Dilaga il matricidio. Esseri privi di essenza con un vuoto pneumatico nella scatola cranica, non nell’anima, perché ne sono privi, si rivoltano contro la fonte della vita. Sui crimini più aberranti della mano dell’uomo si scatenano i giornali della carta e del video per discettare, intervistando sociologi in auge, sulle cause del fenomeno e vengono spiegazioni di vario genere, compresa la follia, che forse non c’entra, perché, anche quando il cervello non funzionasse, vi sarebbero pur sempre i visceri. A che serve, se no, una gestazione di nove mesi? Si può trovare una spiegazione per il matricida Nerone? Il fenomeno mi suggerisce l’idea, forse anomala e trascurata dagli analizzatori di professione: l’odio è verso la madre, ma la causa è la caduta del padre, nel senso che viviamo un’epoca di apparente matriarcato, in cui la figura del padre, come referente morale, è sparita, perché il padre ha rinunciato alla sua funzione spirituale, che va ben oltre l’etimologia della parola. ‘Padre’ viene dal sanscrito ‘pa’: colui che procura il pane, ma anche colui che ‘protegge’, perché esercita un ‘potere’. La funzione non è delegabile, soprattutto nell’epoca attuale, in cui il trasferimento alla madre della funzione è parziale, perché passa solo il ‘pane’ e la ‘protezione’, da cui il mammismo, non anche il ‘potere’, che non c’è più. Non ho sentito, ma sarà balenata a qualche ben pensante radical chic, l’idea aberrante che bisognerebbe far nascere i figli solo in provetta. Non vi sarebbero più matricidi, perché non varrebbe più nemmeno il broccardo “mater semper certa est”. Infatti: che certezza può dare un fungibile bicchiere di vetro al posto di un utero di carne? Ma è certo che non si risolverebbe niente. L’unica soluzione, se non è troppo tardi, è ripescare il quarto comandamento del Decalogo.