Il prof. Paolo Rossi è un filosofo probo che, sull’esempio di Isaiah Berlin, ha preferito farsi “storico delle idee” e in questa veste finge di recensire libri per il “Sole-24 Ore” della domenica, ma in realtà esprime giudizi che toccano più l’oggetto che l’autore recensito. Il 27 febbraio 2005 ha ripreso lo spinoso argomento della “Bibbia secondo Galileo“, rilanciando un tema mai sopito da quasi quattro secoli, perché va oltre la vicenda del grande pisano e coinvolge i rapporti tra scienza e teologia.
Rossi ci ricorda che il 31 ottobre 1992 la Pontificia Accademia delle Scienze presentò al Papa attuale, con relazione del cardinal Poupard, le conclusioni dei propri lavori sul processo Galileo dopo undici anni di indagini e analisi. Il Papa colse l’occasione per pronunciare un intervento critico verso i teologi dell’epoca, giudicandoli superficiali e incapaci di coniugare teologia e scienza. Però, l’analisi della relazione Poupard e del discorso del Papa inducono a sospettare che abbia prevalso una specie di eccessivo senso di colpa, in un’epoca in cui la Chiesa cattolica sembra animata da un desiderio di autocolpevolismo non sempre memore delle caratteristiche del momento storico, in cui certi eventi e comportamenti furono assunti.
La Chiesa, invece di chiedere scusa per le condanne inflitte ai Savonarola, ai Giordano Bruno, ai Galileo e altri, dovrebbe chiedere scusa a se stessa per la stupidità di aver regalato ai propri nemici, “martiri” emblematici.
Pensatori laici intellettualmente onesti non sono stati così severi verso la Chiesa Cattolica e hanno dato interpretazioni più serene e distaccate. Oltre a Rossi, ne cito due: Ioan Couliano, uno storico delle religioni, che ha scritto un testo fondamentale Eros e magia nel Rinascimento, edito in Italia nel 1984 e a cui Mircea Eliade ha fatto una significativa Prefazione. Il Couliano dimostra che già agli inizi del XVII secolo la Chiesa Cattolica romana, peraltro assai più tollerante di quelle protestanti luterane e calviniste, combatteva l’astrologia e la magia, cioè quel mondo del fantastico, che trovava il suo alimento nella filosofia del Rinascimento ancora di chiaro stampo aristotelico. Sappiamo anche che un teologo del valore del cardinale Roberto Bellarmino e lo stesso cardinale Maffeo Barberini, poi Papa Urbano VIII, stavano con Galileo e non erano contrari alla teoria copernicana. Già nel 1616 il primo auspicava che Galileo fosse in grado di portare prove scientifiche convincenti per le sue tesi eliocentriche. Ma, anche all’epoca del secondo processo, diciassette anni dopo il primo, Galileo non fu in grado di portare prove risolutive, sicché le sue dimostrazioni finivano, almeno in parte, per ricadere su interpretazioni della Bibbia, corrette ma in contrasto con la linea ufficiale. Si ricordino anche tre fatti, che assumevano particolare importanza in un momento di crisi generale:
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la Chiesa romana era ancora sotto l’incubo della Riforma protestante, che della interpretazione tradizionale della Bibbia, ancorché datata, faceva la sua bandiera e il Papato non poteva certo non dimostrare pari attaccamento, non avendo ancora perso tutte le speranze di un rientro dell’eresia;
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le forme di idolatria, causate da magia e irrazionalismi portati dalla sfrenata fantasia del Rinascimento, dilagavano in tutta Europa e, per reazione, avrebbero generato le aberrazioni della “caccia alle streghe”. Il paradosso fu di coinvolgere nel timore del fenomeno la novità della scienza galileiana, che era proprio l’opposto degli irrazionalismi e delle magie;
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Galileo non fu perseguito per le sue scoperte, né per il metodo sperimentale, ma perché si era dato un programma di apostolato della teoria eliocentrica copernicana. Vero che Copernico gli era indispensabile per affermare le sue personali scoperte, ma a creargli tanti problemi fu più la foga di divulgatore di un complesso programma scientifico che tentava di affermare in un momento poco propizio. D’altra parte quella foga era espressione del suo carattere testardo e generoso, come dimostra la sollecitudine verso i bisogni dei suoi parenti, nemmeno grati dei benefici ricevuti a prezzo di indebitamenti continui del povero Galileo.
