le rettifiche e l’irrogazione delle sanzioni.

Ancorché recepito in modo restrittivo, il principio comunitario, il cui scopo è l’eliminazione delle discriminazioni a danno dei soggetti – sia persone fisiche sia giuridiche – sottoposti al medesimo diritto comunitario[3], non pone limiti territoriali di applicazione. Detti limiti sarebbero peraltro illegittimi, considerando i principi della giurisprudenza della Corte di giustizia europea[4] in ordine alla libera circolazione dei capitali e delle persone nonché alla libertà di stabilimento.

L’estensione della disciplina dell’Iva di gruppo alle società estere è, tuttavia, soggetta alla preventiva verifica dell’equipollenza della forma giuridica assunta dalla società estera a quella delle società di capitali di diritto italiano.

Al riguardo, va osservato che l’art. 2 del Regolamento CE n. 2157/2001 dell’8 ottobre 2001 relativo allo statuto della cosiddetta Società Europea richiama, nell’ambito degli allegati I e II, i tipi di società che, secondo gli istituti previsti negli Stati membri, sono considerate equipollenti alle società per azioni e alle società a responsabilità limitata del diritto civile italiano, cioè a due delle tre ipotesi indicate nell’art. 73, comma 2, del D.M. 13 dicembre 1979.

L’equipollenza tra le tipologie societarie comunitarie è, altresì, desumibile dall’allegato della Direttiva 435/90/CEE del 23 luglio 1990, relativa al regime dei dividendi delle cosiddette società “madre-figlia”. [5] .

Considerando l’ambito applicativo del Regolamento n. 2157/2001, l’equipollenza, ai fini dell’applicazione delle disposizioni relative all’IVA di gruppo, deve essere riconosciuta limitatamente alle persone giuridiche, di diritto europeo, nell’ambito dell’Unione europea.

Sul punto l’Amministrazione finanziaria aveva, in un primo momento[6], escluso le società non residenti identificate nel territorio dello Stato o attraverso la stabile organizzazione o con rappresentante fiscale ovvero direttamente, quando intervengono nella procedura di liquidazione di gruppo in qualità di società controllata o rivestono il ruolo di capogruppo.

La ratio di tale interpretazione si fondava sull’art. 2 del D.M. 13 dicembre 1979 ove si richiamano, quali soggetti ammessi all’IVA di gruppo, le società previste dalle norme del diritto civile italiano, con la esclusione, quindi, sulla base della littera legis, dei soggetti non residenti, sia pure costituiti in forma societaria e identificati ai fini del tributo nel territorio dello Stato.

Successivamente, in seguito al procedimento di infrazione instaurato dalla Commissione europea a carico della Repubblica Italiana, per violazione delle norme del Trattato di Roma sulla libertà di stabilimento (artt. 43-48 del Trattato CE), l’Amministrazione finanziaria, con la Risoluzione n. 22/E del 21 febbraio 2005, supera le considerazioni contenute nella precedente Risoluzione n. 347/E citata.

Viene, così, estesa l’applicazione delle regole relative all’IVA di gruppo a tutte le società residenti in altri Stati membri dell’Unione europea, a condizione che la loro forma giuridica sia equipollente a quella delle società di capitali di diritto italiano[7] e alla ulteriore condizione che esse siano identificate ai fini IVA nel territorio nazionale direttamente, attraverso il proprio rappresentante fiscale ovvero anche per il tramite di una stabile organizzazione. Da tale principio, di validità generale, discende in modo del tutto consequenziale che il regime dell’IVA di gruppo si rende applicabile anche nel caso in cui l’identificazione ai fini IVA in Italia sia effettuata al solo fine di consentire la partecipazione della società estera e delle società controllate residenti al meccanismo dell’IVA di gruppo.

Devono, quindi, ritenersi in ogni caso esclusi dalla possibilità di applicare la disciplina dell’IVA di gruppo gli enti e le società estere:

comunitari ma non identificati in Italia;

comunitari, identificati in Italia, ma la cui forma societaria non sia conforme ai criteri di equipollenza indicati dalle disposizioni comunitarie sopra richiamate;

non comunitari, ancorché dotati di stabile organizzazione nel territorio dell’Unione europea.

Infatti, sulla scia dell’insegnamento della Corte di Giustizia CE sul tema[8], occorre osservare che la stabile organizzazione, intesa in senso reddituale, non coincide con il “centro stabile”[9] previsto ai fini dell’Iva, nel cui ambito l’identificazione tributaria va intesa al solo scopo della localizzazione delle operazioni eseguite e della conseguente tassazione, senza, cioè, alcun effetto in tema di qualificazione giuridica dell’unità operativa e della sua (eventuale) rilevanza, ai fini delle imposte sul reddito, nel territorio in cui essa è stabilita.

Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia