Nella mia testa ingenua, il concetto di “Grande Fratello” era ed è fermo alle paure agitate da GeorgeOrwell in “1984” e da Aldous Huxley in “Mondo nuovo”, autori credibili, perché liberi, nel senso che le tragedie descritte non sono condizionate da lancinanti ricordi personali, ma oggettivamente vissute nella loro profetica fantasia. Una finzione, con cui non è ammesso scherzare, perché l’ironia non strapperebbe un sorriso amaro nemmeno a un cinico. Mi accorgo di essere datato, almeno a sentire che in TV imperversa una fiction con lo stesso titolo e di cui tutti parlano infilandolo in ogni eloquio. Mi viene il dubbio di vivere in un’epoca rivoluzionaria da soffrire all’insegna di una specie di fraternité. Manca solo che per strada mi senta apostrofare dal primo imbecille che incontro con un saluto del tipo “Ciao Fratello”. Non scherziamo su certe cose. Io ho avuto un solo fratello, che or non è più e, visto che non vivo in un monastero di frati, non permetterei a nessuno al mondo di chiamarmi “fratello”, a meno che non reciti con me il sonetto di Ugo Foscolo “In morte del fratello Giovanni”, dopo di che ci si sente toccati per sempre da un dolore, che ti lascia nell’anima una ferita inguaribile. Ma torniamo al “Grande Fratello”. Mi nuoce il fatto che non so cosa sia, essendomi ben guardato dal guardare. Ma mi stupisce che una vecchia eminenza, più presente sugli schermi che in Chiesa, dichiari pubblicamente di essere rimasto molto deluso, constatando che “le promesse non sono state mantenute”. Che fa eminenza… il consulente di una TV? Che si aspettava? Capisco che il nuovo corso, figlio diretto di un Concilio che, per mia massima colpa, non ho ancora digerito del tutto, porti i prelati a praticare al massimo la telecomunicazione e che la Chiesa senta il bisogno di occuparsi di tutto. Non intendo riesumare gli spettri dell’ancor non sopita diatriba teologica e pratica “modernismo sì, modernismo no”. Però garantisco di vivere benissimo senza sapere che cos’è quel nuovo imperversante “Grande Fratello”. Nessuno mi ha deluso, nessuno ha barato con me. Nessuno mi ha fatto preventive promesse. La TV, né davanti né dietro lo schermo, non mi interessa più di tanto. Se qualcuno mi invitasse a una chiacchierata in “studio”, gli direi che l’unico studio a cui riconosco dignità di quel nome è il mio, quello che mi rinchiude come in una prigione tante ore ogni giorno tra codici e libri di economia. Io La invidio Eminenza, perché, il suo studio è addirittura una Chiesa, un Duomo. Lasci perdere la TV. Non ci riguarda.