Nel dubbio, il Tribunale romano, a parte furberie dialettiche di giudici inquisitori intellettualmente disonesti, non è che avesse molte alternative, se non chiedere l’abiura a Galileo. Peraltro, non risulta che lo scienziato sia stato sottoposto a pesanti angherie, né durante, né dopo il processo. Ma ciò significa poco e non suona certo come atto di generosità per uno scienziato, costretto ad affermare il contrario di ciò in cui la sua scienza lo portava a credere. La Chiesa il suo atto di stupidità politica l’aveva ormai compiuto! Ma è corretto dire: “la Chiesa”? O non piuttosto il Papa dell’epoca e il suo entourage?
Su questo punto cito la seconda interpretazione, che ci è data da un laico, non certo di simpatie papaline: il filosofo della scienza Ludovico Geymonat. Nel suo: Galileo Galilei, l’epistemolgo ci ricorda che la principale disgrazia di Galileo fu la pubblicazione, con un imprimatur assai equivoco, del libro Dialogo, in cui, in forma dialogica, discutono di eliocentrismo tre personaggi: Filippo Salviati fiorentino, Gianfrancesco Sagredo veneziano e Simplicio, che rappresenta la stupidità dell’aristotelismo. Alcuni nemici del Galilei convinsero Maffeo Barberini, diventato Papa Urbano VIII, che lo scienziato pisano aveva voluto raffigurare in Simplicio, proprio Sua Santità, suscettibile e livoroso di natura, peraltro intenzionato a vendicarsi anche del Granduca di Toscana protettore di Galileo, ma politicamente debole. La condanna si spiega così: una questione personale e politica, prima ancora che teologica e, di contro sul piano scientifico, una inadeguatezza di prove da parte di Galileo a favore dell’eliocentrismo, che, in realtà, non era visto con particolari preconcetti e che già trovava estimatori anche presso la Curia romana, salvo che nei due principali inquisitori, ottusamente appiattiti sulla centralità della Terra o meglio, sulla interpretazione tradizionale di alcuni passi biblici. D’altra parte, come stupirci? Non è tutt’oggi radicato il convincimento di molti Pubblici Ministeri, che, rivendicando la loro natura di giudici, si ritengono però realizzati non nella applicazione serena della giustizia, ma nell’ottenimento di una condanna a qualsiasi costo? Non è forse la ripetizione del solito e atemporale dualismo: giustizialismo o garantismo? Il povero Galileo non aveva nemmeno un avvocato d’ufficio, che, per i reati d’opinione, come fu quello promosso contro il padre della scienza moderna, non sarebbe comunque servito.
Se in estrema sintesi questa è la verità dei fatti, i nemici della Chiesa, sempre pronti a trovare simboli, bandiere e pretesti per screditarla, non hanno un fondamento storico ben preciso.
La verità è che Galileo, come Copernico prima di lui, sono stati i pionieri della scienza moderna e come tutti i pionieri e gli uomini di frontiera, sono coraggiosi e battaglieri, credono in quello che pensano e fanno, senza perdersi in tante sofisticherie tra un a priori e un a posteriori, come avrebbe fatto quasi due secoli dopo il pur grandissimo Kant, il filosofo che tanto esaltò Isacco Newton, però dimenticando o non sapendo che il fondatore della fisica classica, si ammalò di una grave forma di esaurimento nervoso, per la distruzione dei suoi appunti di alchimia, lui che aveva dimostrato perché l’universo non cade nel vuoto e ci aveva donato, con le flussioni, l’estasi del calcolo infinitesimale! Newton alchimista! Da non credersi! Come stupirsi che Galileo non sia stato in grado di portare prove convincenti? Lui, se non altro, non praticava l’alchimia, né l’astrologia: credeva nella scienza e rispettava la Bibbia! Era un buon cattolico ed era solo in anticipo sui tempi. Che pretendere di più?
