Chi non ricorda il velenoso epigramma Gran traduttor dei traduttor d’Omero riservato da Ugo Foscolo al poeta Vincenzo Monti? Il Monti non lo meritava, tant’è che rispose per le rime, ma nell’università italiana e in tutte le facoltà, è, invece e salvo poche eccezioni, applicabile a molti cosiddetti professori la parafrasi Gran riciclator dei riciclator di fac-simile.

All’inizio della cosiddetta carriera, lavorano per il barone, che poi si limita a metterci la firma, come certi pittori, che tengono garzoni a bottega.

Poi, quando il barone tira le cuoia o viene emeritizzato, lo sostituiscono ricreando il ciclo.

Della ricerca scientifica poco importa a questi famigli, anche perché la ricerca non si fa nelle università, ma nei laboratori delle aziende private, negli ospedali e nelle imprese, dove la carriera dovrebbe essere per merito e non per eredità. Ma anche in questi ambienti il condizionale è d’obbligo, perché troppo spesso si deve constatare che i mali della pubblica amministrazione si estendono al privato. Nelle grandi imprese, soprattutto in virtù di dirigenti incapaci e autoreferenti, vengono sacrificate persone di valore per far posto a mezze calzette con il solo merito di rapporti preferenziali, più o meno affettivi e talvolta sessuali o di parentela. Se il mondo dell’economia soffre, invece di cercare cause sul mercato, bisognerebbe indagare sull’organizzazione interna, talché si può spesso concludere che nel momento, quale l’attuale, di massima esaltazione dell’organizzazione aziendale, i sistemi sono sostanzialmente sempre più disorganizzati.

Accade anche per le discipline economiche e le pubblicazioni che intasano il mercato di riciclaggi, che tirano finché il barone occupa la cadrega e obbliga i poveri (talvolta lo sono davvero) studenti a comperare libri che sono parafrasi di altre parafrasi o di originali scritti meglio. Poi, a carriera finita, l’editore non ristampa e se ha scorte di magazzino le manda al macero, perché lo spazio costa. E giustizia è fatta!

Per rimanere nel campo dell’economia di azienda, quale docente suggerisce più di leggere Il reddito di Gino Zappa? Nessuno! Perché il grande Zappa è solo da tradurre da gli accademici e da riciclare.

Nell’università si dovrebbe insegnare, almeno un metodo, e controllare la preparazione. Invece, gli esami sono ridotti a quizzometro. A parte la barbarie intellettuale di questo metodo, che agevola le copiature e riduce il sapere solo a un “sì” o un “no”, le discipline economiche, che non sono matematica, ma analisi di alternative inesprimibili con una crocetta su un quadratino, dovrebbero essere irriducibili alla espressione booleana.

È il colloquio che consente di pesare la preparazione, ma anche l’intelligenza dell’esaminando. L’esaminatore è quasi sempre un portaborse, talvolta persino imberbe, senza maturità né esperienza. Il titolare di cattedra spesso non c’è, perché è occupato altrove, a cercare incarichi extra o intra per arrotondare uno stipendio non eccelso se uno lavora, ma da nababbi se uno non fa niente.

Le denunzie contro l’università che non funziona si riducono al “lamento di Federico” di Bizet, perché tutto prosegue come sempre, secondo la logica del Gattopardo.

Si prenda per esempio Milano, la capitale del business: non è che nelle tre università di economia, di cui due private, le cose siano tanto diverse. Figuriamoci in Puglia, in Sicilia o giù di lì.

Per Milano potremmo anche fare nomi, ma li tacciamo, come si diceva una volta: “per carità di patria“, anche se la patria non c’è più.

E la Ministra Gelmini che fa? Tenta di raddrizzare le gambe ai cani…randagi, che reclamano un pedigree. Dia retta ministra:  faccia la mamma, che, tanto, i gattopardi ridono sotto i baffi.