Ma, se qualcuno crede nel destino, potrebbe dire: omen nomen. Galileo non porta il nome di quel suo omonimo Uomo-Dio, che fu Crocefisso per volontà di preti israeliti e che veniva dalla Galilea? Che il suo processo fosse scritto nelle stelle, che ci insegnò a guardare con meraviglia e con fede, diversamente da tanti scienziati positivisti? Viene alla mente l’astronauta russo Yuri Gagarin, che, dopo aver bighellonato, incastrato in un proiettile, qualche ora in uno spazio vicino, ritornato sulla Terra disse di non aver visto Dio in cielo! Che pensava questo cagnolino al guinzaglio? Di incontrare Dio seduto su una stella? Invece, Galileo, senza fare una passeggiata da ridere come Gagarin, lo aveva visto, dentro la sua fede e la sua scienza!
La vicenda di Galileo, nei suoi rapporti umani e spirituali, scientifici e di fede, alimenterà ancora dibattiti, analisi e polemiche, perché va oltre il fatto personale e diventa simbolo. Serviranno a poco accuse e perdonismi postumi. Invece, si possono trarre alcuni insegnamenti:
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è una sventura essere in anticipo sui tempi, perché il mondo è per natura conservatore in ogni sua manifestazione, compresa la scienza, come ben insegna Thomas S. Kuhn in La struttura delle rivoluzioni scientifiche;
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la Chiesa, come organismo che fa parte della storia e nei cui flussi è calata, non può non difendere certi principi, soprattutto se i tempi lo esigono. Purtroppo, è essa stessa vittima delle ambizioni, dell’arroganza, della prevaricazione, dei giochi di potere dei suoi uomini, che nascondono interessi e obiettivi personali dietro il paravento di principi abilmente manipolati;
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gli uomini di scienza o sono atei o sono credenti. In questo caso tendono, con l’avanzare dell’età, a sconfinare nel campo teologico, che è ancora più minato di quello filosofico. Il pietista Kant postcritico è un esempio eminente;
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un’abiura con dignità, come la galileiana, non intacca l’onestà intellettuale di un uomo giusto ed è miglior scelta del sacrificio della vita, che priverebbe l’umanità di capacità intellettuali ancora in grado di dare benefici. Galileo, con l’abiura non fermò la Terra, che anzi “eppur si muove”; né la Chiesa, condannandolo, fece girare il Sole per rispetto di Giosuè, ma Galileo, sopravvissuto alla condanna, continuò a donare al mondo la luce del suo genio; diversamente da Giordano Bruno, lui pure uomo di genio, ma ingenuo pellegrino del mondo, che finì quasi per agevolare l’opera dei suoi fanatici accusatori, così privandoci di tutto ciò che ancora avrebbe potuto dare al mondo. La differenza è però nel fatto che Galileo era uno scienziato consapevole della propria scienza, mentre il Bruno era un letterato-filosofo rappresentante di quella magia, che era la ingannevole e caduca “scienza del morente Rinascimento”, come il Couliano ha ben descritto;
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la Storia è raccolta e interpretazione di eventi svolte a posteriori. Non ci si può scusare per colpe risalenti compiute da generazioni lontane. Non ha senso! La Storia non è un veicolo con retromarcia. Oltretutto le proprie colpe bisogna lasciarle giudicare dagli altri, se non altro per non cadere in eccesso di autoflagellazione. Anche la Chiesa sottostà a questo principio e gli errori si correggono, ma non si scusano, soprattutto ognuno ha i propri. Basti pensare alle interferenze nella religione da parte del potere politico nelle varie epoche. Tra le migliaia di esempi, si ricordi che la nomina di Pio VII si scontrò con le pressioni della Casa d’Austria e quel Papa subì le angherie di Napoleone, ma non mollò! Anche questa come quella di Galileo è grandezza.
Pietro Bonazza
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